Dall'Osto Antonio a cura
Brevi dal Mondo
2021/3, p. 37
MOZAMBICO: Ciclone Eloise tanta devastazione e sofferenza PAPA FRANCESCO AI RELIGIOSI: Il coraggio della pazienza IL CARD. TAGLE :“La missione è condividere l’amore ricevuto da Dio, per pura gratitudine”

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Testimoni
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Mozambico
Ciclone Eloise: tanta devastazione e sofferenza
Il 23 gennaio scorso un violento tifone ha devastato un’ampia zona del Mozambico: case scoperchiate dalla violenza del vento, che ha portato via i tetti e le lamiere. Abitazioni di argilla divenute fiumi di fango a causa della pioggia battente. Arredi completamente distrutti. Sei persone morte e 12 ferite, 8.800 case distrutte, tra cui 26 centri sanitari. Secondo l’Unicef in Mozambico centrale oltre 176.000 persone, compresi 90.000 bambini, avranno probabilmente bisogno di assistenza umanitaria. Perfino la casa dell’arcivescovo ha subito seri danni: “Più della metà del tetto è volata via, sono crollati i controsoffitti, tutti i mobili sono bagnati. Anche altre strutture parrocchiali sono state danneggiate. Girare per i quartieri più poveri e vedere tante case distrutte, con la povera gente che cerca riparo, fa male al cuore. C’è tanta sofferenza” racconta all’Agenzia Sir, da Beira, don Maurizio Bolzon, missionario fidei donum della diocesi di Vicenza. Insieme a due confratelli veneti vive da circa quattro anni una esperienza di unità pastorale in terra africana, sotto la guida dell’arcivescovo don Claudio Dalla Zuanna, dehoniano vicentino.
Il Mozambico è un Paese spesso sconvolto da forti cicloni, l’ultimo violentissimo (forza 5) è stato il ciclone Idai nel 2019, che uccise almeno 900 persone. Stavolta il ciclone Eloise è stato forza 3, ma si è fatto comunque sentire con prepotenza, seminando danni e dolore. Le possibili epidemie di malattie legate all’acqua, come diarrea e colera, sono poi la principale preoccupazione nelle aree inondate. Questa è la seconda potente tempesta a colpire il Paese in meno di un mese.
Fa male vedere i quartieri abbandonati in quelle condizioni. Le persone raccoglievano i pochi vestiti e beni che possedevano, li caricavano sulla testa e passavano attraverso i campi allagati, con l’acqua al ginocchio o alla cintola. Cercavano di andare a casa di parenti o amici, per dormire sotto un tetto.
Il giorno dopo il missionario ha celebrato Messa in una chiesa senza le lamiere del tetto. “Abbiamo ringraziato il Signore perché siamo ancora vivi, con meno vittime rispetto al ciclone del 2019. Ma quando i presenti hanno raccontato le loro storie è stato molto doloroso”. Poi è andato a casa del vescovo mons. La Zuanna: “Ha avuto grandi danni, più della metà del tetto è volata via, sono crollati i controsoffitti, i mobili erano completamente bagnati”. Molte altre strutture ecclesiali sono state danneggiate.
Il missionario, entrando nelle case e ascoltando i racconti della gente, cerca di rassicurare e infondere coraggio. “Ma questa gente è forte – dice -. Non ho mai visto popoli così forti. Quando chiedo: e se domani arrivasse un altro ciclone? I mozambicani rispondono: ‘Questa è casa nostra, ci rimboccheremo le maniche e ripartiremo di nuovo’.”
Papa Francesco ai religiosi
Il coraggio della pazienza
Serve la “coraggiosa pazienza di camminare, di esplorare strade nuove, di cercare cosa lo Spirito Santo ci suggerisce”, seguendo l’esempio della “pazienza” di Dio. È l’esortazione che papa Francesco ha rivolto ai religiosi, lo scorso 2 Febbraio, nella Festa della Presentazione del Signore in cui si è celebrata la XXV Giornata mondiale della vita consacrata.
