NOTA CEI SULLA PASTORALE DELLA SALUTE

NON LASCIARE SOLO IL MALATO

 

La Nota pastorale intende offrire criteri di discernimento dell’attuale situazione del mondo della salute e alcune indicazioni pastorali per un’adeguata evangelizzazione e una incisiva testimonianza della speranza cristiana. Una proposta sul modello del buon samaritano.

 

Il settore della sanità è stato e continua a essere uno dei campi privilegiati dell’azione pastorale della Chiesa. Anche oggi, come ha scritto Benedetto XVI nel messaggio per la XIV Giornata mondiale del malato (8 dicembre 2005), la Chiesa ha la consapevolezza di essere «chiamata a manifestare l’amore e la sollecitudine di Cristo verso quanti soffrono e verso coloro che se ne prendono cura».

I mutamenti avvenuti in ambito socio-culturale, nel mondo sanitario esigono però un profondo ripensamento e la messa in atto di un nuovo approccio pastorale. Per questa ragione la Commissione episcopale italiana per il servizio della carità e della salute ha sentito il bisogno di redigere una Nota pastorale in cui offrire alle comunità ecclesiali «criteri di discernimento e indicazioni pastorali per un’adeguata evangelizzazione e una incisiva testimonianza della speranza cristiana nel mondo della salute» adeguati ai tempi. La Nota, intitolata Predicate il Vangelo e curate i malati. La comunità cristiana e la pastorale della salute, si pone in continuità con il documento del 1989, a cura della Consulta nazionale per la pastorale della sanità, e assume un significato particolare anche perché si colloca entro il cammino, giunto ormai all’ultima fase, che la chiesa italiana sta compiendo in vista del 4° Convegno ecclesiale nazionale che si svolgerà a Verona dal 16 al 20 ottobre prossimo.

Le riflessioni e le indicazioni proposte nella Nota sono sviluppate in tre parti. La prima offre una visione del mondo attuale della salute, mettendone in evidenza luci e ombre; nella seconda viene indicato il messaggio di speranza che la Chiesa intende offrire al mondo della salute, in risposta alle sfide che da esso provengono; nella terza sono presentate alcune linee operative.

 

LA SANITÀ

MONDO IN EVOLUZIONE

 

È importante, prima di tutto, cercare di conoscere almeno a grandi linee l’evoluzione avvenuta nel mondo della salute e cogliere la visione culturale e sociale che vi sta dietro. Certamente bisogna riconoscere i preziosi contributi offerti oggi dalla ricerca scientifica per una migliore cura e per l’assistenza sanitaria delle persone. Così pure dare atto ai responsabili della vita politica e amministrativa nel loro impegno nel promuovere e salvaguardare il diritto alla tutela della salute dei cittadini.

A tutto questo si contrappongono tuttavia spesso visioni culturali e sociali inconciliabili con il perseguimento del bene comune. Anzitutto, rileva la Nota un’eccessiva libertà di iniziativa che rischia di emarginare i soggetti più deboli e l’esasperazione dell’uguaglianza dei servizi socio-sanitari, con la conseguente burocratizzazione della risposta, passività e acquiescenza dell’utente. Inoltre l’adozione indiscriminata del modello aziendale che può condurre a privilegiare il risultato economico rispetto alla cura della persona e la mancanza di attenzione al principio della sussidiarietà, per cui diventa più difficile l’azione dei soggetti del privato sociale e del terzo settore.

Tutto ciò si comprende meglio se visto nella luce di alcune tendenze della cultura contemporanea ed è proprio da questo livello che provengono le sfide a cui la Chiesa è chiamata a rispondere.

In primo luogo l’atteggiamento che la Nota definisce prometeico, ossia quello dell’uomo che si illude di impadronirsi della vita e della morte, che crede di essere padrone assoluto della vita. Due sintomi sono a questo riguardo particolarmente rivelatori: l’accanimento terapeutico e l’eutanasia. Con l’accanimento terapeutico l’uomo usa tutti i mezzi per posticipare la morte, mentre con l’eutanasia egli si arroga il diritto di anticipare e determinare la morte: «In ambedue i casi – scrive la Nota pastorale – egli intende esercitare un dominio assoluto sulla vita e sulla morte». Ma «il rifiuto della condizione finita dell’uomo non è privo di ripercussioni sul piano socio-psicologico e spirituale. Infatti, il dramma costituito dallo scontro tra un progresso tecnico senza fine e l’ineluttabilità della morte suscita nevrosi e disagio esistenziale e influisce negativamente sulla ricerca del senso della vita e sull’elaborazione di una scala di valori rispettosa della persona e della natura».

