Valorizzazione e riuso del patrimonio delle comunità di vita consacrata
2021/9, p. 31
Il convegno si terrà il 4 e 5 maggio 2022 a Roma presso il Pontificio Ateneo Antonianum, promosso dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata
e le Società di Vita Apostolica e dal Pontificio Consiglio della Cultura.
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CONVEGNO SUL PATRIMONIO CULTURALE DELLE COMUNITÀ
Valorizzazione e riuso del patrimonio
delle comunità di vita consacrata
Il convegno si terrà il 4 e 5 maggio 2022 a Roma presso il Pontificio Ateneo Antonianum, promosso dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica e dal Pontificio Consiglio della Cultura.
Secondo i dati dell’Annuarium statisticum Ecclesiae se la riduzione del numero dei religiosi in Italia rimanesse costante, nel 2046 si arriverebbe alla loro scomparsa. Tale proiezione, seppure limitata ed intuitiva, ha il solo scopo di evidenziare l’importanza del fenomeno. La riduzione dei consacrati implica la riduzione nel numero delle loro case, fenomeno non raramente gestito con criteri di emergenza più che in rapporto ai piani carismatici propri di ogni istituto.
Tra il 1985 e il 2015 le case religiose in Italia sono passate da 17.585 a 10.293, diminuendo complessivamente del 40%, e annualmente dell’1,3%: nel bel paese in 30 anni sono state chiuse 2 case religiose ogni 3 giorni. Il fenomeno sta continuando a crescere: tra il 2013 e il 2017 le case religiose sono passate da 10.784 a 9.687 diminuendo del 10% in 4 anni, con un decremento del 2,5% annuo. Chiudere una casa religiosa è cosa difficile: non solo dal punto di vista affettivo ma anche perché viene avvertito come punto di non ritorno, più che come un passo verso un futuro a cui rispondere. Si preferisce così diminuire il numero dei membri delle comunità continuando a mantenere le case aperte, anziché chiuderle in numero proporzionale alle defezioni dei religiosi. Tanto che, sempre secondo le proiezioni ricavate dai dati dell’Annuarium statisticum Ecclesiae, nel 2046 se l’andamento della chiusura delle case fosse confermato, si arriverebbe all’assurdo di 1.557 case religiose aperte con nessun consacrato presente. Il fenomeno osservato suggerisce che nei prossimi anni dopo aver ridotto il numero dei membri delle diverse comunità, si arriverà ad un ulteriore incremento delle chiusure.
Convegno del prossimo maggio 2022
Nel corso del 1800, con l’eversione dell’asse ecclesiastico, si giunse alla soppressione degli Istituti di vita consacrata e l’autorità pubblica si appropriò dolorosamente degli immobili ecclesiastici degli enti soppressi. Grazie all’inventario dei “beni delle corporazioni religiose” sappiamo che i provvedimenti emanati tra il 1855 e il 1861 portarono alla chiusura di 2.075 case religiose italiane. Oggi non ci troviamo di fronte a nuove soppressioni ma ad un cambiamento endogeno che porterà ad un numero di chiusure ancor più elevato (in Italia siamo già a 7.898 nel periodo 1985 - 2017). Per questo tale fenomeno merita di essere osservato, gestito e “almeno” trascritto in un inventario. Sono questi i temi del prossimo Convegno Internazionale “Carisma e creatività, Catalogazione, gestione e progetti innovativi per il patrimonio culturale delle comunità di vita consacrata” che si terrà il 4 e 5 maggio 2022 a Roma presso il Pontificio Ateneo Antonianum, promosso dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica e dal Pontificio Consiglio della Cultura.
Tra le novità è presente una call for paper (richiesta, o raccolta di contributi) aperta a ricercatori, alle comunità di vita consacrata e ai loro consulenti e collaboratori, alle fondazioni, alle associazioni e agli enti che gestiscono beni culturali di enti religiosi. La scadenza per le proposte è fissata al 27 settembre 2021. http://www.cultura.va/content/dam/cultura/docs/pdf/beniculturali/carisma/callITA.pdf
“Il convegno romano sarà un catalizzatore delle sperimentazioni e delle esperienze che sono, a scala globale, già in essere, per permetterne uno scambio e un’amplificazione, e un primo censimento delle migliori pratiche.” Ci si porrà in ascolto con chi ha già attuato riusi del patrimonio culturale. Gli estensori dell’iniziativa più volte incoraggiano gli operatori e i realizzatori di buone pratiche di censimento, gestione o valorizzazione a darne notizia rispondendo alla call indicata.
