E' tempo di mettersi in cammino
2015/9, p. 16
Il Capitolo ha impresso nuovo slancio all’Ordine,
scegliendo come motto programmatico l’invito di Teresa
d’Ávila a mettersi in cammino. Le Costituzioni saranno lo
strumento per rispondere con fedeltà creativa alle nuove
sfide. Gli interrogativi che rimangono aperti.
91° Capitolo generale dei Carmelitani scalzi
È TEMPO DI METTERSIIN CAMMINO
Il Capitolo ha impresso nuovo slancio all’Ordine, scegliendo come motto programmatico l’invito di Teresa d’Ávila a mettersi in cammino. Le Costituzioni saranno lo strumento per rispondere con fedeltà creativa alle nuove sfide. Gli interrogativi che rimangono aperti.
“Es tiempo de caminar”, è tempo di mettersi in cammino: sono parole pronunciate da santa Teresa d’Ávila prima di morire e che i Carmelitani scalzi hanno scelto durante il 91°Capitolo generale tenuto ad Ávila dal 2 al 24 maggio scorso, come motto-guida per gli anni a venire. Sarà p. Saverio Cannistrà, rieletto Preposito generale dell’Ordine per il prossimo sessennio, a guidare questo cammino.
Lo strumento di ispirazione saranno le nuove Costituzioni, definite nel documento conclusivo del Capitolo «un testo bello e accessibile, elogiato sia all’interno dell’Ordine che fuori, che dovrebbe permetterci di organizzare la nostra vita rispondendo alle sfide di una nuova epoca con fedeltà creativa al carisma della nostra Fondatrice, la santa Madre Teresa di Gesù, e all’esperienza e magistero di san Giovanni della Croce».
«Siamo chiamati da santa Teresa a essere fratelli che edificano una comunità nella quale Cristo cammina con noi (cfr. V 32,11), il suo piccolo collegio (cfr. CE 20,1). Se vogliamo verificare la verità della nostra vita come risposta a tale chiamata, il testo costituzionale è un eccellente punto di partenza».
Confronto
tra due poli
«Un primo confronto tra il testo legislativo e la nostra vita – scrive il documento – deve suscitare in noi alcune domande sulla relazione tra questi due poli: quale tipo di interazione si è creato tra la vita e il testo che la descrive e la dirige? Le Costituzioni orientano davvero le scelte di vita delle nostre comunità? Hanno cambiato il loro modo di vivere? E se sì, in quale senso? Si è trattato di un rinnovamento nel senso inteso dal Vaticano II?».
Si tratta di un confronto da cui dipenderà in gran parte l’efficacia degli impulsi impressi dal Capitolo generale. Le costituzioni rinnovate sono entrate in vigore nel 1986. Ma, leggiamo nel documento capitolare, «ci sembra che nella ricezione delle Costituzioni, pur eccellenti, questo obiettivo non sia stato pienamente raggiunto. Più che a un testo di formazione permanente, alla luce del quale dovremmo rivedere costantemente il nostro modo di vivere, siamo abituati a guardare alle Costituzioni come a un codice di norme giuridiche, cui bisogna attenersi per assicurare la regolarità dei nostri atti istituzionali. I contenuti di natura teologica, carismatica, spirituale, che dovrebbero motivare, orientare e valutare il nostro modo concreto di vivere, non possono rimanere su un piano teorico né ridursi a concetti astratti, che non esercitano su di noi una forza di attrazione. Devono essere “lampada per i nostri passi e luce sul nostro cammino” (Sal 119,105)».
Il Capitolo ha constatato che nell’Istituto è stata raggiunta una conoscenza molto profonda e solida del carisma teresiano. Restano tuttavia aperti alcuni interrogativi così formulati: «riusciamo a trovare delle risposte alle nuove situazioni, riflettendo su di esse e discernendole comunitariamente? Le nostre scelte personali o comunitarie sono frutto dello Spirito? Le assumiamo per convinzione? Nella vita reale delle nostre comunità siamo coscienti degli elementi fondamentali della nostra vita e li coltiviamo? Il capitolo II dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium di papa Francesco ci presenta con lucidità il contesto nel quale oggi ci muoviamo come cristiani e come religiosi: siamo capaci di reagire con creatività a queste sfide?»
