Renata Stefania
...come la bellezza dell'aurora
2024/4, p. 34
Ofriamo alla rifessione sulla bellezza della Parola, il testo integrale di lectio divina guidata dalla clarissa sr. Stefania Renata del monastero di Gubbio, nel contesto di tre giornate di incontro per i frati francescani (in Assisi dal 28 al 31 gennaio 2024) condotte da sr. Tiziana Merletti, sfp, sulla tutela dei minori e adulti vulnerabili.

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… come la bellezza dell’aurora
Offriamo alla riflessione sulla bellezza della Parola, il testo integrale di lectio divina guidata dalla clarissa sr. Stefania Renata del monastero di Gubbio, nel contesto di tre giornate di incontro per i frati francescani (in Assisi dal 28 al 31 gennaio 2024) condotte da sr. Tiziana Merletti, sfp, sulla tutela dei minori e adulti vulnerabili.
… voleva farlo uccidere, ma non poteva – viene detto di Erodiade a proposito di Giovanni, il Battista. Il suono di queste parole è quasi un’eco di contrasto della preghiera che il lebbroso rivolge a Gesù, e che a mio avviso è una delle più limpide confessioni di fede: se vuoi, puoi purificarmi. Come se dicesse: tu puoi tutto ciò che vuoi; quasi parafrasando le parole dell’arcangelo: nulla è impossibile a Dio (Lc 1,37). Possiamo avvertire il profumo di quest’invocazione nella supplica diffusa e amata nell’oriente cristiano: Come tu sai, come tu puoi, Kyrie, eleison!
Se in Gesù, uomo-Dio, il volere e il potere coincidono perfettamente, la mia esperienza quotidiana deve misurarsi con lo scarto tra ciò che voglio e ciò che posso. A me sta solo scegliere come abitare questo limite creaturale. Uno dei modi è quello di permettere alla grazia divina di educare la mia volontà, di orientarla verso ciò che posso, di sposarla al potere offertomi da Gesù: 19Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi (Lc 10,19); scegliere cioè in ogni occasione di prendere parte alla vittoria di Cristo sul male, su ogni male. Dentro di me, attorno a me. Volere il bene, sceglierlo ad ogni costo. Nella certezza che a questo sono stata abilitata dal dono dello Spirito. Misurare le mie aspirazioni con il potere di che Gesù attribuisce a se stesso nel Vangelo: 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio (Gv 10,18). … il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra… (Mc 2,10).
Il potere di amare fino alla morte e di amare anche oltre la morte. Il potere di perdonare. Questi sono i più grandi poteri di Dio, resi possibili all’uomo nella carne di Cristo. Da essi scaturisce come logica conseguenza la capacità di discernere e quindi il potere di giudicare: 26Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, 27e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo (Gv 5,26-27). Ma posso scegliere anche una modalità meno impegnativa, che prende la piega della mia meschinità – la strada scelta da Erodiade – assecondare cioè in tutto la tirannide della mia volontà, spesso formata da un caotico miscuglio di sregolate voglie e impulsi, e gonfiare il proprio potere, spingendolo oltre i limiti del lecito, cercando di raggiungere così la coincidenza tra il volere e il potere. Atteggiamento che a ragione possiamo chiamare abuso. Erodiade non può ottenere ciò che vuole, perché Erode, nelle cui mani è il potere legittimo, le si oppone. A quanto pare, la forza della sua seduzione si sta affievolendo. Il re organizza un grande banchetto per festeggiare il compleanno, ma Erodiade ne è esclusa (la figlia deve uscire fuori per andare dalla madre). Erodiade non viene chiamata dentro, come la regina Vasti, per esporre all’ammirazione dei commensali la propria bellezza. Ma lei si ribella al proprio limite. Non è più una seduttrice di successo, ma resta sempre una grande manipolatrice. Non può contare sul fascino del proprio corpo per imporre al re la sua volontà, sceglie quindi un corpo più giovane. Il corpo di sua figlia. Lo prende. Lo usa. E insieme al corpo si impadronisce anche della volontà di lei. Nella figlia infatti la volontà sembra assopita, quasi assente. All’invito di Erode: Chiedimi quello che vuoi ella corre dalla madre domandando: Che cosa devo chiedere? È come se dicesse: che cosa devo volere? A questo punto accade il più grande fallimento educativo che un’autorità possa compiere: invece di ridestare nella figlia la ricerca del proprio desiderio, la madre si sostituisce alla sua volontà. Le ordina ciò che deve chiedere e con ciò le ordina ciò che deve volere. La figlia ritorna di corsa nella sala della festa; corre perché è stata alleggerita del terribile fardello della libertà. Non è gravata dalla fatica di scegliere, dal peso di una decisione da prendere. Torna di corsa e dice: Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista. Si sente esaltata, senza rendersi conto di essere usata. E nell’euforia che ne nasce diventa perfino creativa, aggiungendo alla richiesta della madre il macabro particolare del vassoio.
