Matarazzo Giuseppe
Quando le immagini raccontano paure e speranze
2022/6, p. 1
Mentre dall’Ucraina aggredita dall’esercito russo scorrono davanti a noi immagini e sentiamo testimonianze che ci raccontano il dolore, la distruzione e la morte nel cuore dell’Europa, torniamo ad altre istantanee dalla pandemia. Lo facciamo riportando una nostra riduzione dell’intervento di Giuseppe Matarazzo al Convegno di Collevalenza “C’è dell’oro in queste ferite. Traumatizzati o trasformati? La Vita Consacrata durante e dopo il Covid-19”. Sono immagini, racconti, emozioni che il virus ci ha fatto vedere. In comune le immagini di oggi della guerra e le istantanee di ieri della pandemia hanno il vuoto, l’emergenza, la paura, l’attesa, la speranza.

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Quando le immaginiraccontano paure e speranze
Mentre dall’Ucraina aggredita dall’esercito russo scorrono davanti a noi immagini e sentiamo testimonianze che ci raccontano il dolore, la distruzione e la morte nel cuore dell’Europa, torniamo ad altre istantanee dalla pandemia. Lo facciamo riportando una nostra riduzione dell’intervento di Giuseppe Matarazzo al Convegno di Collevalenza C’è dell’oro in queste ferite. Traumatizzati o trasformati? La Vita Consacrata durante e dopo il Covid-19”. Sono immagini, racconti, emozioni che il virus ci ha fatto vedere. In comune le immagini di oggi della guerra e le istantanee di ieri della pandemia hanno il vuoto, l’emergenza, la paura, l’attesa, la speranza.
«Sto per firmare un provvedimento che possiamo sintetizzare con l’espressione “io resto a casa”. Ci sarà l’Italia come zona protetta». È il 9 marzo 2020. Alle ore 21, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte parla in diretta televisiva da Palazzo Chigi, in una serata passata alla storia. L’annuncio dell’imminente firma di un decreto-legge che avrebbe esteso a tutto il Paese la zona rossa già attiva nelle prime regioni colpite dall’epidemia di Covid-19.
Da un giorno all’altro la vita degli italiani cambia. L’Italia è il primo Paese occidentale a vivere l’esperienza del «confinamento», il lockdown, un vocabolo nuovo che diventerà abituale nell’intero pianeta. Chiude praticamente tutto: scuole, bar, ristoranti, teatri, cinema e musei, negozi e palestre. Sospesi tornei sportivi, cerimonie religiose e civili. Tutto. Nei posti di lavoro entra prepotentemente lo smart working, il lavoro agile, facendo cadere il confine fra vita privata e vita professionale.
Abituati a fare il giro del mondo in poche ore d’aereo, improvvisamente il nostro mondo si è ridotto alle mura di casa. La casa diventa il centro del mondo. Le città si scoprono nude, come dimostrano innumerevoli servizi fotografici e televisivi.
È l’inizio di «un’altra vita» che scorre su altre strade. Sui canali social. È una vita che diventa immagine. Filtrata da device, da schermi e strumenti tecnologici. Il nostro racconto avviene per queste vie. Impossibilitati a muoverci, siamo costretti a guardare il mondo dalle finestre. Quelle di casa, certo. E quelle televisive, che ci restituiscono la realtà apocalittica che c’è là fuori.
La psicologa Maria Martello, esperta di mediazione per la risoluzione dei conflitti, ha tracciato una sua visione dell’epoca, lungo tre direttrici:
L’imprevisto. «L’imprevisto ha messo a soqquadro la nostra vita. L’incerto ha scardinato le nostre giornate, le nostre relazioni. Persino la scienza è stata costretta a navigare a vista. Ma tutto questo può essere un dono formativo per i nostri figli: imparare a non dare tutto per scontato e a scegliere le cose che contano davvero. Abbiamo tutti la possibilità di uscirne cambiati, ma solo se saremo capaci di guardarci pienamente dentro».
Il senso del limite. «Nel pieno della globalizzazione ci ritroviamo a casa, a fare i conti con il senso del limite. Anche questa è un’opportunità. Perché non è un limite: è un sapere vedere oltre la siepe. Da mesi viviamo circondati dalle “siepi”, materiali, fisiche: i muri delle nostre case, stanze, i video dei nostri computer».
