Missionari
Da Comboni all'Africa di oggi
2014/11, p. 39
Vogliamo celebrare i 150 anni del Piano per la Rigenerazione dell’Africa, quel Piano in funzione del quale Daniele Comboni avvertì la necessità di fondare a Verona l’Istituto delle Missioni per la Nigrizia, con la varietà dei suoi membri: uomini e donne, religiosi e laici.

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Testimoni
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150° Anniversario del Piano per la Rigenerazione dell’Africa
DA COMBONI
ALL’AFRICA DI OGGI
Vogliamo celebrare i 150 anni del Piano per la Rigenerazione dell’Africa, quel Piano in funzione del quale Daniele Comboni avvertì la necessità di fondare a Verona l’Istituto delle Missioni per la Nigrizia, con la varietà dei suoi membri: uomini e donne, religiosi e laici.
“Dal 1857, trovandomi nella Missione dei Kich sul Fiume Bianco, qui nell’Africa Centrale, ho assaggiato tutte le prove di questo difficile apostolato ed essendo stato undici volte in punto di morte a causa del clima e delle enormi fatiche, sono stato obbligato a ritornare in Europa dove, dopo qualche anno, essendomi ristabilito, ho pensato al modo di ritornare su questo campo di battaglia per sacrificarvi la vita per la salvezza dei neri. Fu il 18 settembre 1864 che, uscendo dal Vaticano dove avevo assistito alla Beatificazione di M. Margherita Alacoque, mi è venuto in mente di presentare alla S. Sede l’idea del Piano per riprendere l’apostolato dell’Africa Centrale. È il S. Cuore di Gesù che mi ha fatto sormontare tutte le enormi difficoltà per realizzare il mio Piano per la Rigenerazione della Nigrizia con la Nigrizia stessa” (Scritti 3302).
Nati dal Piano e per il Piano, non possiamo dimenticare che questo è il mandato lasciatoci dal padre fondatore, un’eredità preziosa che, ancora oggi, la Famiglia comboniana intende accogliere e conservare con profonda riconoscenza, responsabilità e impegno.
Noi, i responsabili degli istituti da lui fondati – suore missionarie comboniane Pie Madri della Nigrizia e missionari comboniani del Cuore di Gesù – e delle altre espressioni missionarie che si ispirano al suo carisma – missionarie secolari comboniane e laici missionari comboniani – consapevoli anche delle tante altre persone e gruppi di laici che, sempre più numerosi e a diverso titolo, vivono con noi la passione missionaria comboniana, abbiamo voluto scrivere questa lettera per condividere una piccola riflessione sul Piano che continua ad accompagnare la nostra vita missionaria e ci sfida a diventare risposta alle diverse situazioni missionarie che viviamo oggi in tutti i luoghi in cui siamo presenti.
Con questa lettera vogliamo anche esprimere il nostro desiderio di mostrare l’attualità e la validità delle intuizioni che san Daniele Comboni ha saputo raccogliere nelle pagine del Piano, riconoscendo che è stato un vero ed efficace strumento per il lavoro missionario svolto da tanti fratelli e sorelle durante questi 150 anni, prima in Africa e poi in altre parti del mondo.
Vogliamo che la nostra riflessione diventi, se possibile, anche un modo di celebrare questo anniversario, lasciandoci toccare dalle urgenze della missione che, nonostante i considerevoli sforzi realizzati per portare il Vangelo a tutti quelli che sono lontani, continuano a sfidarci.
Desideriamo ascoltare ancora, attraverso i pensieri impressi nel Piano, il grido di san Daniele Comboni che ci chiama a consacrare la nostra vita per quelli che sono nel mondo di oggi i più poveri e i più abbandonati, che hanno diritto a ricevere l’annuncio della Parola.
Pensiamo sia anche un’occasione opportuna per ringraziare il Signore per il dono dello Spirito che ha lavorato nel cuore del nostro Fondatore e nelle vite di tanti di noi che hanno saputo realizzare il Piano per la Rigenerazione dell’Africa con la donazione gioiosa della loro vita nella missione e per la missione.