In un momento difficile per il mondo della vita religiosa, che vede diminuire presenze e novizi, il Papa nella Messa celebrata all’altare della Cattedra, nella Basilica vaticana ha preso lo spunto dal passo del Vangelo che racconta dell’attesa di Simeone di veder mantenuta la promessa che vedrà il Messia. Per tutta la vita egli “ha esercitato la pazienza del cuore”. “Camminando con pazienza, Simeone non si è lasciato logorare dallo scorrere del tempo”. È vecchio, ma la fiamma del suo cuore è ancora accesa; “nella sua lunga vita sarà stato a volte ferito e deluso, eppure non ha perso la speranza; con pazienza, egli custodisce la promessa, senza lasciarsi consumare dall’amarezza per il tempo passato o da quella rassegnata malinconia che emerge quando si giunge al crepuscolo della vita. La speranza dell’attesa in lui si è tradotta nella pazienza quotidiana di chi, malgrado tutto, è rimasto vigilante, fino a quando, finalmente, ‘i suoi occhi hanno visto la salvezza’ (cfr Lc 2,30)”.
Nel rito che si apre con la benedizione delle candele, simbolo della vita consacrata, Francesco ha invitato i religiosi a guardare alla pazienza di Dio e a quella di Simeone, indicando “tre ‘luoghi’ in cui la pazienza si concretizza”.
“Il primo è la nostra vita personale. Un giorno abbiamo risposto alla chiamata del Signore e, con slancio e generosità, ci siamo offerti a Lui. Lungo il cammino, insieme alle consolazioni, abbiamo ricevuto anche delusioni e frustrazioni. A volte, all’entusiasmo del nostro lavoro non corrisponde il risultato sperato, la nostra semina sembra non produrre i frutti adeguati, il fervore della preghiera si affievolisce e non siamo più immunizzati contro l’aridità spirituale. Può capitare, nella nostra vita di consacrati, che la speranza si logori a causa delle aspettative deluse. Dobbiamo avere pazienza con noi stessi e attendere fiduciosi i tempi e i modi di Dio: Egli è fedele alle sue promesse. Ricordare questo ci permette di ripensare i percorsi e rinvigorire i nostri sogni, senza cedere alla tristezza interiore e alla sfiducia”. Che, ha aggiunto, “è un verme che ci mangia dentro, che uccide”.
“Secondo luogo in cui la pazienza si concretizza: la vita comunitaria. Le relazioni umane, specialmente quando si tratta di condividere un progetto di vita e un’attività apostolica, non sono sempre pacifiche. A volte nascono dei conflitti e non si può esigere una soluzione immediata, né si deve giudicare frettolosamente la persona o la situazione: occorre saper prendere le giuste distanze, cercare di non perdere la pace, attendere il tempo migliore per chiarirsi nella carità e nella verità. Nelle nostre comunità occorre questa pazienza reciproca: sopportare, cioè portare sulle proprie spalle la vita del fratello o della sorella, anche le sue debolezze e i suoi difetti. Ricordiamoci questo: il Signore non ci chiama ad essere solisti, ma ad essere parte di un coro, che a volte stona, ma sempre deve provare a cantare insieme”.
“Infine, terzo ‘luogo’, la pazienza nei confronti del mondo”. Abbiamo bisogno di questa pazienza, per non restare prigionieri della lamentela: ‘il mondo non ci ascolta più’, ‘non abbiamo più vocazioni’, ‘viviamo tempi difficili’... A volte succede che alla pazienza con cui Dio lavora il terreno della storia e del nostro cuore, noi opponiamo l’impazienza di chi giudica tutto subito. E così perdiamo la speranza”.
“La pazienza ci aiuta a guardare noi stessi, le nostre comunità e il mondo con misericordia. Possiamo chiederci: accogliamo la pazienza dello Spirito nella nostra vita? Nelle nostre comunità, ci portiamo sulle spalle a vicenda e mostriamo la gioia della vita fraterna? E verso il mondo, portiamo avanti il nostro servizio con pazienza o giudichiamo con asprezza? Sono sfide per la nostra vita consacrata: non possiamo restare fermi nella nostalgia del passato o limitarci a ripetere le cose di sempre. Né le lamentele di ogni giorno. Abbiamo bisogno della coraggiosa pazienza di camminare, di esplorare strade nuove, di cercare cosa lo Spirito Santo ci suggerisce. Contempliamo la pazienza di Dio e imploriamo la pazienza fiduciosa di Simeone e anche di Anna, perché anche i nostri occhi possano vedere la luce della salvezza e portarla al mondo intero”.