Rientra in questa visone culturale anche il passaggio da una medicina dei bisogni a una medicina dei desideri, da cui deriva la tendenza a rimuovere gli aspetti faticosi dell’esistenza. In altre parole, «la sofferenza è considerata scomoda compagna di cui l’uomo diventa silenzioso spettatore impotente; la malattia è vissuta come un evento da cui liberarsi più che evento da liberare; il naturale processo di invecchiamento è rifiutato dal momento che la vecchiaia viene considerato un tempo dopo la vita vera e non tempo della vita; la morte è vista come evento indicibile e inaudito; la disabilità è considerata più come un ostacolo che non come una provocazione, più come bisogno assistenziale che non come domanda di riconoscimento esistenziale».

Si assiste inoltre a un crescente spostamento dei temi della salute, della sofferenza e della morte dal terreno del senso e del valore a quello della tecnica così che questi temi, dalla sfera metafisica, morale e religiosa sono stati trasferiti nella sfera pratica. Pertanto «l’insignificanza dei vissuti esistenziali, che caratterizza il nostro tempo, depotenzia la capacità di “dare un senso” al tempo della malattia cronica e inguaribile, della decadenza di una vecchiaia sempre più prolungata, della morte. La malattia come evento clinico, infatti, è spesso presidiata dall’attesa dell’onnipotenza del sapere medico; l’evento esistenziale appare, al contrario, rimosso e censurato».

A tutto questo si accompagna l’affievolirsi del rispetto della vita: «Si potrebbe paradossalmente affermare che i “diritti dei deboli” si fanno, giorno dopo giorno, “diritti deboli”: sono quelli dei disabili, delle persone affette da forme gravissime di sofferenza psichica, dei lungodegenti e degli inguaribili, dei malati cronici…». Legato al rispetto della vita è la problematica relativa all’ecologia, dove «smisurati interessi economici portano all’inquinamento dell’ambiente, compromettono la qualità del territorio, impoveriscono il livello di vita dei cittadini».

Occorre inoltre tenere presente tutto il settore della prevenzione e il campo della bioetica, che oggi è al centro del dibattito culturale: «L’affievolirsi delle evidenze etiche e il soggettivismo delle coscienze, unitamente al pluralismo culturale, etico e religioso, portano facilmente a relativizzare i valori, e quindi al rischio di non poter più fare riferimento a un ethos condiviso, soprattutto in ordine alle grandi domande esistenziali, riferite al senso del nascere, del vivere e del morire».

 

RENDERE RAGIONE

DELLA SPERANZA

 

All’interno di questo mondo della salute, la Chiesa vuole essere “profezia di speranza”: «Alla società che si impegna per garantire la tutela dei diritti dei cittadini della salute, essa, con la parola che viene da Dio e con la testimonianza, propone l’ideale di una comunità che si prende cura, difendendo e promovendo la persona nella sua globalità e coinvolgendo la famiglia, gli operatori sanitari e pastorali». La parola chiave della sua proposta è ospitalità – che «non è solo accoglienza ma anche risposta ai bisogni delle persone ospitate» – da cui derivano gesti e criteri finalizzati a rendere più umano il servizio al malato, di fronte al «fenomeno inquietante del degrado di umanità presente nei servizi al malato, quali il prevalere di interessi politici ed economici, l’eccessiva burocratizzazione, l’inefficienza amministrativa, il deterioramento della scala dei valori, la scarsa considerazione del malato come persona.

