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Testimoni, storica rivista del Centro Editoriale Dehoniano, si propone di accompagnare il cammino delle comunità religiose, dei consacrati e delle consacrate, mettendo al cuore del suo programma le attese di papa Francesco, per aiutare i religiosi a leggere i segni dei tempi, a discernere ciò che oggi lo Spirito dice alla Chiesa.

 

Buona lettura.

La redazione di Settimana News
e il Centro Editoriale Dehoniano

Zamboni Stefano
Quattro "conflitti" in Leone Dehon
2020/4, p. 24
La figura di p. Dehon appare oggi problematica. Ma già durante la sua vita Dehon sperimenta tensioni e conflitti che incrociano ambiti diversi legati, da un lato, alla fondazione del suo Istituto religioso e al rapporto con la Chiesa e, dall’altro, ai complessi problemi sociali, economici e politici del tempo.
UN RECENTE STUDIO DI DAVID NEUHOLD
Quattro “conflitti ” in Leone Dehon
La figura di p. Dehon appare oggi problematica. Ma già durante la sua vita Dehon sperimenta tensioni e conflitti che incrociano ambiti diversi legati, da un lato, alla fondazione del suo Istituto religioso e al rapporto con la Chiesa e, dall’altro, ai complessi problemi sociali, economici e politici del tempo.
Nel 2005, poco dopo l’elezione a papa, Benedetto XVI decideva di sospendere la beatificazione di Leone Dehon (1843-1925), già decisa dal suo predecessore Giovanni Paolo II e da lui fissata al 24 aprile 2005, quando il suo successore inaugurerà solennemente il ministero petrino.
Il motivo della mancata beatificazione – com’è noto – risiedeva nel presunto antisemitismo di Dehon che, in alcuni passi della sua opera, accusa gli ebrei di essere in qualche modo «organici» a quel sistema sfrenatamente capitalistico che sfrutta e opprime i più poveri. Nonostante papa Francesco, nell’udienza concessa ai partecipanti al Capitolo generale della Congregazione del 2015, abbia parlato di un Dehon «quasi beato», la situazione finora non è mutata.
La figura di padre Dehon, dunque, appare oggi problematica. Ma già durante la sua vita Dehon sperimenta tensioni e conflitti che incrociano ambiti diversi legati, da un lato, alla fondazione del suo Istituto religioso e al rapporto con la Chiesa e, dall’altro, ai complessi problemi sociali, economici e politici del tempo.
Il recente studio di David Neuhold, tradotto in italiano con il titolo Missione e Chiesa, denaro e nazione. Quattro prospettive su Léon Dehon, fondatore dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù (EDB 2020), prende sul serio il potenziale contenuto nel conflitto. Si appoggia per questo sulla «teoria sistemica dei conflitti» di Franz Simon, il quale scrive che oggi «i conflitti godono di una pessima reputazione. Ma l’hanno guadagnata solo per un aspetto (anche se piuttosto grande). Infatti, si può essere certi che, senza conflitti, non può esserci cambiamento né sviluppo, sia psichico o sociale» (p. 166). Proprio il conflitto, dunque, può restituire un ritratto autentico, dinamico e sfaccettato, a una figura complessa come quella di Dehon.
Neuhold sceglie perciò quattro aspetti in cui emerge un «Dehon in conflitto», un Dehon cioè che si muove con passione all’interno di questioni «sensibili», problematiche. Ne risulta un ritratto vivo e, per certi versi, inedito.
La missione
Il primo ambito è quello della missione. La missione è considerata in due aspetti, in qualche modo complementari e che si richiamano reciprocamente: la fondazione dell’Istituto, che per Dehon è la vera e propria missione di una vita, e la missione ad gentes, l’apertura missionaria al di fuori dei confini francesi.
La vita interna di una congregazione religiosa, con la gestione dell’autorità e con i suoi conflitti, si intreccia strettamente con la sua espansione missionaria.
Per analizzare questo intreccio, Neuhold analizza un «tentativo» missionario del giovane Istituto religioso che si installa a Tunisi, nella parrocchia del Sacro Cuore. Si tratta di una presenza di pochi anni, ma assai significativa per verificare una serie di questioni decisive, che vanno dal rapporto con le idee colonialiste del tempo al fascino del cristianesimo africano antico, dal desiderio di una presenza dell’Istituto nella «corsa all’Africa» alla risoluzione di conflitti interni, che pongono in questione la stessa leadership di Dehon. In quest’ultimo caso, una serie di confratelli, già solo una ventina d’anni dopo la fondazione dell’Istituto, mettono in dubbio la fedeltà al carisma originale da parte del fondatore.
Ma in questo capitolo si parla anche della «percezione dell’altro»: abbiamo qui pagine interessanti sul modo con cui Dehon vede l’islam e la sua pratica cultuale, di cui apprezza il forte senso religioso, fermo restando che il riferimento culturale e sentimentale preminente di Dehon è quello della Francia del suo tempo, che in piccolo vede riprodotta in terra tunisina. Anche qui si fronteggiano le deux Frances, la Francia tradizionale, monarchica e cattolica, e quella moderna, repubblicana e anticlericale.
La Chiesa
L’intreccio fra interno ed esterno, fra sguardo rivolto alla dinamica propria di un Istituto religioso e apertura al mondo e alle sue istituzioni, è una sorta di fil rouge dell’esposizione di Neuhold. Lo ritroviamo in qualche modo anche nel secondo ambito, che è quello ecclesiale o, se vogliamo, ecclesiastico. Pure qui siamo dinanzi a un Dehon in conflitto, all’interno della sua stessa Chiesa. Lo mostra un singolare paradosso. Per un certo tempo Dehon è oggetto dell’indagine del Sant’Uffizio, che arriva a decretare la soppressione del suo Istituto solo pochi anni dopo la fondazione. Successivamente però, lo stesso Dehon è nominato consultore della Congregazione dell’Indice e quindi incaricato di analizzare, ed eventualmente proporre per la messa all’indice, opere controverse, provenienti dall’ambiente francese. Tra esse troviamo, fra l’altro, quelle di Charles Maurras, leader della controversa Action française. Insomma – come afferma l’autore – un Dehon simul censuratus et censor.