Ci auguriamo che queste righe diventino un invito a continuare a vivere la nostra consacrazione con la stessa passione che ha mosso san Daniele Comboni fin dal momento della prima redazione.
Il Piano: una vita, più che un documento
Una delle prime impressioni che si hanno nella lettura del Piano è sicuramente quella di trovarsi di fronte ad un testo dove si respira vita, dove circolano una passione intensa e un desiderio grandissimo di trovare i modi più adatti per rispondere al bisogno che gli uomini e le donne di ogni tempo hanno d’incontrarsi con Dio.
Il Piano, quindi, non è un documento freddo, con regole precise, dove tutto è stato programmato e calcolato. Nelle sue pagine si respira un’aria che esprime il sogno, il desiderio, l’urgenza di portare vita e le intuizioni di chi crede nella possibilità di realizzare quello che molti considerano impossibile. Si percepisce una volontà decisa a non abbandonare la missione soprattutto nel momento in cui crescono le difficoltà e il futuro sembra incerto. È un testo che emana il profumo della fede, che incoraggia ad andare avanti, nella convinzione che si lavora per un’opera voluta da Dio.
Nel Piano si parla di un progetto che accompagna la vita e porta a concentrare tutte le forze su un’unica impresa, di qualcosa che si appropria di tutto il cuore e non lascia spazio ad altra opera che non sia quella della missione. È un’idea che abita con tutta la sua forza più nel cuore che nella testa: in questo senso è un modo concreto di tradurre in opera l’amore che si è riconosciuto nel cuore.
Il Piano, infatti, non è nato nella testa di Comboni, non è il risultato di una sua speculazione; è nato piuttosto dal desiderio di diventare strumento di Dio per manifestare l’amore cui hanno diritto tutti i suoi figli e le sue figlie. Se ricordiamo ciò che Comboni scrive nella sua lettera del 31 luglio 1873 a mons. De Girardin, vediamo bene che il Piano è stato prima di tutto un’esperienza vissuta e poi una proposta scritta.
Una risposta missionaria nata dalla realtà
Riascoltiamo ciò che dice Comboni: “Ho assaggiato tutte le prove di questo difficile apostolato… ho pensato al modo di ritornare su questo campo di battaglia per sacrificarvi la vita per la salvezza dei neri” (Scritti 3302). Il Piano non è una semplice strategia pastorale, ma una lettura e un’assimilazione della realtà, le cui sfide fanno diventare san Daniele creativo e capace di dare corpo ad un’opera che abbia possibilità di riuscita per la missione.
Esso nasce dunque dalla capacità di leggere e capire la realtà in cui si è presenti e interagire con essa. Una realtà segnata dalla schiavitù, da criteri di profitto e di sfruttamento, dalla impossibilità, per gli africani, di vivere secondo la loro dignità. Una realtà in cui i valori del Regno erano ignorati o negati. In quel contesto il Piano si rivela un’opera umile ed intelligente ad un tempo.
Guardando alle nostre presenze missionarie e alla realtà degli ambienti in cui operiamo, quante volte siamo costretti a riconoscere che la realtà, anche oggi, non è molto diversa? Anche oggi, infatti, siamo spesso testimoni della violenza, della violazione di tutti i diritti umani, dell’esclusione e della schiavitù di tanti nostri fratelli e sorelle.
Una grande intuizione
Leggendo il Piano, è facile scoprire un moltiplicarsi di idee, progetti, mezzi da utilizzare che ruotano intorno ad un’unica intuizione: è un’opera alla quale tutti quelli che si scoprono interpellati dalla missione sono chiamati a contribuire, facendo della missione stessa un’opera della Chiesa.
L’Opera dev’essere cattolica, non già spagnola o francese o tedesca o italiana. Tutti i cattolici devono aiutare i poveri neri, perché una nazione sola non riesce a soccorrere la stirpe nera. Le iniziative cattoliche, come quella del venerato Olivieri, dell’Istituto Mazza, del padre Lodovico, della società di Lione ecc. senza dubbio hanno fatto molto bene ai singoli neri, ma fino ad ora non si è ancor incominciato a piantare in Africa il Cattolicesimo e ad assicurarvelo per sempre. All’incontro col nostro piano noi aspiriamo ad aprire la via all’entrata della fede cattolica in tutte le tribù in tutto il territorio abitato dai neri. E per ottenere questo, mi pare, si dovranno unire insieme tutte le iniziative finora esistenti, le quali, tenendo disinteressatamente davanti agli occhi il nobile scopo, dovranno lasciare andare i loro interessi particolari” (Scritti 944).