Il valore del tempo. «Siamo una generazione che ha poco sperimentato il lento processo di avvicinamento a un luogo, che non ha visto il lento impasto del pane e la cottura nel forno a legna. Ma non occorre tornare al treno a vapore. Occorre cogliere questa occasione per scoprire i tempi per ciascuna cosa. Le relazioni sono un eterno banco di prova per scandire i tempi. Disse la volpe al Piccolo principe: “Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami”».
Sorrisi e abbracci
Due gesti quotidiani abbiamo perso in questo tempo, privati delle nostre naturali espressioni di gioia e di saluto. Dov’è il sorriso? Sotto la mascherina. Dopo anni di selfie a raffica, che fine fanno tutti i nostri sorrisi lasciati per strada o con i nostri amici, in un negozio o sulla metropolitana, al mercato, allo stadio o al parco? Quale sorriso viaggia in Rete fra le 90 milioni di foto postate ogni giorno su Instagram?
Sugli abbracci perduti punta lo spot del governo per sostenere la campagna di vaccinazione di massa, associata all’immagine di un fiore, la primula, che trasmette l’idea di serenità e rigenerazione poiché sboccia per prima dopo l’inverno, annunciando il risveglio della primavera. Se il virus ci ha chiuso negli ospedali e nelle case, il vaccino ci riporterà finalmente a contatto con la vita sociale e con la natura che ci circonda. Vaccinarsi sarà dunque un atto di fiducia nel futuro, di responsabilità civile e di amore verso gli altri. A questo concetto si ispira anche il pay-off della campagna “L’Italia rinasce con un fiore”. Il regista siciliano Giuseppe Tornatore ha accettato di ideare e realizzare uno spot, con le musiche del maestro Nicola Piovani, intitolato La stanza degli abbracci: protagoniste dello spot sono un’anziana madre degente di una casa di riposo e sua figlia. Entrambe indossano la mascherina e si incontrano dopo tanto tempo. A separarle un telo di plastica, che permette loro un abbraccio. La madre chiede alla figlia cosa ha deciso di fare (in merito al vaccino). La figlia risponde di avere molti dubbi. L’anziana signora, a questo punto, manda un messaggio chiaro: «Devi volerti bene». Dopo queste parole un vento improvviso solleva il telo di plastica.
Il racconto dello “straordinario”
I media raccontano lo straordinario che avviene fuori dalle nostre mura con immagini che per la loro potenza e retorica si rivelano portatrici di messaggi universali. Così, insieme alle città vuote, consegnano alla storia una serie di fotografie pubbliche e iconiche che hanno scandito le prime settimane di confinamento. Alcuni esempi:
L’infermiera sfinita. 8 marzo, Cremona, l’infermiera Elena Pagliarini viene immortalata da una collega mentre, sfinita, crolla sul posto di lavoro con ancora indosso la tuta protettiva e la mascherina. Ha spinto la tastiera verso il computer e ha piegato un lenzuolo sulla scrivania, per appoggiarci la testa. «Non era ancora finito il turno ma ero stremata».
Il Papa a piedi per Roma. 15 marzo. Lasciato il Vaticano, papa Francesco si è recato a piedi prima in visita alla basilica di Santa Maria Maggiore per rivolgere una preghiera alla Vergine. Poi ha percorso un tratto di via del Corso «come in pellegrinaggio» per raggiungere la chiesa di San Marcello al Corso dove ha pregato davanti al Crocifisso che nel 1522 venne portato in processione per i quartieri della città perché ponesse fine alla “Grande Peste”.
Le bare di Bergamo. La sera del 18 marzo una colonna di 30 mezzi militari è fotografata all’uscita del cimitero di Bergamo – una delle province più colpite – durante le operazioni di trasferimento di un centinaio di bare verso forni crematori situati in altre regioni.
