Angelo Arrighini
"Scrutare" il futuro nella speranza
2014/11, p. 5
Una rilettura del cammino - tra ombre e luci - della VC negli anni del post-concilio alla luce di due icone bibliche: l’Esodo e Elia. Una VC “in uscita”, illuminata dal vangelo, vissuta nella “convivialità delle differenze”, incontro alle sfide che provengono dai crocevia del mondo.

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La seconda lettera nell’anno della vita consacrata
“SCRUTARE” IL FUTURO
NELLA SPERANZA
Una rilettura del cammino - tra ombre e luci - della VC negli anni del post-concilio alla luce di due icone bibliche: l’Esodo e Elia. Una VC “in uscita”, illuminata dal vangelo, vissuta nella “convivialità delle differenze”, incontro alle sfide che provengono dai crocevia del mondo.
Con la sua seconda lettera, "Scrutate", in quest'anno della VC, l'apposito dicastero vaticano vuole aiutarci a rileggere, con franchezza, tra "passaggi luminosi e tunnel oscuri", tra "orizzonti aperti e sentieri tortuosi e incerti", i cinquant'anni che ci separano dal concilio. Uno dei sentieri conciliari più luminosi è stato sicuramente quello della riscoperta della "Parola". Perché allora non partire proprio da lì per capire da dove viene e soprattutto dove intende andare la VC? Prendendo lo spunto da due icone bibliche, quella dell'Esodo e quella del profeta Elia, il nostro documento, rifacendosi soprattutto a papa Francesco, prova a rileggere questi ultimi decenni contrassegnati da "alti e bassi", da "slanci e delusioni", da "esplorazioni e chiusure nostalgiche".
Tra entusiasmi
e fragilità
Nella "nube di luce e di fuoco" che guidava il popolo eletto nel suo cammino verso la Terra Promessa, è possibile scorgervi un modello interpretativo della VC del nostro tempo. È stato un cammino di esodo, contrassegnato non solo da "entusiasmo e audacia", da "inventiva e fedeltà creativa", ma anche da "certezze fragili", da "improvvisazioni e delusioni amare". Anche se negli ultimi anni lo slancio sembra aver perso vigore, è certo comunque che non è venuto meno il "fuoco" dello Spirito. È stato proprio il concilio a indicare la VC come "segno" per il popolo di Dio nel compimento della comune vocazione cristiana. Per la prima volta, infatti, nei lavori di un concilio ecumenico, la VC è stata identificata come «parte viva e feconda della vita di comunione e di santità della Chiesa» e non come un "ambito bisognoso" di semplici decreti di riforma. Grazie al concilio, la sequela Christi è diventata la "regola suprema" nella vita dei consacrati, favorendo «una purificazione radicale delle spiritualità devozionali e delle identità ripiegate sul primato di servizi ecclesiali e sociali, ferme sulla imitazione sacralizzata dei propositi dei fondatori».
Sempre sulla spinta del concilio, sono andati lentamente destabilizzandosi «modelli e stili ripetuti nel tempo, incapaci di interloquire, come testimonianza evangelica, con le nuove sfide e le nuove opportunità». Con "audacia e inventiva coraggiosa" i consacrati hanno saputo, via via, interpretare i segni dei tempi: dall'ascesa economico sociale delle classi lavoratrici, all'ingresso della donna nella vita pubblica, alla tutela e promozione dei diritti e dei doveri nei cittadini consapevoli della propria dignità. Non si sono affatto limitati «a rimpiangere la memoria di epoche passate». Hanno cercato di vivificare il tessuto sociale, vivendo «con serio impegno e spesso anche con grave rischio personale, la nuova coscienza evangelica di dover stare dalla parte dei poveri e degli ultimi, condividendone valori e angosce».
Il concilio non ha mai esplicitamente parlato di "carisma" della VC, però ne ha aperto la strada, favorendo, anzi, una successiva teologia sul tema. La stessa riscrittura delle costituzioni dei vari istituti ha innescato un processo che «ha alterato equilibri di lunga data, mutato pratiche obsolete della tradizione». Certo, ogni fase del rinnovamento della VC non è mai stata indolore. Se da una parte, grazie a una fedeltà creativa, mediante nuove ermeneutiche sono stati recuperati grandi patrimoni spirituali, ridisegnando contestualmente strutture, programmi e presenze, dall'altra «non possono essere taciute talune dialettiche di confronto e di tensione e perfino dolorose defezioni».
La sempre più consapevole riaffermazione del primato della vita spirituale, ha avuto positive ripercussioni sui principali temi della VC: il carisma fondazionale alla vita nello Spirito alimentata dalla Parola (lectio divina), la vita fraterna in comune, la formazione iniziale e permanente, le nuove forme di apostolato, l'autorità di governo, l'attenzione alle diversità culturali di provenienza degli stessi consacrati.
