Cercatori di pace, cercatori di Dio
2015/11, p. 47
Nella notte tra il 26 e il 27 marzo
1996 sette monaci trappisti francesi
vennero rapiti da un gruppo di
fondamentalisti islamici nel monastero
di Tibhirine, in Algeria, e uccisi il 21
maggio dello stesso anno. La loro testimonianza
di cristiani in dialogo con
l’Islam, è ora arricchita di documenti
inediti rinvenuti da Mirella Susini, autrice
del libro, in Algeria, in Marocco
e in Francia. Si tratta dei Bollettini
del gruppo di dialogo cristiano-islamico
Ribât Es-Salâm (Vincolo della pace),
che si formò a Tibhirine nel 1979,
testimonianza di un insolito cammino
spirituale basato sul rispetto reciproco
e su un confronto interreligioso alimentato
dalla lettura della Bibbia e
del Corano. Il dialogo, il confronto e la
preghiera vissuti con alcuni sufi hanno
reso la ricerca ancora più ricca e interessante.
NOVITA’ LIBRARIA
cercatori di pace
cercatori di dio
Nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996 sette monaci trappisti francesi vennero rapiti da un gruppo di fondamentalisti islamici nel monastero di Tibhirine, in Algeria, e uccisi il 21 maggio dello stesso anno. La loro testimonianza di cristiani in dialogo con l'Islam, è ora arricchita di documenti inediti rinvenuti da Mirella Susini, autrice del libro, in Algeria, in Marocco e in Francia. Si tratta dei Bollettini del gruppo di dialogo cristiano-islamico Ribât Es-Salâm (Vincolo della pace), che si formò a Tibhirine nel 1979, testimonianza di un insolito cammino spirituale basato sul rispetto reciproco e su un confronto interreligioso alimentato dalla lettura della Bibbia e del Corano. Il dialogo, il confronto e la preghiera vissuti con alcuni sufi hanno reso la ricerca ancora più ricca e interessante.
Origine e obiettivo
del Ribàt
Il Ribàt – sostenuto e accompagnato da mons. Duval, arcivescovo di Algeri dal 1954 al 1988, poi da mons. Teissier fino al 1996 - ha avuto come membri credenti cristiani e musulmani provenienti da varie parti dell'Algeria insieme a tre monaci trappisti, ad altri membri cattolici e ad alcuni membri della Confraternita Alawiyines di Médéa (Algeri), appartenenti alla «corrente mistica» musulmana del sufismo. Finché è stato possibile, il gruppo si incontrava a Tibhirine, rendendo così quel monastero il «luogo» visibile della nascita e dell'evolversi del carisma del Ribàt. A Tibhirine nove monaci cristiani, dell’Ordine cistercense della stretta osservanza, avevano scelto di vivere il voto di «stabilità» in un «oceano di islam», per essere degli «oranti in mezzo ad altri oranti». Il nome di questo gruppo di credenti ha preso spunto dalla versione araba di Ef 4,3: «Ribàt Es-Salàm», in italiano Vincolo della Pace. Ciò che ha radunato e convocato insieme questi credenti è stata la ricerca costante, all'insegna della speranza e della pazienza, di quella pace che viene da Dio, che è Dio stesso. Questi «cercatori di pace... cercatori di Dio» hanno compreso che Dio ha chiamato dal nulla e posto in essere un Adam che, proprio nella differenza, può vivere l'unità, la relazione, l'amore.
Scelta disarmata
del rispetto reciproco
L'incontro tanto cercato dai monaci trappisti con l'«altro», con il totalmente-altro che nel caso specifico di Tibhirine è stato il credente musulmano, si è giocato fino al dono della vita, sul piano «spirituale», in cui quelle «differenze» che spesso portano alla separazione, all'alienazione, all'odio e alla violenza scivolano via, per incontrarsi nella comune ricerca di Dio, convinti che nessuno di noi, anche di noi cristiani, possiede la verità tutta intera e che lo Spirito di Cristo sparge i semina Verbi anche fuori dai confini visibili della Chiesa. Nella «Carta del Ribàt» si legge: «Lasciarsi destabilizzare dall'altro» per entrare nel suo mondo, per mettersi nei suoi panni… Quegli anni non hanno dato voce soltanto alla guerra, ma anche all'amicizia, alla fiducia che tanti musulmani hanno dimostrato ai loro vicini cristiani, con gesti quotidiani di condivisione, di rispetto, di sostegno reciproco.
Testimonianze
islamo-cristiane
«Nel pomeriggio del giovedì, come di consueto, ha luogo il confronto con i membri sufi». Fr. Christian de Chergè riassume l'incontro della mattina sulla questione della guerra in corso e pone due interrogativi: «Il nostro Ribàt ci ha aiutato, ha funzionato? Quale è stata la nostra preghiera (Bollettino15,3)?». Si offre la possibilità di ascoltare anche l'opinione di un musulmano, in un tempo in cui la situazione socio-politica dell'Algeria andava verso un progressivo inasprimento: «Io vedo nel Ribàt un barlume di speranza. Bisogna incontrarsi parlare, riflettere, trovare delle soluzioni. Dobbiamo avere una preghiera umile. Si può pregare Dio attraverso testi differenti, ma, nel cuore, è la stessa preghiera. Siamo servi di Dio, semplicemente. Il Ribàt dona coraggio. L'amore con la pazienza e la preghiera fa cadere tutte le barriere». La ricerca dell'uomo da parte di Dio non ha solo lo scopo di fare alleanza con lui, ma anche che gli uomini facciano alleanza tra di loro dando vita a dei «vincoli di Pace e di Comunione» (B.6, 19). «Non è la diversità a impedire tale comunione, in quanto i membri del Ribàt sono convinti che la diversità delle appartenenze religiose non può essere un ostacolo al fatto che questa comunione sia significativa per l'oggi fin nelle differenze di razza, di lingua, di cultura e anche di religione. É necessario che gli uomini si riconoscano fratelli e si sforzino di diventarlo sempre di più» (B.6,19).
Utopia evangelica
di perdono e misericordia
L'importanza dell'«utopia evangelica» coltivata dal Ribàt risiede nel fatto di poter essere considerata un modello, una proposta di cammino non solo nell'ambito del dialogo tra Cristianesimo e Islam, ma anche nell'ambito del dialogo del Cristianesimo con l'Ebraismo e con le altre religioni come pure per il dialogo ecumenico. Il Vincolo della Pace non ha mai smesso di credere non solo che la pace tra gli uomini è possibile, ma che è anche e soprattutto un dovere per i credenti in un Dio che è egli stesso pace, misericordia, perdono. Tale «utopia evangelica» chiede ai credenti di essere una «presenza dell'Emanuele» tra gli uomini, essere una «casa» aperta, capace di accogliere l'«altro» nella sua differenza, che è dono di Dio, e saperla rispettare e amare.
Anna Maria Gellini