Si tratta di un’opera in cui non c’è spazio per i protagonismi o per le pretese di voler fare da soli. Il Piano è un’opera di collaborazione che coinvolge tutti quelli che rispondono con un cuore generoso e fa capire che la missione è un dono ricevuto e offerto gratuitamente nella gioia.
Comboni pensava a un grande “movimento missionario” per coinvolgere tutti e tutto nella missione per l’Africa, contava di trovare “approvazione, appoggio e aiuto nel cuore dei cattolici di tutto il mondo”. Per questo viaggiò in lungo e in largo anche attraverso l’Europa, pensando addirittura di raggiungere l’America, per cercare collaboratori, mezzi economici, sostegno spirituale…
Da questo impeto sono sorti gli Istituti comboniani, e, in seguito, l’Istituto delle missionarie secolari comboniane e i laici missionari comboniani. Ma l’opera è ancora più ampia e non cessa di ispirare e di muovere sia chi ha abbracciato una forma di vita consacrata sia chi, come battezzato, si scopre chiamato alla missione. Resta per tutti la sfida di come unire intenti e forze per collaborare e dare continuo slancio alla missione.
Ispirato da un incontro
“Questo piano credo che sia opera di Dio, perché mi balenò al pensiero il giorno 15 settembre mentre facevo il triduo alla B. Alacoque; e il giorno 18 settembre in cui quella Serva di Dio venne beatificata, il Card. Barnabò compiva di leggere il mio Piano. Vi lavorai quasi 60 ore continue” (Scritti 926).
Il Piano, dunque, è il risultato di un lungo cammino di ricerca, di domande, di consultazioni e di esperienza fatta sulla propria pelle, ma non è solo questo.
C’è un altro fattore che non va dimenticato: esso è frutto dell’esperienza di incontro con il Signore, delle ore passate in preghiera, della ricerca della volontà di Dio in tutta quella avventura.
Comboni non ha dubbi nel riconoscere che il Piano è stato dono di Dio, grazia mediata da Maria, forza dello Spirito che si è mostrato generoso con le sue ispirazioni. In questo senso, il Piano è un modo concreto di dire che l’opera missionaria non è affare umano. La missione è opera di Dio e, come tutte le sue opere, richiede una grande fede, che può nascere soltanto nel silenzio della preghiera, nell’incontro che permette l’ascolto della volontà di Dio.
Un’esperienza vissuta dalle figlie e dai figli di Comboni
Uno sguardo al passato, per meglio tracciare il futuro
Non sono stati pochi, questi figli e figlie, a cominciare dai primi 22 che il 29 novembre 1867, guidati da Daniele Comboni, partirono da Marsiglia diretti in Egitto. Erano sedici “morette” – nove delle quali provenienti dall’Istituto Mazza di Verona –, tre suore di S. Giuseppe dell’Apparizione e tre religiosi Camilliani.
La prima tappa del viaggio era il Cairo, dove cominciare l’attuazione del Piano dando vita ai primi di quegli “Istituti preparatori” che avrebbero dovuto “circondare l’Africa”.
Due anni dopo, nel 1869, sempre al Cairo, Daniele Comboni affidò la direzione di un terzo istituto, la “Sacra Famiglia”, a quattro istitutrici africane, una delle quali era la giovane Denka Domitilla Bakhita. Si trattava di una scuola parrocchiale femminile e pubblica, aperta a ragazze di ogni rito e religione, compresa quella musulmana.
Fu un momento importante: l’obiettivo principale del Piano – rigenerare l’Africa con l’Africa – cominciava a diventare realtà. Una realtà che Comboni rafforzò quattro anni dopo, quando incluse le giovani maestre africane nella spedizione che, nel 1873, egli stesso guidò prima dal Cairo a Khartoum e poi da Khartoum a El-Obeid, dove affidò a Domitilla, Fortunata Quascè e Faustina Stampais la fondazione dell’“Opera femminile” del Kordofan.