Il convegno offre un’occasione preziosa affinché le famiglie religiose abbiano un’occasione di confronto e di scambio rispetto alle buone pratiche applicate o al passaggio di informazioni rispetto a rischi ed errori da evitare. È per questo che, seppur consapevoli del carico spesso eccessivo che grava sulle spalle dei membri deputati al governo degli istituti, è importante raccogliere la proposta della call for paper e offrire la propria esperienza a vantaggio della Chiesa e della collettività.
Il percorso verso la valorizzazione e riuso del patrimonio delle comunità di vita consacrata racchiude in sé alcune sfide e ne indico quattro in particolare.
1.Le finalità della tutela e della valorizzazione
Nel novembre 2018 nel saluto ai partecipanti al convegno dedicato al riuso degli edifici di culto “Dio non abita più qui?” il Pontefice ricordava che “i beni culturali sono finalizzati alle attività caritative svolte dalla comunità ecclesiale.” Beni culturali e carità sono un binomio inscindibile che ricorda il monito di san Francesco circa “il buon esempio che siamo tenuti a dare al prossimo in ogni cosa”. In Italia vedere un immobile ecclesiastico in “attesa” o dismesso è ormai diventata una consuetudine e ciò è una grave omissione verso i più bisognosi. Tra le necessità emergenti nel paese sono richiesti spazi abitativi adeguati per le fasce di popolazione fragile. Perché non pensare anche a protocolli di intesa con chi sta organizzando il riuso di immobili dismessi come abitazioni grazie anche ai fondi europei?
2.Quale valorizzazione?
In ambito immobiliare il termine valorizzazione ha due significati distinti. “Può essere inteso come accrescimento del valore culturale – purtroppo spesso scollegato dal quadro di sostenibilità economica di tale processo – o come aumento del valore monetario e/o finanziario del bene (definizione propria in materia di real estate). In ambito ecclesiale occorre elaborare un concetto di valorizzazione dei beni materiali che includa la loro caratteristica specifica di beni ecclesiastici, quindi di essere subordinati ai fini della Chiesa in un quadro di sostenibilità ambientale, economica, sociale, architettonica, storica, artistica, spirituale ed ecclesiale.” “La valorizzazione delle case religiose, quali beni ecclesiastici, deve avere come finalità quella di conseguire un valore sociale, carismatico ed ecclesiale possibilmente equiparabile alla situazione precedente, ma anche essere adeguata alle necessità contemporanee in conseguenza della variazione dell’utilità, della funzione e del valore sociale del nuovo uso. Ciò soddisfacendo criteri spirituali, di sostenibilità economica e ambientale a valere nel tempo e nel rispetto delle caratteristiche architettoniche dei manufatti e della loro storia.”
Fondamentale è coniugare la gestione dei beni immobili con le ultime encicliche sociali: Laudato si’ e Fratelli tutti rendendo viva l’ecologia integrale promossa da papa Francesco.
È necessario rispettare “la voce della terra e quella dei poveri” e quindi riusare gli immobili ecclesiastici per promuovere condivisione, economia circolare, processi generativi e anche applicare tutte le strategie per ridurre l’impatto ambientale dei beni immobili prendendo l’occasione del riuso come momento strategico per arrivare alla transizione ecologica. Non più immobili che contribuiscono a produrre il 40% delle emissioni di carbonio (il settore immobiliare inquina più dei trasporti e di ogni altro ambito), ma edifici capaci di produrre energia rinnovabile con impatto zero. Certo la situazione italiana che non prevede fondi pubblici per la transizione ecologica delle proprietà degli enti ecclesiastici non aiuta, ma l’invito di papa Francesco, che sta lavorando per costruire il primo Stato ad impatto zero, non può restare inascoltato. Piuttosto sarebbe opportuno che tale difficoltà stimoli sforzi per cambiare tale situazione. Inoltre per gli immobili dei consacrati, che sono nati in relazione e a servizio delle persone e dei territori circostanti, il venir meno dei religiosi non dovrebbe cancellare i segni del carisma fondativo, l’armonia con il creato e la bellezza epifanica di cui spesso sono portatori. Ideare i modi con cui perpetrare tali valori sono le sfide insite nel fenomeno rilevato. L’ecologia integrale chiama inoltre al rispetto delle molte interconnessioni presenti tra i sistemi di cui anche gli immobili ecclesiastici fanno parte: “qualsiasi azione sul patrimonio immobiliare ecclesiastico che non consideri una simultanea azione di coinvolgimento della comunità civile e territoriale, è un progetto che parte all’insegna del fallimento in quanto fallisce il potenziale sociale ed ecclesiale del bene stesso”.