Diverse prospettive si intrecciano qui: il ruolo della «censura» ecclesiastica, con le procedure di giudizio da parte delle competenti autorità ecclesiastiche (diocesane e romane); la Questione romana, che si è aperta nel 1870 e che rappresenta un delicato momento di passaggio dell’istituzione ecclesiastica e della stessa autopercezione della curia romana; il ruolo delle (presunte) rivelazioni private che rappresentano sotto diversi aspetti una minaccia per l’istituzione e che debbono venir normate da quest’ultima; lo sguardo «esterno», percepibile nelle relazioni dei consultori del Sant’Uffizio, su una devozione moderna, e per molti versi destabilizzante, come quella del Sacro Cuore; il complesso rapporto fra clero secolare e clero religioso; la disputa sulla fedeltà o l’infedeltà a un certa immagine di vita religiosa.
Il denaro
Il terzo ambito analizzato da Neuhold ruota intorno alla questione del denaro. Dehon si interessa, dal punto di vista teorico, al problema del prestito ad interesse.
Inserendosi in una lunga e complessa tradizione teologico-morale, scrive un’opera in cui prende posizione a favore della scuola gesuitica, che affermava la liceità degli interessi, distaccandosi così da quella domenicana, contraria ad ogni mutamento della dottrina tradizionale sull’usura.
Ma, più in generale, Dehon si accosta alla questione del denaro in maniera aperta e «moderna». Si scaglia contro il pauperismo, che renderebbe i paesi cattolici tristi e cupi come quelli in cui ci sono i fratelli moravi. Ritiene invece necessario il denaro in un’economia moderna e dinamica, pur ripetendo spesso un topos moralistico di diffidenza nei confronti di esso. Del resto, lo stesso Dehon eredita dalla famiglia una cospicua somma di denaro che utilizza per l’Istituto, senza la quale probabilmente la congregazione religiosa non avrebbe potuta sussistere a lungo. L’Istituto fondato da Dehon è suo dal punto di vista spirituale, certo, ma anche da quello economico.
Questo consente di sviluppare una riflessione più generale fra vita religiosa ed economia, cogliendo i diversi aspetti di quella che è stata chiamata «economia della provvidenza». In un’epoca in cui i diversi Istituti devono far fronte all’impoverimento conseguente alle espropriazioni della rivoluzione francese, essi devono trovare il modo di inserirsi in un sistema economico assai differente da quello dell’ancien régime. Molto interessante, in questo contesto, è la riflessione sul cosiddetto silence sur l’argent che caratterizza – sovente fino ad oggi – la gestione del denaro da parte degli Istituti religiosi.
La nazione
L’ultimo aspetto toccato dallo studio di Neuhold è quello della nazione. La nazione è qui la Grand Nation per eccellenza, quella Francia a cui Dehon, ma in generale quasi tutto il cattolicesimo francese del tempo, attribuisce una vocazione quasi messianica.
Un ruolo provvidenziale che pare negato dalla crisi della rivoluzione francese e che però rimane costantemente una sorta di utopia creativa, un riferimento mitico che apre a speranze di rinnovamento, nonostante le sconfitte storiche.
Anche qui ci si trova dinanzi a un «conflitto».
La Francia rivoluzionaria, anticlericale e repubblicana si contrappone alla Francia cattolica e monarchica; modernità e tradizione si combattono, alla ricerca di equilibri non facili.
Dehon, inizialmente di tendenze monarchiche, aderisce poi, come abbé democrate al ralliement promosso da Leone XIII. Il conflitto, in questo caso, mostra la sua funzione dinamizzante: le posizioni vengono approfondite e limate, pur rimanendo interne a due polarità contrapposte. Del resto, una buona parte di conflitti che si vivono all’interno dell’Istituto di Dehon non è generato da divergenze teologiche, ma da diverse opzioni politiche.
Tutto questo si riverbera su una questione a prima vista marginale, com’è quella della bandiera francese. Si disputava allora su come dovesse essere la forma della bandiera nazionale: tra il tricolore, considerato irrimediabilmente rivoluzionario, e la bandiera bianca della monarchia, ormai fatalmente passata, si avanzano proposte che vedrebbero bene l’inserimento dell’effigie del Sacro Cuore sulla bandiera francese, a protezione della fille aînée de l’Église, secondo le richieste di santa Margherita Maria Alacoque. Potenza delle immagini e dei simboli, in un contesto carico di tensioni e di conflitti, dunque.
Come si vede, non siamo dinanzi a una biografia in senso classico, ma ad uno studio critico che auspicabilmente aprirà la strada ad ulteriori indagini storiche.
La copertina del volume, che riproduce Dehon nella stessa foto con quattro colori diversi – alla Andy Warhol – è assai evocativa.
Non si allude solo alla diversa prospettiva offerta dai quattro temi analizzati dalla lente dello storico, ma anche alla personalità sfaccettata del protagonista di queste pagine.
Padre Dehon è infatti una figura complessa, che ha lasciato un’eredità ricca e feconda. Allo storico il compito di scandagliarla con attenzione, ai suoi religiosi la missione di continuarne l’eredità carismatica.
Stefano Zamboni