Infine, nel 1881, il vescovo Daniele inviò come parroco nella promettente comunità di Malbes, nel Kordofan, don Antonio Dobale, della tribù dei Galla, uno degli undici “fanciulli Neri” che l’Istituto Mazza aveva accolto nel 1860 e che nel 1878 Propaganda Fide aveva ordinato presbitero per l’Africa Centrale.
A quel punto, Daniele Comboni si diceva soddisfatto dei suoi missionari: preti, suore (Pie Madri della Nigrizia), laici e laiche. Una fiducia meritata, come dimostrò il tragico avvenimento di quell’autunno del 1881, la morte inaspettata del Fondatore.
In quel momento emerse forte, per le Pie Madri della Nigrizia, la figura di Madre Maria Bollezzoli che con la lettera del 18 ottobre 1881 esortava con fermezza le sorelle a rimanere salde sulle orme tracciate dal fondatore: “non volgetevi addietro ma camminate franche sulle orme tracciatevi dal magnanimo vostro Padre”. E continuò a seguire l’ispirazione del Piano, formando nel tempo centinaia di sorelle che partivano per la missione in Africa.
L’irruzione della Mahdia,<p> Movimento organizzato rivoluzionario  <p/> quando i missionari e le missionarie dovettero affrontare la prigionia, il martirio, l’esodo forzato, è stata una forte esperienza che ha lasciato il suo segno e ha messo a prova la fedeltà al Piano di Comboni.
Chi riuscì a riparare in Egitto con mons. Sogaro, dovette affrontare anche il momento delicato del “passaggio”, della trasformazione dell’Istituto originario in una congregazione religiosa maschile (1885).
E quando i primi Figli del S. Cuore giunsero in Egitto, divenne evidente che qualcosa era cambiato anche nella scala di valori indicata dal fondatore: ora, prima ancora che le esigenze della missione, era lo spirito religioso – tanto sottolineato durante il noviziato dai padri gesuiti – che doveva ispirare e guidare la vita della comunità.
Si stava creando una dolorosa e sofferta tensione tra istituzione e carisma. In quel tempo di cambiamenti, a soffrirne maggiormente e a portarne le conseguenze, furono soprattutto i laici e le “morette” che si trovarono in qualche modo escluse dall’istituzione. Né fu questo l’unico momento in cui sembrò venir meno la fedeltà al carisma: non possiamo non registrare la vicenda dolorosa della divisione dei comboniani in due congregazioni separate.
Dal Piano all’Africa e al mondo
Continuiamo a volgere il nostro sguardo alla storia: se la fedeltà al Piano non si poteva più dire così evidente fra le nuove leve che continuavano a giungere in Egitto per tutto il tempo della diaspora, non si poteva certo dire che fosse diminuito l’amore per la missione o la passione per l’Africa.
Infatti, la conclusione della Mahdia, nel 1898, li trovò tutti – Figli del S. Cuore e Pie Madri della Nigrizia – pronti a ritornare. Tanto più che il Sudan era stato affidato, come territorio missionario, alla giovane congregazione maschile (1894).
Basta scorrere le pagine di Nigrizia per vedere quanto si prodigarono, ad esempio, i vicari apostolici Antonio Maria Roveggio e Francesco Saverio Geyer. Il famoso battello della missione, rimesso in funzione anche se con nome diverso, riprese subito, lungo il Nilo, l’esplorazione del territorio che la Mahdia aveva costretto ad abbandonare. Già nel 1902 venne aperta poco lontano da Gondokoro, fra gli Shilluk, la stazione missionaria di Lul.
Costanza Caldara (superiora generale delle Pie Madri dal 1901 al 1931) fu attenta alle esigenze che l’apertura delle nuove stazioni missionarie richiedeva; Francesca Dalmasso e Maria Bonetti, nel 1900, aprirono la schiera delle sorelle pronte a rientrare in Sudan e, se necessario, a proseguire oltre. Negli anni successivi nuove comunità vennero aperte in altri paesi d’Europa e Medio Oriente; poi, a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso, le comboniane e i comboniani estesero la loro presenza alle Americhe.
