RAPPORTO ANNUALE DELLA FAO

LA PACE PER VINCERE LA FAME

 

Occorre lavorare insieme come famiglia umana e come famiglia di nazioni, così che gli affamati, i molto poveri e i molto ricchi, quanti mancano dei mezzi necessari e altri che li sprecano non vivano più fianco a fianco. L’intervento di Benedetto XVI.

 

Mentre nei paesi del benessere diffuso tanta gente attende le feste natalizie e l’anno nuovo per abbuffarsi e sprecare denaro in cose inutili o comunque superflue, è intollerabile che nel mondo quasi un miliardo di persone soffrano o muoiano di fame. I dati sono impietosi. Sono stati confermati di nuovo dal Rapporto annuale sullo stato di insicurezza alimentare nel mondo (Sofi) secondo cui ancora 854 milioni di persone soffrono la fame (820 mln nei paesi in via di sviluppo, 25 mln nei paesi in transizione, 9 mln nei paesi industrializzati). Ciò che preoccupa e lascia poco spazio alla speranza è la persistente mancanza di buona volontà a risolvere il problema. Tant’è vero che il numero di coloro che patiscono la fame non è mai calato dal 1990-92, nonostante che nel 1996 oltre 180 capi di stato e di governo a Roma si siano impegnati a dimezzarlo entro il 2015.

La stessa Fao ha ammesso il fallimento: in particolare nell’Africa sub-sahariana il numero di persone sottoalimentate è passato da 169 mln nel 1990-92 a 206 mln nel 2001-03: tra le cause di questo incremento vi sono l’Aids, le guerre e le catastrofi naturali (vedi in Burundi, Eritrea, Liberia, Sierra Leone e Repubblica democratica del Congo). Il Congo è un caso emblematico se si considera che si tratta di una delle regioni della terra con le maggiori risorse naturali; e proprio qui si registrano le maggiori preoccupazioni poiché, a causa anche della guerra del 1998-2002, il numero di affamati è triplicato passando da 12 a 37 mln, cioè il 72% della popolazione.

Il rapporto della Fao indica chiaramente che per ridurre il numero di sottoalimentati è fondamentale lo sviluppo rurale. Sottolinea poi che i paesi del nord del mondo adottano tutta una serie di azioni economiche che frenano la produzione agricola di quelli sottosviluppati e l’esportazione dei loro prodotti.

 

CONTRO LA FAME

CAMBIA IL MODELLO DI VITA

 

Riprendendo i dati della Fao, il 12 novembre u.s. in occasione della Giornata del Ringraziamento dedicata alla Terra, Benedetto XVI ribadisce che ciò conferma quel che viene «dall’esperienza diretta delle comunità e dei missionari: che cioè oltre 800 milioni di persone vivono in stato di sottoalimentazione e troppe persone, specialmente bambini, muoiono di fame».

Il pontefice, senza mezzi termini, ha dichiarato che «occorre eliminare le cause strutturali legate al sistema di governo dell’economia mondiale, che destina le maggior parte delle risorse del pianeta a una minoranza della popolazione. Tale ingiustizia è stata stigmatizzata in diverse occasioni dai venerati miei predecessori, i servi di Dio Paolo VI e Giovanni Paolo II».

Coerentemente il direttore della Fao, il senegalese Jacques Diouf, appena rieletto alla guida dell’agenzia, chiede tariffe più basse ma soprattutto meno sussidi ai produttori nordamericani e europei e più aiuti ai paesi più poveri (proprio queste sono le chiavi per permettere al sud del mondo di raggiungere un livello di sviluppo soddisfacente).

Per incidere su larga scala è necessario convertire il modello di sviluppo globale; lo richiedono ormai non solo lo scandalo della fame, ma anche le emergenze ambientali ed energetiche. «Tuttavia, ha continuato il papa, ogni persona e ogni famiglia può e deve fare qualcosa per alleviare la fame nel mondo adottando uno stile di vita e di consumo compatibile con la salvaguardia del creato e con criteri di giustizia verso chi coltiva la terra in ogni paese». A partire dal recupero del senso di gesti molto semplici: «Nelle nostre famiglie cristiane si insegna ai piccoli a ringraziare sempre il Signore, prima di prendere il cibo, con una breve preghiera e il segno della croce. Questa consuetudine va conservata o riscoperta, perché educa a non dare per scontato il pane quotidiano, ma a riconoscere in esso un dono della Provvidenza. Dovremmo abituarci a benedire il Creatore per ogni cosa: per l’aria e per l’acqua, preziosi elementi che sono a fondamento della vita sul nostro pianeta; come pure per gli alimenti che attraverso la fecondità della terra Dio ci offre per il nostro sostentamento. Ai suoi discepoli Gesù ha insegnato a pregare chiedendo al Padre celeste non il mio, ma il nostro pane quotidiano. Ha voluto così che ogni uomo si senta corresponsabile dei suoi fratelli, perché a nessuno manchi il necessario per vivere. I prodotti della terra sono un dono destinato da Dio per l’intera famiglia umana».

 

L’IMPEGNO SERIO

DELLA CHIESA

 

Nei giorni precedenti a queste dichiarazioni, in linea comunque con tale visione, era arrivato l’annuncio dell’acquisto da parte del papa della prima obbligazione Aiuto finanziario internazionale per le vaccinazioni (IFFIM). Il cardinal Martino, presidente del pontificio Consiglio giustizia e pace, nell’occasione spiegava che i poveri attendono con impazienza l’ora in cui la corruzione a vari livelli di governo o nel settore sociale smetterà di impedire che le opportunità di sviluppo siano alla portata di tutti i membri della società: «Benedetto XVI crede che sia giunto il momento». A nome del papa il cardinale ha chiesto di fornire con rapidità fondi per rispondere alla povertà, alla fame, alla carenza di opportunità per l’educazione e l’alfabetizzazione e la lotta in corso contro il flagello della malaria e la diffusione dell’HIV/AIDS e della tubercolosi.

