Gabriele Ferrari
Sfide, difficoltà e speranza
2014/11, p. 19
L’Asia è considerata oggi dalla Chiesa il continente della speranza: sempre più numerosi gli asiatici che considerano il cristianesimo la religione della modernità. Ma bisogna che la Chiesa si presenti ad essi con un linguaggio nuovo e inculturato.

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Il cristianesimo in Asia
SFIDE, DIFFICOLTÀ
E SPERANZE
L’Asia è considerata oggi dalla Chiesa il continente della speranza: sempre più numerosi gli asiatici che considerano il cristianesimo la religione della modernità. Ma bisogna che la Chiesa si presenti ad essi con un linguaggio nuovo e inculturato.
Il recente viaggio di papa Francesco in Corea e il prossimo viaggio che egli ha già programmato di fare a SriLanka e nelle Filippine nel prossimo gennaio, mostrano il grande interesse che egli ha per la chiesa d’Asia. Questa sensibilità non viene solo da un suo antico desiderio di essere missionario in Giappone, nato dall’ammirazione per i grandi missionari gesuiti del secolo XVII (Alessandro Valignano, Matteo Ricci e compagni), ma da considerazioni oggettive ereditate dai suoi predecessori.
La chiesa in Asia, tolte le due eccezioni di Timor Est e delle Filippine, raggiunge percentuali a due cifre solo in Corea (10%), mentre altrove in un solo caso arriva al 6,6% (Vietnam). Ciononostante Giovanni Paolo II in Ecclesia in Asia, dopo il Sinodo per l’Asia del 1998, scriveva che “gli innumerevoli e spesso sconosciuti martiri della fede in Asia” annunciano per questo continente “un'abbondante messe nel prossimo millennio” (n.4) e quindi auspicava un rinnovato impegno missionario per l’evangelizzazione. Sarà l’Asia il campo di evangelizzazione del terzo millennio, come l’Europa lo fu nel primo e l’America e l’Africa nel secondo? Al di là di queste analogie un po’ cabalistiche, è chiaro che sul quadrante della storia il terzo millennio annuncia che l’Asia, per il progresso tecnologico e scientifico, l’economia e la demografia, sarà il continente del futuro. Per quanto concerne l’evangelizzazione sembra di poter dire che l’Asia mostra volti contrastanti eppure, paradossalmente, complementari: un continente di conversioni poco numerose e tuttavia qualificate, un continente dove il cristianesimo sembra in rotta di collisione con le culture fino a provocare la persecuzione e, peraltro, un continente dove saranno proprio le culture e il dialogo con esse il veicolo della fede.
Un grande interesse
per la Chiesa
Dalla lettura di un dossier de La Croix del 17 agosto 2014, significativamente intitolato L’Asia speranza del cristianesimo, emerge una chiesa in cui, stando ai dati dell’Annuario Pontificio del 2013, l’incremento numerico dei preti, dei seminaristi, delle religiose è molto veloce, forse il più veloce, arrivando a tenere il passo con l’Africa. Così anche il numero dei battesimi, relativamente alla consistenza delle rispettive comunità cristiane, è in crescita. Il cristianesimo in molte parti dell’Asia è guardato come “la religione della modernità”, scrive Claire Ly, un’insegnante d’origine cambogiana docente presso l’Istituto delle scienze e della teologia delle religioni di Marsiglia. Così molti asiatici, giovani e meno giovani, chiedendo il battesimo, desiderano mettersi al passo con il mondo del progresso tecnico e dello sviluppo economico, con l’intento di prendere le distanze dalle loro tradizioni ancestrali, che ritengono lontane dalla realtà e inquinate da molte superstizioni.
In Asia gli istituti scolastici e gli ospedali cattolici sono tra i più stimati e non è raro il caso che in India ospedali non cattolici prendano il nome d’un santo cristiano, quasi fosse garanzia di serietà e di sicurezza anche per i non cristiani. Insomma si direbbe che la chiesa cattolica e la sua fede suscitino in molte parti dell’Asia un’inattesa attrazione anche se questa non sempre diventa adesione sacramentale.
Una chiesa
perseguitata
D’altra parte una chiesa così stimata è nello stesso tempo una chiesa perseguitata. Oggi le persecuzioni contro la chiesa cattolica sono in Asia più frequenti che altrove: Cina, India, Pakistan, Vietnam, Laos … sono solo alcuni esempi. In molti casi questo è dovuto alla dottrina sociale della chiesa che, partendo dal Vangelo, parla di democrazia, di libertà e di uguaglianza dei sessi, mentre le tradizioni religiose asiatiche come il confucianesimo, il buddismo e l’induismo veicolano forme di conservazione e modelli sociali e spesso patriarcali che contribuiscono a mantenere le disuguaglianze sociali.