Delle “morette” che Daniele Comboni aveva seguito con tanta cura perché potessero “essere apostole nella loro nazione sulle basi del Piano” (Scritti 2012), purtroppo, non si parlò più. Questo ci fa capire come un aspetto dell’intuizione di Comboni, ad un certo punto, sia stato tralasciato. In parte è ancora così: anche oggi facciamo fatica ad uscire da un certo protagonismo istituzionale per arrivare a valorizzare la cattolicità del Piano, come desiderato e previsto da Daniele Comboni.
Il Piano, però, non era del tutto dimenticato. Verso il 1938, mentre nelle varie prefetture e vicariati dell’Africa centrale affidati ai Figli del S. Cuore si moltiplicavano i seminari che accoglievano giovani africani, un gruppo di ragazze ugandesi manifestava il proprio desiderio di consacrarsi a Dio nella giovane Chiesa particolare.
Grazie alla sensibilità dei comboniani e delle comboniane nell’accompagnare questi gruppi – e anche altri, sorti nel corso degli anni – siamo lieti di vedere oggi che parecchi di questi gruppi sono diventati congregazioni locali autonome, alcune con un forte spirito missionario espresso con comunità in altri continenti, dando così concretezza al sogno di Comboni.
Ciò significa che, anche in assenza di un’esplicita dichiarazione di intenti, c’era tra i figli e le figlie di san Daniele una spiritualità che sosteneva la fedeltà allo spirito del Piano. I capitoli generali speciali degli istituti e la celebrazione dei centenari di fondazione sono stati momenti forti in cui si è fatta una profonda riflessione sull’identità carismatica, sulla spiritualità e sul Piano di Comboni. Questi eventi hanno dato impulso alla ricerca e alla conoscenza diretta degli scritti di Comboni e della storia degli istituti. Alla luce poi dei documenti del Concilio Vaticano II e dell’espansione delle congregazioni fuori dal continente africano, si è aperta una riflessione approfondita sull’identità del carisma in fedeltà al Piano, che ha coinvolto tutti i membri.
Nel corso degli anni, il lavoro – insieme – di “uomini e donne”, come religiosi e religiose, missionari e missionarie, ha portato gioia, aiuto reciproco, crescita, ma anche fatica, incomprensioni e perfino alcune divisioni e ferite. Con la nuova coscienza della donna riguardo a sé e al suo ruolo nella Chiesa e nella società, anche le “Pie Madri della Nigrizia” hanno rivalutato il profilo che Comboni aveva voluto per loro all’interno del Piano: “Io il primo ho fatto concorrere l’onnipotente ministero della donna del Vangelo e della Suora di carità, che è lo scudo, la forza, e la garanzia del ministero del missionario” (Scritti 5284).
Procedendo nel nostro percorso storico, vediamo che negli anni cinquanta del secolo scorso, per intuizione di un missionario comboniano, è iniziato l’Istituto delle missionarie secolari comboniane, con la finalità della cooperazione missionaria, ovvero di suscitare iniziative e coinvolgere tutti nella missione. Questa intuizione è stata confermata dal Concilio Vaticano II, che ha portato una nuova coscienza del laicato, della sua vocazione specifica alla missione e del suo protagonismo a pieno titolo nella missione.
Lo dimostra l’ultima espressione, in ordine di tempo: la nascita dei laici missionari comboniani e la formazione di gruppi di laici e laiche che, ispirandosi al carisma comboniano, si percepiscono come arricchimento per tutta la famiglia comboniana e per la Chiesa missionaria.
Il frutto più evidente che lo spirito del Piano ha continuato a dare è l’abbondanza di vocazioni religiose e laicali alla missione, provenienti da paesi considerati un tempo “terra di missione”. Siamo davanti ad un grande dono che dobbiamo guardare consapevoli del fatto che ci sfida ad abbracciare senza riserve e con entusiasmo l’interculturalità della missione oggi.
