LA COMUNICAZIONE
NELLA VITA FRATERNA
Migliorare la comunicazione all’interno
della vita religiosa: dalla solitudine alla solidarietà.
È questo in sintesi il messaggio di Maite Melendo nel suo libro La
comunicazione: base di relazioni comunitarie e profonde, tradotto da Gaetano
Donato.1
Questo libro fa parte della collana
“Quaderni di Formazione Permanente” che ha lo scopo di fornire un aiuto
teorico-pratico per la riflessione sulle problematiche della vita religiosa.
Sono già stati pubblicati Il progetto personale. Ricerca di autenticità e Il
progetto comunitario. Cammino d’incontro e comunione, entrambi di Juan Mari Ilarduia. Di prossima
pubblicazione Il conflitto comunitario: un’opportunità per crescere o una
minaccia di distruzione? di Sabino Ayestarán.
L’autrice psicoterapeuta si concentra
sui binomi comunicazione-amore e
comunicazione-amicizia (quest’ultima intesa come
forma suprema dell’amore) con l’obiettivo di accrescere la capacità di dialogo all’interno
delle comunità religiose. E ciò non solo per rendere più soddisfacente la vita
dei soggetti coinvolti, ma anche per la testimonianza che sono chiamati a
portare per esplicita indicazione di Gesù: «Da questo
tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri»
(Gv 13,35).
Tutti i nostri comportamenti comunicano
dei messaggi a chi ci sta intorno, anche se non ce ne accorgiamo o non lo
desideriamo. Esserne consapevoli può far riflettere sulla necessità di essere
il più possibile chiari e di imparare un’arte importante: ascoltare. È
indispensabile per essere dei buoni comunicatori efficaci sia nell’espressione
che nell’ascolto.
L’AMICIZIA
BISOGNO ESSENZIALE
L’uomo non è solitario ma un essere
sociale, che si realizza relazionandosi con gli altri. La comunicazione è per
le relazioni interpersonali ciò che la respirazione è per la vita. Se la
comunicazione è il mezzo per stabilire, mantenere e approfondire le nostre
relazioni interpersonali, è importante lavorare su di essa. Ciò è fondamentale
nelle comunità religiose: se viene meno la comunicazione, queste saranno solo
gruppi di uomini o donne residenti sotto lo stesso tetto e che condividono il
lavoro e le spese, mentre la loro prospettiva è la prima comunità cristiana descritta
negli Atti degli Apostoli (At 2, 42-48) con specifiche caratteristiche di
fratellanza, amicizia e accoglienza, acquisite, anche, attraverso la continua
cura della comunicazione tra i propri membri. Tutti sono fratelli e sorelle, ma
difficilmente si riesce a essere amici di tutti i fratelli e le sorelle. La
fratellanza ci è stata donata, mentre l’amicizia rappresenta un passo in più
del cammino verso una fratellanza comune e universale: «vi ho chiamato amici,
perché tutto ciò che ho udito dal Padre ve l’ho fatto conoscere» (Gv 15, 14-16).
Ognuno esce dalla solitudine nella
stessa misura in cui riesce a comunicare. L’autrice propone sei livelli di
comunicazione, ossia sei gradi di implicazione e profondità con cui siamo
disposti a farci coinvolgere nel dialogo: da quelli più superficiali dei
dialoghi quotidiani o che riguardano terzi, in cui non si offre niente di sé, a
quello della comunicazione delle proprie opinioni e idee, al raccontare le
esperienze passate e i progetti futuri, fino al livello più intimo di
condivisione dei propri sentimenti. L’ultimo livello è l’accettazione completa
di se stessi e degli altri, ma è quello che si raggiunge più raramente: in
questa fase si cambia, e appaiono nuove possibilità di autorealizzazione,
creatività e felicità.
COMUNICARE
NELLE COMUNITÀ RELIGIOSE
Tra le cause delle difficoltà di
comunicare nella vita religiosa c’è la paura dell’amicizia. La paura di
“amicizie particolari” ha impedito la comunicazione, che non veniva vista di
buon occhio, se non vietata. Il risultato oggi è spesso mancanza di amicizia,
relazioni superficiali e carenza nella comunicazione. Ma, poiché l’amicizia è
necessaria per l’uomo, la si è cercata all’esterno. Una volta trovati i propri
canali di comunicazione al di fuori della vita comunitaria, è aumentato il
logoramento della comunicazione al suo interno, perché non se n’è più sentito
il bisogno.
La vita religiosa può rifiorire
soltanto se i religiosi e le religiose sono persone pienamente umane. Senza
vivere l’amore-amicizia non si può essere pienamente umani, e quindi né
veramente cristiani né religiosi. C’è forse questa diffidenza nei confronti
dell’amicizia alla base della scarsità di vocazioni. Non è difficile – conclude
l’autrice – trovare persone intenzionate ad abbandonare la vita religiosa per
le difficoltà nella convivenza e nelle relazioni comunitarie. È pertanto
necessario sollecitare la riflessione di tutti sulla qualità della
comunicazione interna. (Daniela De Pasquale)
1 Melendo M.,
La comunicazione base di relazioni comunitarie profonde, EDB, Bologna 2006, pp.
105, € 8,00.