Intervenendo all’evento speciale sull’implementazione del diritto all’alimentazione, organizzato sempre dalla Fao il 4 novembre, lo stesso cardinal Martino ha ricordato il serio impegno della Chiesa nella lotta contro questo flagello. Un’iniziativa che sta avendo un impatto positivo sulle donne e sul loro ruolo nella sicurezza alimentare, ha spiegato, è la National women farmer’s association (NAWFA), che conta più di 30mila donne coltivatrici di sesamo: il programma mira a migliorare la sicurezza alimentare per le famiglie rurali, promuovendo il loro accesso a beni e servizi. Il Dallol maturi villane banking program, sostenuto dai Catholic relief services (CRS), poi fornisce servizi finanziari e non a più di 2.500 donne povere imprenditrici nelle zone rurali del sud del Niger. In Niger, ha proseguito, esiste un programma di microfinanziamento di CRS che per la fine del 2006 fornirà risparmi e servizi di credito a 5mila clienti. La Caritas Niger, dal canto suo, ha iniziato a distribuire tonnellate di generi alimentari d’emergenza a circa 43mila persone nella regione. In Sudan la Food security initiative (FSI),

sostenuta da CRS e da altre Ong cattoliche, mira ad aumentare la sicurezza alimentare in 120 villaggi, insegnando nuove tecniche nel settore agricoltura e giardinaggio. Operano invece in Sri Lanka i Jesuit relief services e la Caritas, che continuano a fornire aiuti d’emergenza alle centinaia di migliaia di persone che hanno dovuto lasciare la propria casa a causa violenza nel paese. Questi non sono che alcuni dei molti esempi di come istituzioni e organizzazioni cattoliche nel mondo siano state e continuino a stare sul posto, lavorando a programmi per migliorare la disponibilità di cibo e promuovendo gli impianti di immagazzinamento e investimento nelle infrastrutture agricole.

 

MISERIA E SPRECO:

CONTRASTI INTOLLERABILI

 

Il discorso dello sviluppo a questo punto si collega al tema della pace. Secondo il cardinal Martino, se si vuole che nel mondo ci sia un’agricoltura sostenibile, «la comunità internazionale deve riconoscere che la pace è una condizione prioritaria e fondamentale. Le guerre portano non solo povertà; provocano anche carestia causando massicci spostamenti di persone e rendono la terra insicura o inadatta per la produzione di cibo».

La critica situazione attuale può essere superata comunque solo con un atteggiamento di solidarietà che tocchi ogni aspetto dello sviluppo: formazione e utilizzo del capitale, investimenti, sistemi di produzione e distribuzione. Le politiche economiche stesse non possono essere separate dalla considerazione etica. «Tutte le persone di buona volontà sono capaci di percepire le questioni etiche che sono in gioco e che sono collegate al futuro dell’economia mondiale: combattere la fame e la malnutrizione, contribuire alla sicurezza alimentare e allo sviluppo agricolo endogeno dei paesi in via di sviluppo, sviluppare il potenziale di esportazioni di questi paesi e preservare le risorse naturali di rilevanza mondiale».

L’insegnamento sociale della Chiesa considera tutti questi aspetti come componenti fondamentali del bene comune universale, che deve essere identificato e promosso dai paesi sviluppati. Per questo motivo si deve continuare a cercare soluzioni efficaci e tempestive alla piaga della gente che soffre la fame. Occorre lavorare insieme come famiglia umana e come famiglia di nazioni, «così che gli affamati, i molto poveri e i molto ricchi, quanti mancano dei mezzi necessari e altri che li sprecano non vivano più fianco a fianco. Questi contrasti tra povertà e ricchezza sono intollerabili per l’umanità».

Visto che il diritto di avere abbastanza da mangiare è fondamentale e inalienabile per ogni persona e per la sua famiglia, è compito dei leader della nazioni, dei poteri economici e di tutta la gente di buona volontà cercare ogni opportunità per una divisione più equa delle risorse e di beni di consumo. Si torna al discorso chiave del papa che ribadisce l’impegno della Chiesa a evangelizzare il governo dell’economia globale, dal momento che è dimostrato come la sicurezza alimentare degli individui dipenda dal loro potere d’acquisto, e non tanto dalla disponibilità fisica di cibo. Ne consegue che la fame deriva in primo luogo dalla povertà. Si tratta in sostanza di passare dall’approccio assistenziale a quello dello sviluppo delle nazioni che reclama l’assunzione di responsabilità etiche condivise.

Come si nota, la Chiesa non deve dunque prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile, ma non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. In questo spirito il papa nella sua prima enciclica rimarca che «il programma del cristiano, il programma del buon samaritano, il programma di Gesù, è “un cuore che vede”. Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente» (Deus caritas est 31). Di fronte alla strage per fame la Chiesa è chiamata superare sia le forme di preoccupante disinteresse che quelle di coinvolgimento militante e ideologico. Infatti la persona umana non può e non deve essere strumentalizzata da strutture sociali, economiche e politiche, poiché ogni uomo ha la libertà di orientarsi verso il suo fine ultimo. In altre parole, le visioni totalitaristiche della società e dello stato e le ideologie del progresso si rivelano come contrarie alla verità integrale della persona umana e al disegno di Dio sulla storia.

Mario Chiaro