Anche la storia personale di Elia è particolarmente illuminante del cammino postconciliare compiuto dalla VC. Il profeta esercita il suo ministero tra una purificazione o una illuminazione e l'altra, fino a percepire il passaggio di Dio nella brezza lieve e silenziosa dell'Horeb. È fuori dubbio che ci si potrebbe sentire attratti dalle gesta clamorose di Elia, dalle sue proteste furiose, dalle sue accuse dirette e audaci «fino alla contesa con Dio sull'Horeb, quando Elia giunge ad accusare il popolo di avere solo progetti distruttivi e minacciosi». Ma, forse, in un momento come il nostro, sono più eloquenti alcuni suoi aspetti minori. Sono quei piccoli segni che «ispirano i nostri passi e le nostre scelte in maniera nuova in questa età contemporanea dove le tracce di Dio sembrano svanire in una desertificazione del senso religioso». Proprio nel cavo di una caverna, Elia assisterà «alla distruzione del suo immaginario di minaccia e di potenza». Solo allora si accorgerà che il Signore «non era nel vento impetuoso, nel terremoto, nel fuoco, ma in una voce di silenzio sottile». Ai piedi del monte, Elia prende su di sé la lotta del suo popolo, ritorna sui suoi passi, che sono quelli di Dio, attraversa il deserto che ora, però, ha già incominciato a rifiorire in una più solida fedeltà dei nuovi profeti all'alleanza.
Il vangelo
“norma ideale”
Anche la VC è ritornata più consapevolmente sui suoi passi. Il tempo di grazia che stiamo vivendo – con l'insistenza di papa Francesco a porre al centro il vangelo – per tutti i consacrati è «una nuova chiamata alla vigilanza, per essere pronti ai segni di Dio». Dai tempi del concilio, la centralità di Cristo e della Parola di Dio sono via via diventati sempre "garanzia di autenticità e di qualità. Seguire Cristo, come viene proposto nel vangelo, è la "norma ultima" della VC e la "regola suprema" di tutti gli istituti religiosi. Lo è stato per Antonio, per Basilio, per Benedetto, per Stefano di Muret (fondatore dell'ordine di Grandmont), per Domenico, per Francesco, per Chiara d'Assisi, per i Carmelitani, per i figli di Giacomo Alberione, per la piccola sorella Magdaleine.Tornare e, insieme, formare al vangelo può suonare oggi quasi una pro-vocazione. La formazione spirituale, infatti, è qualcosa di molto diverso da un semplice "accompagnamento psicologico" o da "esercizi di pietà standardizzati". Con forza il nostro documento ribadisce che «la povertà ripetitiva di contenuti vaghi blocca i candidati su livelli di maturazione umana infantile e dipendente». Purtroppo resta quasi sconosciuta per lettura diretta la grande varietà delle vie seguite e proposte dagli autori spirituali. Non si può continuare a ridurre il patrimonio degli istituti «a schemi frettolosi, lontani dalla carica vitale delle origini». Proprio in un contesto in cui si sono smarrite le tracce di Dio, non saranno mai sufficientemente riscoperte e approfondite, anche a livello culturale, le verità fondamentali della fede.
Il vangelo come "norma ideale", come "stile e modo di essere" nella vita della Chiesa, è la sfida che papa Francesco non si stanca mai di rilanciare. E' incessante il suo invito ad accogliere l'oggi di Dio, le sue novità, le sue sorprese, nella fedeltà, senza paura né resistenze. Non c'è alternativa per quanti intendono testimoniare profeticamente come Gesù è vissuto su questa terra, annunciando l'avvento del Regno di Dio. E' un'urgenza che nasce dal fatto che VC sta vivendo oggi «una stagione di esigenti passaggi e di necessità nuove». La crisi non è altro che «lo stato in cui si è chiamati all'esercizio evangelico del discernimento», dal momento che la storia è sempre tentata di «conservare più di quello che un giorno potrà essere utilizzato». A che serve infatti, «conservare memorie sacralizzate che rendono meno agevole l'uscita dalla caverna delle nostre sicurezze?». Non è evangelico continuare a coniugare l'identità della VC su un “paradigma invecchiato e autoreferenziale”, su un “orizzonte breve”, sviluppando, come ricorda papa Francesco, «la psicologia della tomba, che a poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo». Se la VC sta attraversando un guado, non è detto che debba restarvi in "modo permanente".