Ora spostiamo l’attenzione su Erode che aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva gettato, legato, in carcere. Sorge la domanda: Chi dei due è più legato? P.N. Evdokimov scrive in uno dei suoi saggi più belli: … l’oblazione è la formula stessa della libertà, il suo punto culminante. La libertà è la forma della verità, e questa è il contenuto della libertà (P. N. Evdokimov: La donna e la salvezza del mondo). Mi è difficile non ritrovare in queste parole la descrizione della vita di Giovanni, il Battista. Al contrario, Erode, il detentore legittimo dell’autorità, appare un uomo tutto legato da molte catene - condizionamenti. La sua autorità è soggiogata a numerosi poteri, così come la sua volontà è continuamente tirata verso direzioni opposte. Teme Giovanni e nello stesso tempo lo ascolta volentieri, pur restandone turbato. Lo sa giusto eppure lo getta in carcere. Lo getta in carcere ingiustamente e poi vigila su di lui per proteggerlo. Ha resistito alle pressioni di Erodiade, ma non resiste al piacere provocato dalla bellezza della figlia, così come non resiste alla dittatura dell’opinione pubblica. Liquefatto dall’ardore della concupiscenza, riversa se stesso in un fiume di promesse e di giuramenti, rinnegando ogni buon senso: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Il re saggio di una qualunque fiaba avrebbe detto: se è in mio potere, lo farò. Ma Erode, acceso dalla passione, si sente onnipotente. E i signori commensali ne sono complici: piacque a Erode e ai commensali – viene detto. Evidentemente hanno trovato il modo di esprimere la propria approvazione, il proprio gradimento. Abilità che poi improvvisamente affoga in un omertoso silenzio di fronte alla sconsiderata richiesta della giovane. Una promessa come quella fatta da Erode era già uscita una volta dalla bocca di un altro re: «Che c’è, regina Ester? Qual è la tua domanda e quale la tua richiesta? Fosse anche la metà del mio regno, ti sarà data». A prima vista potrebbe sembrare che Mardocheo si comporti come Erodiade, servendosi della posizione di Ester e che Ester, similmente alla figlia di Erodiade, usi la bellezza del suo corpo per condizionare le decisioni del re. Ma vi è una differenza sostanziale. Se Erodiade sostituisce la propria volontà a quella della figlia, Mardocheo ridesta in Ester la memoria. Guida la giovane regina a riconoscere la sua vera identità, le sue origini, la sua storia, l’appartenenza a un popolo. Provoca in lei un affidamento incondizionato alla volontà di Dio. Quando Ester risponde: «Se ho trovato grazia davanti al re, sia risparmiata la vita a me, secondo la mia domanda, e al mio popolo, secondo la mia richiesta (Ester 7,1-3) – è realmente ciò che vuole lei. L’influenza che Ester esercita su re Assuero non è una seduzione. Ella manifesta una bellezza rigenerata nella preghiera, purificata nel digiuno, rinvigorita nella penitenza, lavata nelle lacrime e risveglia nel re quello stupore primordiale che provò Adamo quando il Creatore gli presentò la donna per la prima volta. E ciò che chiede come grazia è la vita, per lei e per il suo popolo. A differenza della figlia di Erodiade che chiede la morte ingiusta di un uomo giusto.
La ragazza che poteva ottenere magnifici doni insieme alla benevolenza del re, ora si trova, sotto gli occhi di tutti, come una macabra visione che fa passare ogni fantasia. La sensazione di onnipotenza provata da Erode si sgonfia e con essa anche l’euforia di quel banchetto. Alla fine non gli rimane altro che la tristezza e il disgusto. Erodiade s’inebria del proprio veleno in compagnia della sola sua malvagità che con le selvagge grida di vittoria soffoca i sospiri di una coscienza in agonia. Il più grande tra i nati da donna finisce con una morte così banale. Solo quelle mani pietose, che con tenerezza raccolgono il corpo mutilato di un giusto ucciso, per seppellirlo con la dignità che merita ogni essere umano, impediscono all’esuberante crescendo di ritmo e di melodia di finire in una raccapricciante dissonanza, quietandola in un sommesso accordo in tonalità minore dove il tragico e il malinconico si abbracciano. Non è forse questo il preludio di una grande opera? Preannuncia il tema principale che poi verrà ripreso dal Figlio dell’uomo e in cui l’accordo finale preparerà il risveglio di una nuova melodia, tenera e invincibile come la bellezza dell’aurora.
A laude di Cristo. Amen.
sr. RENATA STEFANIA, clarissa