Come ben si vede, è un lungo, ricco e talora faticoso cammino all’interno della famiglia comboniana, un cammino che merita e richiede ancora oggi attenzione. Si tratta di far crescere la coscienza e la ferma volontà di ciascuno per lavorare ed essere missionari e missionarie all’interno della prospettiva del Piano nella sua più intima vivacità e originalità.
Vitalità e attualità del Piano
Tutti siamo d’accordo nel riconoscere che la Chiesa vive oggi un momento particolare rispetto alla sua coscienza missionaria. Papa Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato, dando al suo ministero di vescovo di Roma un tono peculiare, ha sottolineato l’urgenza, l’importanza e la necessità, da parte di ogni cristiano, di vivere la vocazione missionaria. Il suo invito ad uscire, ad andare alle periferie esistenziali e incontro ai fratelli più poveri, sta risvegliando in tutta la Chiesa uno spirito nuovo, che ci rende consapevoli del tesoro che abbiamo nel Vangelo e della importanza di comunicarlo per fare esperienza di profonda gioia.
In questo contesto di nuovo invio e di chiarezza sulla necessità di assumere la dimensione missionaria del nostro battesimo, siamo di fronte a un linguaggio e a una proposta che fanno vedere la missione come un’opera che appartiene a tutti, nella misura in cui ci riconosciamo discepoli di Gesù e associati alla sua missione.
Questo impegno – ci viene detto – non può essere responsabilità solo di un piccolo gruppo o di alcuni che si sentono particolarmente chiamati a dare la vita per la missione; è invece impegno e lavoro di tutta la Chiesa: qui sicuramente appare la grande attualità e vitalità del Piano.
Ripartire insieme, come Famiglia comboniana e con lo spirito del Piano
Dal 1996, e specialmente dal 2003, Comboni santo si ripropone a noi tutti più vivo e presente che mai con il suo carisma, facendoci ritrovare insieme per festeggiarlo. Eventi come la beatificazione e la canonizzazione sono stati momenti privilegiati per un incontro di racconto, conoscenze e celebrazione che ha permesso anche riconciliazione e rinnovamento di forze attorno al padre comune. Con gioia abbiamo potuto vedere che, per celebrare momenti così importanti, per non dire unici, della storia comboniana, c’eravamo nuovamente tutti: Pie Madri della Nigrizia, Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, Missionarie Secolari Comboniane, Laici Missionari Comboniani e altri gruppi di Laici e Laiche. Uniti anche se distinti, ognuno con le proprie Costituzioni e un progetto specifico di lavoro apostolico.
L’evento dell’anniversario che celebriamo quest’anno ci sprona a fare memoria di quanto già vissuto per un rilancio che accolga le provocazioni e le domande che la realtà nostra e della vita missionaria ci pongono. Comboni ci ha lasciato uno stile di ministerialità fortemente radicato nella sua esperienza mistica e nella passione per la persona e per la missione. Questa sua esperienza e passione sono inscindibilmente presenti nei vari aspetti – spirituale, mistico, profetico e metodologico – del Piano per la Rigenerazione dell’Africa.
I rapidi cambiamenti del mondo di oggi e le sfide delle Chiese e dei popoli con i quali viviamo, fanno nascere in noi l’urgenza di approfondire, attraverso una riflessione sistematica, la nostra ministerialità comboniana vissuta come chiamata profondamente radicata in Dio, partecipazione alla maternità/paternità di Dio che genera vita in un dono totale e gratuito, fraternità con Gesù, tra di noi e con le persone che serviamo nella polvere del loro cammino, incarnazione della nostra spiritualità, presenza nella storia accanto ai poveri e agli esclusi, cammino con i popoli perché tutti abbiano vita e vita in abbondanza, consapevolezza della temporaneità della nostra presenza e servizio, credendo nelle persone, nelle loro capacità di rigenerarsi e nella metodologia del diminuire perché altri crescano.
È allora importante per noi assumere la giustizia, la pace e l’integrità del Creato (GPIC) e il dialogo e la riconciliazione come valori trasversali che permeano tutti i ministeri. È altrettanto importante per noi rivedere la nostra metodologia nei ministeri: il fare causa comune, l’essere pietra nascosta perché altri crescano, l’inculturazione e l’inserzione, l’impegno a lavorare in rete/collaborazione (con le Chiese locali, con la Famiglia comboniana, con altre congregazioni, con organismi vari), aperti al nuovo che si muove nella coscienza della società e nelle sue espressioni.