Una chiesa
“in uscita”
La "Chiesa in uscita" ha qualcosa da insegnare anche alla VC. Il momento di grazia che stiamo vivendo (kairòs) «esige rinunce, chiede di lasciare ciò che si conosce e di intraprendere un percorso lungo e non facile». Il punto d'arrivo di questo cammino segnato dal ritmo dello Spirito, non è una "terra conosciuta". Si sa per certo che anche i consacrati avranno sempre più a che fare con nuove frontiere, con culture altre, con periferie inesplorate. La brezza leggera percepita dal profeta Elia si può identificare oggi, come afferma papa Francesco, «con tanti desideri inquieti dei nostri contemporanei, che cercano interlocutori sapienti, pazienti compagni di cammino, capaci di accoglienza disarmata nel cuore, facilitatori e non controllori della grazia, per nuove stagioni di fraternità e salvezza» (EG, 47).
Per un compito delicato come questo servono "guide" che in obbedienza allo Spirito, con coraggio e costanza, allontanino «la tentazione di lasciar perdere e di considerare inutile ogni sforzo per migliorare la situazione». Senza una guida sicura incombe inevitabilmente il pericolo «di diventare gestori della routine, rassegnati alla mediocrità, inibiti ad intervenire, privi del coraggio di additare le mete dell'autentica VC e correndo il rischio di smarrire l'amore delle origini e il desiderio di testimoniarlo» (ivi, 46). In un contesto come quello attuale non manca di certo chi ritorna al passato, chi ne sottolinea con rimpianto le differenze, chi rimugina in silenzio o solleva dubbi circa la scarsità di mezzi, risorse, persone, ancorandosi «alla nostalgia di strutture e abitudini che non sono più portatrici di vita nel mondo attuale» (ivi, 108).
Scrutare l'orizzonte può significare, allora, essere chiamati tutti (persone, comunità, istituti) ad entrare in un diverso ordine di valori, cogliendo un senso nuovo e differente della realtà, convinti che «Dio è passato anche se non ha lasciato orme visibili». Non c'è maggior libertà, come ricorda sempre papa Francesco, di quella «di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto», consentendogli, invece, di illuminare, di orientare e sospingere «dove Lui desidera». Senza il coraggio di abbandonare certe strutture troppo rigide che rischiano di soffocare lo spirito e il carisma dei consacrati, non si può «essere cercatori e testimoni di progetti di vangelo visibili e vitali», non si può essere «uomini e donne dalla fede forte, dalla capacità di empatia, di vicinanza, di spirito creativo e creatore».
Nei confronti degli uomini e donne del nostro tempo è indispensabile una "fantasia sempre rinnovata" nei campi dell'educazione, della sanità, della catechesi, dell'accompagnamento costante di quanti sono alle prese con i propri bisogni, con le proprie aspirazioni, con i propri smarrimenti. Non è un caso che la VC si sia «spostata nelle periferie delle città, realizzando un vero esodo verso i poveri, dirigendosi verso il mondo degli abbandonati». Se, come ha detto Paolo VI nel discorso di chiusura del concilio, la parabola del buon samaritano è diventata il "paradigma" della sua spiritualità, allora è doveroso chiedersi con "quale uomo" e con "quale donna" si ha a che fare oggi. Ma, insieme, ci si deve chiedere quali sono le sfide e quali possano essere gli aggiornamenti necessari per una VC che voglia assumere «lo stesso stile del concilio, in atteggiamento di dialogo e di solidarietà, di profonda ed autentica "simpatia" con gli uomini e le donne di oggi e la loro cultura, il loro intimo "sentire", la loro autocoscienza,
le loro coordinate morali».
Fraternità e convivialità
delle differenze
Tutte queste sfide, tutti questi aggiornamenti vanno assunti dai consacrati all'interno di una fraternità, vale a dire «in uno spazio teologale in cui si può sperimentare la mistica presenza del Signore risorto». Non basta, però, la semplice vita in comune. Bisogna arrivare alla "grazia della fraternità". Fa tanto male, scrive papa Francesco, «riscontrare come in alcune comunità cristiane, e persino tra persone consacrate, si dia spazio a diverse forme di odio, divisione, calunnia, diffamazione, vendetta, gelosia, desiderio di imporre le proprie idee a qualsiasi costo, fino a persecuzioni che sembrano una implacabile caccia alle streghe» (ivi, 113).
