La mangiatoia
2015/12, p. 37
Uno dei dettagli più cari alla tradizione cristiana del Natale è la mangiatoia,
luogo dove Maria depose il figlio appena partorito (Lc 2,7).
VOCE DELLO SPIRITO
la mangiatoia
Uno dei dettagli più cari alla tradizione cristiana del Natale è la mangiatoia, luogo dove Maria depose il figlio appena partorito (Lc 2,7).
Che l'indicazione lucana non sia frutto di una svista ma di una scelta precisa e consapevole è testimoniato dall'annuncio che gli angeli recano ai pastori. Il termine, piuttosto imbarazzante, è ripetuto con grande solennità nel punto in cui il coro celeste fornisce ai pastori il triplice segno: «un bambino avvolto in fasce adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). L'indecorosa collocazione del Figlio di Dio fa dunque parte integrante dell'evangelo natalizio, quasi a contraddistinguere la peculiarità di un evento consumatosi in un luogo di confine tra la vita umana e quella animale. Basta il dettaglio della mangiatoia a rendere tutta la povertà del Natale. Non serve immaginare temperature rigide o altri disagi per rendere la misura della spoliazione del Verbo fatto carne. È come se dal cielo non solo il Figlio di Dio assumesse la forma di uomo, ma addirittura sconfinasse nel regno animale, subumano. Da quel momento il rapporto tra l'uomo e l'animale diviene immagine e figura della sua redenzione o della sua totale corruzione.
Noè, uomo giusto, sopravvive al diluvio permettendo anche alle specie animali di perpetuarsi. Egli è veramente custode della creazione di Dio e anticipo delle grandi figure bibliche, spesso presentate non a caso in veste di pastori. Il particolare non va sottovalutato: tutti i grandi chiamati vengono come sorpresi dietro a un gregge, mentre guidano e custodiscono. Ma basterebbe ricordare il grande oracolo isaiano, al cap. 11, dove l'epoca messianica è descritta come un tempo in cui animali feroci ed erbivori convivranno insieme e un bambino li guiderà.
Se è vero che furono proprio i pastori, custodi di animali, i primi ad adorare l'agnello di Dio, è altrettanto vero che il Messia scelse la mangiatoia perché ogni peccatore potesse trovarlo là dove cerca falsa consolazione e falso appagamento. L'incarnazione non è solo l'assunzione della natura umana, ma è l'ultima e definitiva ricerca che Dio compie del peccatore, andando a collocarsi là dove sempre, irrimediabilmente, il peccatore torna. L'incontro con Cristo si avvera proprio nel sacramento del perdono, quando ripensando e ricordando la mia fragilità trovo non un'accusa colpevolizzante, ma l'abbraccio e il perdono del Padre.
Qui il Natale si congiunge con la Pasqua, se pensiamo che la scelta dell'albero della croce non si allontana da quella della mangiatoia. L'albero è il luogo dove Eva ha teso la mano credendo di trovare il frutto che l'avrebbe resa simile a Dio. Sempre il peccato è un mimo del gesto che ha spezzato l'alleanza tra Dio e l'uomo, la consumazione di un inganno. Chi pecca lo fa perché cerca pienezza di vita. Ma non trova altro che inganno. Così il Figlio di Dio, dopo aver scelto la mangiatoia per nascere, elegge l'albero della croce per morire, affinché ogni uomo tendendo sempre la mano verso l'albero, colga lui, Cristo, non come sentenza di condanna, ma come frutto di vita eterna. Di nuovo il Figlio di Dio sceglie il luogo del peccato per tramutarlo in luogo di misericordia, riscatto e salvezza.
La gioia di questo Natale non nasce, ancora una volta, dalla speranza che la nostra maldestra ricerca di Dio giunga a buon fine, ma dalla certezza che Dio ci ha trovati e ci troverà proprio nel luogo dove siamo certi di non incontrarlo mai.
Claudio Arletti
da «Ricordatevi come vi parlò»
Commento ai Vangeli festivi dell’anno C
EDB, Bologna 2015