Un centenario della morte per celebrare la vita
2022/2, p. 18
Aveva compreso la funzione della monaca: sacrificarsi per offrire a Gesù la nostra
compassione. Sacrificarsi per la Chiesa, per le missioni, per il Papa, per i sacerdoti,
per i peccatori, per i sofferenti, per i malati, per le anime purganti. In lei era pure vivo
un afflato ecumenico che la faceva ardere, quasi desiderosa di immolarsi per l’unità.
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BEATA MARIA FORTUNATA VITI
Un centenario della morte
per celebrare la vita
Aveva compreso la funzione della monaca: sacrificarsi per offrire a Gesù la nostra compassione. Sacrificarsi per la Chiesa, per le missioni, per il Papa, per i sacerdoti, per i peccatori, per i sofferenti, per i malati, per le anime purganti. In lei era pure vivo un afflato ecumenico che la faceva ardere, quasi desiderosa di immolarsi per l’unità.
Ricordiamo nel corrente 2022 i cento anni dalla morte della beata Maria Fortunata Viti. È bello che nella copertina del calendario liturgico benedettino di quest’anno sia stato apposto un suo ritratto. Ed è a questa umile figlia di san Benedetto che chiediamo una particolare intercessione perché le nostre comunità monastiche possano crescere nel fervore e nella fedeltà.
Così esordisce il profilo biografico posto a premessa del calendario: «Il 20 novembre 1922, all’ora del Vespro, in una piccola stanza del monastero di Santa Maria dei Franconi in Veroli, moriva suor Maria Fortunata Viti. Era arrivata a novantasei anni, settantuno dei quali vissuti come religiosa in clausura. Venticinquemila giorni uniformi; impegnata sempre allo stesso lavoro e nello stesso ambiente; ma suor Maria Fortunata non ebbe alcuna noia del “quotidiano” perché sempre desta era in lei la fiamma dell’amore che le faceva trascendere i limiti stessi della clausura».
San Paolo VI, nel giorno della beatificazione di suor Maria Fortunata, l’8 ottobre 1967, ebbe a sottolineare proprio come «la vita di questa monaca, quantunque contenuta nello schema semplicissimo e disadorno d’una conversa di un monastero di clausura, non è povera, non è monotona, non è priva di delicate esperienze spirituali».
Fu dunque questo il suo segreto? Lo rivelano alcune sue parole riportate nella Premessa al calendario: «Non perdiamo tempo, esso è prezioso quanto l’eternità. Ad ogni istante noi possiamo trovare e perdere Iddio! Nemmeno in cielo vorrò riposarmi, poiché mi sentirò spinta a fare qualcosa di buono». Davvero, nella sua lunga e laboriosa esistenza terrena, ella ha vissuto ogni attimo senza distrarsi da quello che era il senso e il centro della sua esistenza di donna e di monaca.
Il suo itinerario di santità
L’itinerario di santità della beata Maria Fortunata Viti ci raggiunge e ci attrae. Ci affascina nella sua quieta modestia, nello snodarsi di una esistenza senza segni grandiosi ma nella quotidiana fedeltà a Dio e al prossimo, al Vangelo e alla Regola; un misterioso, invisibile intreccio e scambio tra naturale e soprannaturale che questa piccola-grande benedettina ha vissuto con continuo stupore e ordinaria semplicità. Di qui il sospiro che erompeva grandioso e vivificante dal suo cuore, una sorta di grido dell’anima: «Potenza e carità di Dio!». Un ritornello costante, una ammirazione ferma, un riconoscimento certo di quella presenza divina che permea ogni cosa, dal creato alle occupazioni feriali, dalle vicissitudini anche dolorose della vita alla pienezza di fusione dell’anima con l’Amato.
Lo esprimeva bene mons. Andrea Sarra in una agevole biografia della beata Viti: «La vita di un monastero di clausura è tra le più intense che si possano vivere. Le giornate son piene di preghiera e di lavoro. Da prima che spunti l’alba fino ad alcune ore della notte. Mai ferme. La preghiera è quella biblica: l’ufficio divino tessuto della divina poesia dei salmi, delle lezioni scritturistiche e patristiche. Alla preghiera si alterna il lavoro. Anzi il lavoro, nella concezione benedettina, è preghiera».
Per la beata Fortunata Viti la clausura è stata luogo di santificazione che, secondo la comparazione operata dalla prof.ssa Letizia Li Donni, equivale a maturazione: «Tra i mezzi scelti dalla Beata, la Regola di san Benedetto ben si adattò al suo carattere per natura portato all’ordine, alla moderazione, alla fortezza, alla dolcezza, allo slancio mistico e all’equilibrio delle forze interiori: qualità ritenute componenti essenziali di una personalità autenticamente matura e spiritualmente ricca».
Anna Felice Viti non entra in monastero per rifugiarsi, per evadere dalle dolorose responsabilità familiari o perché resa infelice dalle avverse vicende della vita. Anzi sono proprio queste, abbracciate con eroica abnegazione e portate a compimento, a prepararla alla vita monastica, a fare sviluppare in lei quei germi di santità che, nei lunghi anni di vita claustrale, sono diventati il faro di luce che a tutt’oggi ci raggiunge e ci sostiene.