Uno stimolo a rispondere a questi interrogativi, viene dalla lettera a tutti i consacrati¸ scritta da papa Francesco all’inizio di questo anno dedicato alla vita consacrata in cui è detto: «Mi aspetto che ogni forma di vita consacrata si interroghi su quello che Dio e l’umanità di oggi domandano. […] Nessuno in questo Anno dovrebbe sottrarsi ad una seria verifica sulla sua presenza nella vita della Chiesa e sul suo modo di rispondere alle continue e nuove domande che si levano attorno a noi, al grido dei poveri».
Alla luce
dei segni dei tempi
Per i carmelitani, un ulteriore incentivo viene dal fatto che questo anno coincide provvidenzialmente con il V centenario della nascita di santa Teresa: «Vogliamo interrogarci sulla qualità del nostro servizio a Dio e agli uomini, nella fedeltà al carisma teresiano. Vogliamo “scrutare gli orizzonti della nostra vita e del nostro tempo in vigile veglia. Scrutare nella notte per riconoscere il fuoco che illumina e guida, scrutare il cielo per riconoscere i segni forieri di benedizioni per le nostre aridità. Vegliare vigilanti e intercedere, saldi nella fede. Corre il tempo di dare ragione allo Spirito che crea” (Scrutate 1)».
Di qui l’impegno sottolineato dal Capitolo: «rivedere la nostra vita alla luce dei segni dei tempi è un esercizio di fedeltà carismatica». Si tratta di una revisione che deve seguire alcuni «criteri determinanti» e «verificare alcuni elementi che sono essenziali per poter continuare ad offrire una testimonianza viva e autentica, adeguata al mondo in cui ci è dato di vivere».
Condizioni
e requisiti
Per questo, occorrerà adempiere una serie di condizioni e requisiti: «in primo luogo, l’adattamento all’ambiente in cui viviamo; in secondo luogo, la capacità di elaborare strategie per raggiungere i fini che ci si è proposti (raggiungimento della meta); in terzo luogo, il rispetto delle norme e dei ruoli che permettono l’integrazione della comunità, della Circoscrizione, dell’Ordine; infine, l’interiorizzazione di modelli culturali ed etici che motivano le persone ».
Con integrazione, spiega il documento, si intende «l’assimilazione da parte di tutti i membri del gruppo del patrimonio di valori che si organizzano e concretizzano in un progetto di vita. L’interiorizzazione suppone che ciascuno assuma tale progetto come proprio modello personale di vita, come fine verso il quale si indirizzano e si investono le proprie forze». «Logicamente – sottolineano i capitolari – se tali forze sono investite dagli individui non in vista della realizzazione del progetto comune, bensì di progetti personali, il gruppo perderà d’intensità, di densità, di spessore dei contenuti. L’identità carismatica si stempererà, sopravvivendo solo come un amalgama di progetti “professionali” o “ministeriali” individuali».
«L’integrazione mantiene unito il gruppo e gli permette di funzionare in modo coordinato. Come? Attraverso alcuni processi di socializzazione e istituzionalizzazione, che comportano l’assunzione da parte dei membri di determinati ruoli concreti. Svolgendo il proprio compito nel gruppo, ogni membro dovrà rispondere a certe aspettative concrete ossia, detto in altri termini, ogni ruolo suppone per gli individui dei diritti e dei doveri».