Oggi più di ieri abbiamo bisogno di «fraternità aperte alla complementarietà dell'incontro nella convivialità delle differenze». Diversamente non si può procedere uniti. Il dialogo è qualcosa di più e di molto diverso dalla semplice "comunicazione" di una verità. È un bene che nasce da un reciproco scambio tra una persona e l'altra. Solo in questo modo una fraternità diventa "luogo del vangelo". Il tempo dell'attesa di un incontro, di un ricongiungimento, di una relazione è qualcosa di ben diverso dal tempo «pieno di cose, di attività, di parole». Il rischio dell'individualismo e della dispersione lo si può scongiurare solo in quella fraternità nella quale si vive la "differenza evangelica" e senza la quale non è possibile «ispirare cammini nuovi, offrire percorsi impensati o rispondere agilmente a necessità umane e dello spirito».
Quante volte l'istituzionalizzazione della VC, le prescrizioni obsolete e le esigenze sociali esterne trasformano le risposte evangeliche «in risposte misurate sull'efficienza e la razionalità da impresa». Ogni volta che la VC è attratta da "luci estranee" alla sua identità, «perde l'autorevolezza, l'audacia carismatica e la parresia evangelica». Solo Cristo, scrive papa Francesco, «può rompere gli schemi noiosi nei quali pretendiamo di imprigionarlo», sorprendendoci, anzi, «con la sua costante creatività divina». Solo Lui può chiamare i consacrati ad abitare le terre inesplorate (come quelle della tecnologia) per "narrarvi il vangelo", per «piantare agili tende nei crocevia di sentieri non battuti».
Se da una parte la ripetizione di cammini già percorsi è sempre "rassicurante", si rischia, però, inconsapevolmente di attribuire alle vie dello Spirito le "nostre mappe tracciate da lungo tempo". I consacrati non possono non "sognare" una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa. Solo in questo modo le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale potranno diventare un canale adeguato per l'evangelizzazione del mondo attuale e non «per l'autoconservazione. In passato si ricorreva frequentemente, nella vita spirituale dei consacrati, al simbolo del viaggio o dell'ascesa verso il centro dell'anima. Oggi, invece, vengono privilegiate "nuove "istanze valoriali" quali la preghiera, la purificazione, l'esercizio delle virtù in stretto rapporto con la solidarietà, l'inculturazione, l'ecumenismo spirituale, la nuova antropologia.
Dove saranno
i consacrati?
«Dove saranno i consacrati?», si chiede a questo punto il documento. Sapranno accogliere le sfide che provengono dai crocevia del mondo? Nei loro orizzonti di vita troveranno spazio «l'esperienza dei poveri, il dialogo interreligioso e interculturale, la complementarietà uomo-donna, l'ecologia in un mondo malato, l'eugenetica senza remore, l'economia globalizzata, la comunicazione planetaria, il linguaggio simbolico»? Si tratta di orizzonti che non vanno semplicemente enumerati; vanno, invece «abitati e fermentati sotto la guida dello Spirito». Di fronte a questi percorsi epocali, a questi milioni di persone che sono in cammino attraverso mondi e civiltà, destabilizzando identità secolari e favorendo mescolanze di culture e religioni, la VC «saprà diventare interlocutrice accogliente di quella ricerca di Dio che da sempre agita il cuore dell'uomo? Saprà recarsi – come Paolo – nella piazza di Atene e parlare del Dio ignoto ai gentili? Saprà alimentare l'ardore del pensiero per ravvivare il valore dell'alterità e l'etica delle differenze nella convivialità pacifica?».
Nelle sue diverse forme la VC «è già presente in questi crocevia». Ma non deve fermarsi. Piuttosto che stare fermi «è meglio camminare, andare anche con passo incerto o zoppicando», consapevoli del fatto che i nuovi percorsi della fede oggi germogliano in luoghi umili. Rispetto al passato, oggi è sicuramente più efficace «uno stile di opere e di presenze piccole e umili come l'evangelico granello di senapa in cui brilli senza frontiere l'intensità del segno: «la parola coraggiosa, la fraternità lieta, l'ascolto della voce debole, la memoria della casa di Dio fra gli uomini». La VC trova la sua fecondità «non solo nel testimoniare il bene, ma nel riconoscerlo e saperlo indicare, specialmente là dove non si è soliti vederlo, nei "non cittadini, nei "cittadini a metà", negli "avanzi urbani”, nei "senza dignità"».
Il cammino da compiere non è sempre facile. Grazie alla fraternità, i consacrati «non sono profeti solitari, ma uomini e donne di comunione, di ascolto comune della Parola, capaci di elaborare insieme significati e segni nuovi, pensati e costruiti anche nel tempo della persecuzione e del martirio». In questo cammino di comunione di differenze, i consacrati sapranno sempre testimoniare la vitalità di una Chiesa «rivestita dall'essenzialità del vangelo», soprattutto se non si stancherà mai di riconoscere il suo Signore nell'atto di "spezzare il pane".
Angelo Arrighini