Una carità che spaziava oltre la clausura
Come scriveva ancora mons. Sarra, «la carità di suor Maria Fortunata, spaziava oltre la clausura. Aveva compreso la funzione della monaca. Sacrificarsi per offrire a Gesù quello che manca alla sua passione: la nostra compassione. Sacrificarsi per la Chiesa, per le missioni, per il Papa, per i sacerdoti, per i peccatori, per i sofferenti, per i malati, per le anime purganti […]. Le grate della clausura non furono per lei un limite o un riparo, ma una condizione di offrirsi a Dio per amore di tutti gli uomini». In lei era pure vivo un afflato ecumenico che la faceva ardere, quasi desiderosa di immolarsi, per l’unità.
L’esperienza della beata Maria Fortunata Viti ci insegna come la clausura, intesa come spazio dell’anima, aiuta la monaca a dare il giusto valore all’esistenza e alle cose. Questo non ci esonera da uno stile di vita segnato dal lavoro e dalla fatica. E soprattutto dalla vicinanza solidale: «Di fronte ai drammi che stanno sconvolgendo l’umanità, il silenzio è umiltà di chi sta come Maria ai piedi della Croce, in orante attesa della resurrezione. Si ha bisogno di tacere per ascoltare il Dio vivente che dona la vita. Allora si è anche pronti non per fare grandi cose, ma per gettare se stessi come semi di pace nei solchi della storia. È questa la funzione dei monasteri».
È stato detto che, qualora a Veroli si fosse smarrita la regola benedettina, sarebbe bastato guardare all’esempio della beata Maria Fortunata per riscriverla di nuovo. Così come per la Bibbia rifacendosi agli antichi Padri del deserto. Perché quando la Parola di Dio trasfusa in una parola umana, quale è una regola monastica, diventa esperienza vitale, essa risuona, esprime la sua efficacia in una creatura resa luce riflessa di Chi la illumina, alimenta e sostiene. Per questo motivo la beata Maria Fortunata è dono e modello. Di vita evangelica prima di tutto. E vita evangelica è quel «nulla anteporre all’amore di Cristo» che è fulcro ed essenza della regola benedettina. Non altro che la buona novella della salvezza, di un Amore più grande che ci è donato perché possiamo donarlo.
L’umiltà come imitazione di Cristo
E tutto era da lei riconosciuto e accolto come una grazia. Ecco perché l’umiltà che ha caratterizzato la nostra consorella era prima di ogni cosa imitazione del Cristo, del suo annientamento, del suo ritrarre la dimensione della divinità per fare spazio alla natura umana per redimerla (cfr Fil 2,6-11). Si fonda proprio qui la scelta volontaria e ferma di Anna Felice Viti di assumere, entrando in monastero, la condizione di serva chiedendo di essere accolta come conversa. E dire che, proprio a seguito delle sfortunate vicende della sua infanzia, conobbe già la fatica e l’umiliazione di andare a servizio in casa altrui per aiutare la propria famiglia caduta in miseria. Il vizio del gioco che aveva ottenebrato ogni senso di responsabilità del padre, già benestante, fu causa non soltanto di una permanente povertà, ma anche della dipartita prematura della mamma, Anna Bono che, morendo, affidò i suoi nove figli ancora piccoli alla Santissima Trinità.
Il Cristo crocifisso è sempre stato per Maria Fortunata icona ed emblema, maestro e sacerdote: nella costante meditazione della passione di Nostro Signore, questa illetterata, ignorante delle cose terrene, è diventata dotta e sapiente delle realtà celesti. Anche della suprema consegna del perdono. Mai, infatti, la giovane Felicetta ebbe gesti e parole di risentimento nei confronti del padre, ma sempre di rispetto, inculcandolo anche ai fratelli e alle sorelle dei quali, in quanto già matura e assennata, si prese cura materna.
Di qui non solo la qualifica, potremmo dire la “specializzazione” di Maria Fortunata, che fu l’umiltà, ma anche l’eroicità con cui visse le virtù teologali e quelle monastiche: l’obbedienza, la fede nei superiori, la semplicità, la serenità, lo stupore per le opere della grazia divina, la forza nel sostenere le prove della vita e le sofferenze.
La sua devozione alla Madonna
La beata Viti, inoltre, fu tanto devota alla Madonna. «Un giorno – racconta una religiosa – la già vecchia suor Maria Fortunata udì cantare: “Andrò a vederla un dì in cielo patria mia, andrò a veder Maria, mia gioia e mio amor”. Come elettrizzata si avvicinò a me, e ripetendo “Al cielo, al cielo!”, mi prese per un braccio e voleva trascinarmi con sé. Meravigliata di una cosa così insolita, le chiesi: “Ma è impazzita?”. Non mi rispose, mi guardò con aria ispirata, ripetendo con vera gioia: “Al cielo, al cielo, andrò a veder Maria…. Maria, la buona Madre, in Paradiso!”».
Tra cielo e terra è l’espressione più bella che sintetizza l’esperienza della beata Maria Fortunata; ella non visse come sospesa, quasi eterea, ma saldamente ancorata alla terra e, quindi, capace di comprendere e gustare l’attrattiva del cielo. Povera in spirito, nel distacco interiore dai beni creati, ha saputo elevarsi a Dio con l’intima certezza di essere da Lui guidata e sostenuta, così da essere pronta per il Regno dei cieli vivendo continuamente nella logica della gratitudine. Per questo vogliamo congedarci con una bella espressione di questa donna, cristiana, monaca veramente “fortunata”: «Sia sempre benedetto e ringraziato Dio, che fa tutto per il nostro bene».
Questi sono i Santi: ponti, segnaletiche, traghettatori per arrivare là dove ogni anima è orientata, alla piena comunione con il Signore che opera meraviglie e che vuole il bene per ogni figlio e figlia.
SUOR MARIA CECILIA LA MELA OSBAP