Il mondo a San Pietro. Il 27 marzo, in una piazza deserta avvolta da un silenzio assordante, sotto la pioggia, papa Francesco rivolge la sua preghiera e la sua benedizione Urbi et orbi in una visione che appare – anche per le parole del Pontefice – apocalittica: «Dio, non lasciarci in balia della tempesta». È l’immagine più potente di quel periodo.
Il racconto dell’ordinario
Il racconto di noi passa dai balconi. L’Inno cantato con le finestre aperte alla stessa ora, gli appalusi per i medici, i concerti improvvisati, gli striscioni con l’arcobaleno e lo slogan con l’hashtag #andràtuttobene. Un ordinario che viene raccontato da ciascuno di noi, attraverso i social, le chat, le piattaforme online, di una comunità che non vuole essere solo virtuale. Racconti spontanei nati sull’istante, altri più costruiti come un diario della quarantena. Ma anche professionisti, fotografi che hanno pensato e proposto visioni inedite, progetti e chiavi di lettura di questa umanità a casa.
Il racconto dell’ordinario ci porta a Finale Ligure: il Covid e il lockdown presi a… racchettate, da Carola e Vittoria che non rinunciano allo sport che amano: il tennis. Il loro gioco da una terrazza di due palazzi che si guardano conquista tutti. Dal campione Roger Federer alla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.
E poi ci sono i diari. A ciascuno il suo diario, potremmo dire. Digitali o fatti in casa con le foto stampate dai telefonini e incollate come “antichi” album di famiglia, per non dimenticare, così come dovremmo fare ogni tanto, salvando dall’oblio delle gallerie telefoniche le migliaia di foto che scattiamo, in quella che lo spagnolo Joan Fontcuberta definisce La furia delle immagini (Einaudi, 2018).
È delizioso il diario in pubblico di emozioni e visioni “perse” di Ella Frances Sanders, che raccoglie in un libro, Di nuovo vicini, «le meraviglie che accadono quando possiamo stare vicini».
A scuola, in Dad
Ci sono le immagini delle scuole chiuse, di una generazione bruciata, lontana dai banchi, davanti a tablet e pc. C’era una volta la scuola, ora c’è la Dad, la Didattica a distanza. Una situazione assurda e inimmaginabile che con profonda ironia ha raccontato l’attrice palermitana Teresa Mannino in una serie di sketch di pochi minuti su Instagram. «Ragazzi mi sentite? Ci siete?». «Professoressa, la vediamo ma non la sentiamo». «Ora mi sentite?». «Nooo». «Allora cominciamo la lezione… Non vi dovete demoralizzare, ragazzi: c’è sempre un lato positivo nelle cose... Andremo a finire diretti nei libri di storia. Così l’anno prossimo vi dovete fare un capitolo in più…».
Non mancano le immagini degli stadi vuoti, con i tifosi virtuali creati con effetti televisivi, e le platee senza pubblico con attori che recitano in streaming.
Un occhio all’ambiente
Un leone marino della California “gioca” con una mascherina. Una Ffp2. È la fotografia del tempo che viviamo. Così lo scatto di Ralph Pace che ha vinto il primo premio della categoria “Ambiente” dell’edizione 2021 del World Press Photo, il più importante contest internazionale di fotogiornalistico, fa riflettere. Delle due emergenze assolute – una congiunturale, l’altra tendenziale – che assillano il pianeta: la pandemia e l’ambiente. Più preoccupati della prima, mentre la seconda può sempre – erroneamente – attendere. Le mascherine chirurgiche si scompongono nel tempo in milioni di particelle microplastiche, che vengono mangiate dai pesci e da altri animali, e quindi trasportano la contaminazione lungo la catena alimentare, interessando potenzialmente anche gli esseri umani».
Ma c’è il lato positivo. Abbiamo visto le chiare, fresche e dolci acque nei Canali di Venezia, Trieste, Napoli. Senza l’uomo e i suoi spostamenti, la natura si riappropria della Terra, i pesci dei mari. Il paesaggio cambia. E se tutti siamo rimasti giù per terra, con gli aerei fermi e gli aeroporti deserti, con un colpo durissimo all’economia del turismo, dall’altro è riemerso un nuovo desiderio di mettersi in cammino, con il boom del turismo lento e sostenibile.
GIUSEPPE MATARAZZO