3.Valore culturale del patrimonio delle comunità di VC
Il convegno ha come soggetto il patrimonio culturale delle comunità di vita consacrata. Quali sono i beni culturali ecclesiastici? “In relazione all’ambito dei beni immobili – che è un ambito parziale rispetto a quello considerato dal convegno che si occupa di beni materiali e immateriali, mobili e immobili – la legge italiana risponde con i criteri dettati dalla legge Urbani 128/2004 secondo i quali un immobile deve aver raggiunto i 70 anni di età, l’autore del progetto deve essere deceduto ed il MIC deve aver valutato affermativamente la verifica di interesse culturale. È evidente che la risposta della Chiesa non può prescindere dal suo fine più elevato che è quello di rendere testimonianza al Salvatore mediante l’applicazione di criteri evangelici. Ci si augura che il convegno si occupi, non solo degli immobili tutelati dalle autorità statali ma anche di altri immobili che potrebbero non avere valore artistico, ma che risultano significativi rispetto ai criteri evangelici. Ad esempio un immobile destinato a mensa dei poveri è un bene evangelicamente rilevante a prescindere dalla sua storia e dalla sua forma. In conseguenza di ciò sarà opportuno tutelare adeguatamente quel bene.” Emerge in questo quadro il tema dell’edilizia realizzata a cavallo degli anni ’60 – spesso immobili coerenti con la scarsa qualità costruttiva di tali anni – di cui comunque è opportuno occuparsi e che potrebbero più facilmente rispondere alle domande delle nuove povertà.
4.Sostegno alla gestione immobiliare e
alla tutela dei beni delle comunità di VC
Il documento finale del sinodo dei Giovani 2018 al § 17 è intitolato Il peso della gestione amministrativa e riporta: “Molti Padri hanno fatto notare che il peso dei compiti amministrativi assorbe in modo eccessivo e a volte soffocante le energie di tanti pastori; questo rappresenta uno dei motivi che rendono difficile l’incontro con i giovani e il loro accompagnamento. Per rendere più evidente la priorità degli impegni pastorali e spirituali, i Padri sinodali insistono sulla necessità di ripensare le modalità concrete dell’esercizio del ministero.”
Se la Chiesa gerarchica risulta così affaticata, e in Italia ha risorse umane qualificate (gli operatori degli uffici per i beni culturali), programmi con indicazioni nazionali e risorse economiche destinate ai beni immobili, tanto più sono appesantite le comunità di vita consacrata a cui mancano tali supporti. Vi si aggiunga una decrescita delle vocazioni e un innalzamento dell’età media ben più rapidi che tra il clero diocesano. Diventa così fondamentale quanto auspicato dal cardinale Ravasi nell’intervista pubblicata nel Giornale dell’architettura https://ilgiornaledellarchitettura.com/2021/02/08/intervista-gianfranco-ravasi/: “la nascita di équipe di specialisti – architetti e storici dell’arte, esperti di amministrazione, di gestione e di diritto – che in ogni nazione si costituiscano come un gruppo di sostegno permanente a servizio delle comunità di vita consacrata. Un progetto che parta da quelle più fragili e isolate. Senza sostituirsi ai tecnici e ai referenti consueti di ciascuna comunità, questi specialisti dovrebbero agevolare una gestione ecclesialmente responsabile dei beni culturali, alleggerendone il carico alle comunità proprietarie e promuovendone cautamente una visione nuova, come oggetto della propria progettazione pastorale e missionaria.”
Lo scorso 2 febbraio in occasione della XXV giornata mondiale della vita consacrata papa Francesco ricordava che “non possiamo restare fermi nella nostalgia del passato o limitarci a ripetere le cose di sempre”. L’invito a presentare buone pratiche di valorizzazione carismatica dei beni dei consacrati, – o anche esperienze non del tutto riuscite così da poter imparare dagli errori – riguarda ogni Ordine o Istituto e ci auguriamo possa trovare ampia risposta così che, visto che siamo sulla stessa barca, sarà più facile navigare.
FRANCESCA GIANI
fgiani@fondazionehumanitate