Nella scelta dei nostri ministeri, è necessario che ci lasciamo interpellare dalle sfide emergenti, in particolare dal fenomeno della tratta, particolarmente di donne e bambini/e, dalla immigrazione e dai rifugiati, dalla situazione dei popoli afro-discendenti, indigeni e nomadi pastori, per dare risposte significative oggi.
La riflessione sulla missione in dialogo è di particolare importanza per ciascuno/a di noi, perché il mondo si sta muovendo verso un pluralismo religioso e culturale, sfidando le nostre convinzioni e la nostra metodologia.
L’eredità carismatica plasma il nostro approccio pastorale nei vari ministeri e apre le nostre menti e i nostri cuori alla dimensione essenziale del dialogo, chiamandoci “ad essere segno dell’amore di Dio nel mondo, che è amore senza nessuna esclusione né preferenza”. Siamo chiamati/e, dunque, a divenire segno profetico nel dialogo e nel servizio, ponte tra i popoli, attraverso la nostra esperienza quotidiana di missione, vivendo fianco a fianco con i popoli di varie culture e fedi.
Questo dialogo si manifesta nei semplici gesti quotidiani e nell’incontro con altre Chiese e comunità cristiane, per diventare segno e annuncio di Cristo, sorgente di unità; con le religioni non cristiane, in particolare con le religioni tradizionali e l’islam, per essere segno profetico nella comune ricerca di Dio; con le culture, per trasformare l’umanità attraverso il comune impegno per un mondo più giusto.
La spiritualità ereditata dal Piano, questo “sentire il proprio cuore battere in unisono con il Cuore di Cristo”, ci spinge a portare il “bacio di pace” a ogni periferia geografica ed esistenziale, perché l’Africa di Comboni è diventata criterio per riconoscere nel mondo dove sono i “più poveri e abbandonati” e dove sono le “orme del nostro magnanimo Padre”, e continuare a essere fedeli al suo Piano nell’oggi della storia, dopo 150 anni.
Conclusione
Abbiamo dunque tante ragioni per celebrare questo evento, tante ragioni per esserne orgogliosi e provocati allo stesso tempo, tante ragioni per riflettere.
Con san Paolo, il grande apostolo missionario, diciamo: “E lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene” (2Ts 2, 16-17).
Siamo in molti ad essere mossi dal dono che Gesù ha fatto alla sua Chiesa e ad ognuno di noi in san Daniele Comboni e nel frutto della sua obbediente creatività, il Piano per la rigenerazione dell’Africa. Lavoreremo con gli occhi fissi alla stessa meta che Comboni aveva negli occhi e nel cuore, anche se non faremo tutti la stessa cosa o non la faremo alla stessa maniera. Il riconoscimento reciproco, il rispetto e la valorizzazione della diversità di servizi e di ruoli rafforzeranno la comunione e ci permetteranno di essere testimoni, nel mondo missionario, di una diversità finalmente riconosciuta e riconciliata.
Vogliamo, infatti, che nella famiglia comboniana di oggi ci sia spazio per la diversità riconosciuta nell’uguaglianza dello stile di vita; vogliamo imparare a riconoscere i talenti di ciascun gruppo per farli fruttificare in funzione del Regno, lavorando in rete…
Ci aiutino in questo tutti i nostri fratelli e sorelle santi e martiri, a cominciare dai prigionieri della Mahdia. Ci aiuti, soprattutto, il nostro padre san Daniele che ci voleva “santi e capaci”, capaci di relazioni nuove e veramente evangeliche, capaci di vivere l’uguaglianza nella diversità, facendo causa comune con i poveri e gli esclusi, senza togliere loro il diritto di essere soggetto delle proprie scelte di vita e del proprio cammino di fede.
Solo così potremo rispondere efficacemente alle grandi sfide emergenti che il mondo ci presenta.
I Missionari Comboniani del Cuore di Gesù
Le Suore Missionarie Comboniane
Le Missionarie Secolari Comboniane
I Laici Missionari Comboniani