In effetti, «se il gruppo è sufficientemente integrato e ha assimilato correttamente e profondamente il suo progetto di vita, gli risulterà più facile individuare i fini verso i quali dirigere la propria azione e discernere le strategie efficaci per conseguirli, realizzando così con successo il raggiungimento della meta»
L’arte
del governo
Grande importanza, in questa fase, sottolineano i capitolari, è «l’arte del governo, inteso non solo come atto dell’amministrare, ma soprattutto come capacità di ascoltare le domande della società e le necessità del gruppo, per fornire delle risposte efficaci». Ma «se non c’è una buona interiorizzazione del modello in tutti gli individui che costituiscono il gruppo e se la sua integrazione è fragile, non ci sarà chiarezza rispetto ai fini. Se a questo aggiungiamo – come accade spesso nella nostra vita di religiosi – il pericolo dell’immobilismo dovuto all’attaccamento alle strutture, diventa molto difficile pianificare obiettivi e strategie per raggiungerli».
Infine, prosegue il documento «decisivo per la sopravvivenza del gruppo è il suo adattamento alla realtà storica in cui si colloca. Nella misura in cui si perde il contatto con la realtà, diminuiscono le prospettive di crescita: non si può vivere ignorando il contesto umano, sociale e culturale che ci circonda; in tal caso la parola e l’azione del gruppo cessano di essere significative, la loro influenza si riduce e il messaggio raggiunge sempre meno persone. E non ci si può ingannare illudendosi che basta influire su una piccola nicchia sociale che ancora ci ascolta, lasciando da parte una società che si perde in altre direzioni. Attenzione però: in questa fase è molto importante tener conto delle condizioni precedenti: “Un adattamento al contesto che dimenticasse il modello di vita che ci identifica o ignorasse l’esigenza di mantenere l’integrazione del gruppo sarebbe evidentemente distruttivo. Al tempo stesso, evitare il problema dell’adattamento, cadendo in un’accettazione della fine della vita religiosa o illudendosi che il problema si possa risolvere con piccole strategie o operazioni di immagine, sarebbe una scelta irresponsabile” (cfr. P. Saverio Cannistrà, Relazione sullo stato dell’Ordine al 91° Capitolo Generale riunito in Avila)».
Le Costituzioni
e il modello teresiano
Dal punto di vista dell’identità carismatica teresiana, sottolineano i capitolari, «la rilettura delle Costituzioni ci aiuterà ad assimilare sempre più personalmente, a condividere comunitariamente e a mettere in opera concretamente il modello di vita proposto da santa Teresa (interiorizzazione); ad accertare se nella vita delle nostre comunità e circoscrizioni esiste realmente una relazione reciproca tra i compiti – in un mondo di ruoli condivisi – in cui ciascuno assume le proprie responsabilità e accetta le correzioni secondo lo stile che la Santa ci ha consegnato (integrazione); a verificare la chiarezza dei fini verso i quali vogliamo dirigere la nostra azione collettiva (raggiungimento della meta); infine, a valutare se stiamo prendendo sul serio la sfida dell’inculturazione, assumendo la vita delle persone, la loro cultura e i loro problemi reali (adattamento)... «Tocca adesso alle comunità, realizzare la propria lettura, paragonare i contenuti delle Costituzioni con il proprio vissuto e, alla luce dell’esperienza teresiana e dei segni dei tempi, formulare le proprie proposte in modo che, tutti insieme, tracciamo il cammino da percorrere nei prossimi anni».
«Dunque, fratelli, – termina il documento capitolare – è davvero tempo di mettersi in cammino! Talvolta ci paralizza la paura del nuovo, dell’imprevisto. La strada è lunga e forse superiore alle nostre forze (cfr. 1 Re 19,7); perciò affrontiamola scalzi, come la Madre Teresa, perché questo ci assicura che non cammineremo da soli: ci accompagnerà il Gesù di Teresa che, con la forza del suo Spirito, si farà nostro compagno di strada, come un buon amico (cfr. V 22,10) col quale possiamo intrattenerci (cfr. V 8,5) e che possiamo contemplare, ascoltando la sua parola e rispondendo al suo sguardo (cfr. C 26,3-9) con umiltà e amore; basterà solo chiamarlo ed Egli verrà a noi senza tardare (Poesia: Alma, buscarte has en mí). Sappiamo, ce lo dice la nostra Santa Madre, che Gesù è nostra guida e premio; dunque: Camminiamo insieme, Signore! (cfr. C 26,4)».
Antonio Dall’Osto