Se in India i fondamentalisti indù se la prendono con tanta violenza con gli appartenenti alla religione cattolica e ai loro simboli, è perché la fede cristiana mette in crisi il sistema delle caste e destabilizza un sistema che non si può mettere in discussione. Per la stessa ragione il potenziale sovversivo della fede cristiana fa paura ai regimi comunisti di Cina, Vietnam, Laos e contesta un regime islamico come quello del Pakistan, dove i gruppi estremisti attaccano le comunità cristiane che propugnano valori di apertura universale e chiedono libertà religiosa e tolleranza. In parecchi stati i cristiani non possono professare la loro fede. Ricordiamo solo due esempi: Shahbaz Bhatti, ministro per le minoranze del Pakistan, ucciso il 2 marzo 2011 perché difensore della libertà religiosa, oppure Asia Bibi, madre di cinque figli, condannata a morte da un tribunale del Punjab per “blasfemia”, per aver professato la sua fede. Giovanni Paolo II parlava delle migliaia di martiri asiatici, conosciuti e sconosciuti, come una fonte di «ricchezza spirituale e un grande mezzo di evangelizzazione» (Ecclesia in Asia n. 9), e papa Francesco nel corso del viaggio in Corea ha beatificato altri 124 martiri che furono uccisi all’inizio del secolo XIX aggiungendoli ai 103 martiri coreani già canonizzati da Giovanni Paolo II nel 1984.
Un nuovo modo
di fare missione
Papa Francesco non nasconde la sua ammirazione per i missionari gesuiti del sec. XVII, pionieri di un metodo asiatico di evangelizzazione escogitato dal p. Alessandro Valignano (+1606), e portato avanti da Matteo Ricci (+1610), matematico e astronomo e dai suoi seguaci, fra i quali padre Martino Martini (+1661), storiografo e geografo, da Giuseppe Castiglioni (+1766), architetto e pittore e dal p. Roberto de Nobili (+1656) in India. Questi missionari avevano compreso che l’Asia non poteva essere evangelizzata con i metodi tradizionali usati per l’America e l’Africa. Bisognava entrarvi per altre strade, rispettose delle tradizioni culturali, attraverso la carità, la competenza scientifica e l’amicizia. Queste caratteristiche permisero allora l’incontro tra la cultura europea e la civiltà asiatica e il fiorire di numerose comunità cristiane. Purtroppo questo metodo fu rifiutato dall’intransigenza dei missionari degli ordini mendicanti (Francescani e Domenicani) che, a differenza dei gesuiti, non si resero conto della complessità della cultura cinese e ricorsero a Roma per far condannare come eretico il metodo di Ricci e compagni. Con grande danno della missione.
Oggi l’intuizione dei Gesuiti di allora è ripresa e sono i vescovi asiatici che domandano che la metodologia missionaria di quei tempi sia ripresa nel dialogo e che l’evangelizzazione sia rispettosa delle tradizioni locali asiatiche. Ecclesia in Asia afferma «l'importanza del dialogo quale modo caratteristico della vita della Chiesa in Asia» (n.3). Non sempre è possibile agli asiatici entrare nella Chiesa (lo riconosce anche Giovanni Paolo II in Redemptoris Missio n. 10) ma sempre è possibile convenire e condividere l’impegno per i valori del regno che possiamo sempre ricercare insieme (Ecclesia in Asia n.48). Quello che conta è che la Chiesa sia sinceramente rispettosa dei valori culturali asiatici e non imponga forme e formule che non sono comprensibili agli asiatici, ma cerchi di evangelizzarli a partire dai valori della loro cultura. «Finora il cristianesimo è entrato in un dialogo profondo solo con la cultura ebrea e greco-romana. Non si vede perché i grandi sistemi metafisici e religiosi dell’Asia non possano veicolare il mistero cristiano», scriveva quel grande pensatore ispano-indiano che è Raymond Panikkar.
Il metodo
del dialogo
Dialogo con la cultura, con la religione non cristiana e con i poveri, saranno i punti di riferimento della missione in Asia. Un’evangelizzazione che aggiorni il suo linguaggio e le figure per adeguarli all’Asia è ormai imprescindibile. I vescovi asiatici nel corso del Sinodo per l’Asia (1998) hanno suggerito di usare non le figure scolastiche di Gesù ma quelle figure intelligibili dalle culture asiatiche, come Gesù Maestro di saggezza, guaritore, liberatore, guida spirituale, essere illuminato o amico compassionevole … Questo lavoro di inculturazione della fede cristiana in Asia è appena incominciato, tra molte difficoltà, ma deve essere portato avanti. È la sfida dell’evangelizzazione in Asia dalla quale dipende il futuro del cristianesimo nel continente. Come l’apostolo Paolo e i primi Padri della chiesa hanno inculturato il Cristo nel logos e nella filosofia greca, così i teologi indiani stanno cercando di inculturarlo nello spirito dell’advaita (il principio di “non dualità”) che è la dottrina maggiore della filosofia indiana che coniuga la realtà di Dio e quella del mondo.
Il nuovo approccio alla missione che papa Francesco presenta con il suo modo di fare e che spiega in Evangelii gaudium fondata sull’attrazione e la testimonianza, sul rispetto delle culture e l’insistenza sulla misericordia invece che sulla morale, ha fatto colpo nel cuore di molti asiatici anche non cristiani. È un parlare nuovo che ha profonde risonanze nel cuore degli asiatici, diceva un mio confratello che lavora in Giappone. Forse è l’ora di un’evangelizzazione autenticamente nuova dell’Asia.
Gabriele Ferrari s.x.