Il card. Tagle
“La missione è condividere l'amore ricevuto da Dio, per pura gratitudine”
“Il Papa nel Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale del 2021, tratto dagli Atti degli Apostoli, mette insieme la missione e l'esperienza umana della misericordia di Cristo: vuole dirci che non c'è dicotomia né separazione tra quella che chiamiamo spiritualità e l’opera di apostolato”: lo afferma, in un colloquio con l’Agenzia Fides, il cardinale Luis Antonio Tagle, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, commentando il Messaggio, intitolato «Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20). “Spiritualità – spiega il cardinale – significa fare nella propria vita una profonda esperienza dell'amore misericordioso di Dio, dato a noi in Gesù Cristo. Gesù Cristo, col suo amore per noi, è diventato uno di noi, nostro fratello, colui che ha abbracciato le nostre fragilità, le nostre fatiche e i nostri sogni, le nostre gioie e speranze, come dice la Gaudium et Spes. E, come papa Francesco ricorda, quando una persona è amata, quando fa esperienza di essere amata, come è avvenuto per gli apostoli, non può tenerlo per sé ma vuole condividerlo: è un fatto bello e prezioso e così diventa missione”. “La missione è dunque intimamente legata all'amore di Cristo. Essa non è un lavoro, non è un’opera umana, a volte sentita perfino un compito pesante, come un fardello, ma sgorga dalla gratitudine. È una risposta di gratitudine per l'amore ricevuto da Dio. Abbracciati e avvolti dall’amore di Dio, vogliamo condividere questo amore specialmente con coloro che non si sentono amati, che si sentono abbandonati, rifiutati, con quanti sono nelle periferie esistenziali. Noi che abbiamo sperimentato l'amore di Dio, noi che abbiamo ascoltato e accolto il Vangelo dell'amore, lo condividiamo con il prossimo, con il cuore traboccante di gratitudine”.Un altro aspetto che papa Francesco tocca nel Messaggio è quello della compassione: “La compassione – sottolinea il cardinale Tagle – è una delle strade per mostrare all'umanità ferita di oggi, nei tempi difficili che viviamo, il volto dell'amore di Dio. Per annunciare il Vangelo oggi, il linguaggio compreso dall'umanità è quello della carità e della compassione: è uno degli aspetti per condividere l'amore di Dio. Molte persone nel mondo erano già fragili, emarginate, vulnerabili prima della pandemia. Oggi la loro situazione si è aggravata: per questo comunicare, con la nostra vita, la presenza e la compassione di Cristo porterà loro consolazione e nuova speranza. Il Papa ci chiama nel Messaggio ad essere ‘missionari di speranza’, in un mondo che ha tanto bisogno di gentilezza, di accoglienza, di misericordia, di fraternità. La missione è compiere ogni azione della vita con lo spirito dell'Eucaristia, è vivere una vita di gratitudine e di rendimento di grazie a Dio. È fare tutto nel nome del Signore Gesù Cristo. Egli è il dono più grande che abbiamo ricevuto, e quel dono porta frutto: noi stessi siamo il frutto del suo Spirito e della sua presenza, siamo coloro che portano il dono inestimabile del suo amore al mondo”.
Infine, il valore della missio ad gentes e di quanti danno la vita per compierla: “I missionari sono coloro che, per condividere l'amore di Dio, lasciano le loro sicurezze, il confort della loro vita e vanno nelle periferie del mondo, tra le persone più povere e disagiate, tra i sofferenti e i bisognosi, testimoniando con la vita che Dio è amore, e che ama e si dona a ogni creatura. I missionari sono coloro che, come gli apostoli, non possono tenere per sé l’amore che hanno sperimentato: lo Spirito li spinge fino agli estremi confini della terra per annunciarlo e donarlo a chi ne ha più bisogno, a quanti soffrono e sono disperati, a quanti non lo conoscono e non hanno sperimentato l'immenso amore di Cristo. Oggi, mentre il mondo intero sta attraversando sfide molto difficili come quella della pandemia, la missione di Cristo continua attraverso ognuno di noi: dove stanno i più bisognosi, là si trovano anche i missionari, pronti a consolare i cuori feriti, nel nome di Cristo Gesù”. (Agenzia Fides 29/1/2021)
a cura di ANTONIO DALL’OSTO