Il mondo della sofferenza umana invoca un altro mondo: quello dell’amore. Non basta perciò l’efficienza per così dire manageriale. Il malato ha bisogno di essere accompagnato con amore e con competenza, e in questo accompagnamento è importante abbinare quello dei familiari. Ha bisogno di trovare risposte agli interrogativi che si addensano nel suo animo, circa il senso del vivere e del morire e il significato del dolore, a cui la comunità cristiana risponde offrendo la luce della parola di Dio e il conforto della solidarietà cristiana.

Nel proporre il proprio messaggio sulla sofferenza, sottolinea la nota pastorale, la Chiesa è consapevole di scontrarsi con una diffusa mentalità materialista, efficientistica ed edonistica che coltiva una concezione riduttiva della salute, rifugge dal dolore, rimuove la morte, tende a idolatrare il corpo, a cui si accompagna la sindrome dell’onnipotenza della scienza o della presunta padronanza della vita.

Nel suo impegno, la Chiesa è sostenuta non da argomenti di carattere ideologico, bensì da un atteggiamento di intensa umanità, di amore e vicinanza a ogni persona nella sua concreta situazione esistenziale, di difesa dei valori fondamentali iscritti nella natura della persona umana e della relazione sociale. Tra questi valori, il rispetto della vita di ciascun essere umano dal concepimento fino al suo naturale tramonto.

In questo impegno, essa fa molto affidamento sulle istituzioni sanitarie cattoliche e sul coinvolgimento di tutta la comunità, compresi i laici, che deve sentire come propri l’ospedale, la residenza di anziani o casa di accoglienza presenti nel territorio.

Come ha scritto Benedetto XVI, la Chiesa deve offrire al mondo di oggi ancora una come modello l’immagine del buon samaritano. Egli ricorda che se nella cura dei sofferenti è necessaria la competenza professionale, questa da sola non basta. I malati «hanno bisogno di umanità; hanno bisogno dell’attenzione del cuore». Agli operatori nel campo sanitario è necessaria soprattutto la formazione del cuore: «Occorre condurli a questo incontro con Dio in Gesù che susciti in loro l’amore e apra il loro animo all’altro, così che per loro l’amore del prossimo non sia più un comandamento imposto per così dire dall’esterno, ma una conseguenza derivante dalla loro fede che diventa operante nell’amore».

 

ORIENTAMENTI

PASTORALI

 

La nota pastorale offre a questo punto, nella sua terza parte, alcuni orientamenti pastorali atti a tradurre in pratica i principi sopra elencati. Il primo progetto da realizzare, afferma, è la costruzione di una comunità guarita e sanante, sull’esempio di Gesù il quale non solo ha curato e guarito i malati, ma è stato anche instancabile promotore della salute.

In secondo luogo è compito importante della comunità ecclesiale la promozione della persona sofferente, rendendo operativa l’affermazione di Giovanni Paolo II, secondo cui l’uomo sofferente è «soggetto attivo e responsabile dell’opera di evangelizzazione e di salvezza». Si comprende allora «quanto sia importante passare da una concezione che intende il malato come oggetto di cura a una che lo rende soggetto responsabile della promozione del Regno».

Un ruolo importante spetta a questo riguardo alle comunità parrocchiali. Ognuna di esse «deve aprirsi all’accoglienza, impegnandosi a far sì che il sofferente non sia solo nella prova: gli è vicino Cristo che perdona, santifica e salva, unitamente alla Chiesa che, con i gesti della “presenza” partecipa alla sua situazione di debolezza e prega con lui».

Un significato tutto particolare acquista in questo senso la celebrazione del sacramento dell’Unzione degli infermi quale «segno che essi non sono soli ma ad essi è vicino Gesù».

Il malato, inoltre, con la sua presenza non è uno che ha solo da ricevere; egli ha anche molto da offrire, nel senso che la malattia è una “pedagogia” per tutti: «Fa imparare la riconoscenza a Dio per i tanti doni ricevuti; spinge a pregare per chi è nella prova, ad apprezzare il bene nascosto, a ridimensionare i propri problemi; fa ritrovare semplicità e umiltà e spinge a una maggiore disponibilità verso gli altri; invita ad approfondire la domanda sul senso della vita. Frequentando le persone sofferenti si impara ad ascoltare di più, a incoraggiare, a compiere anche i servizi più umili per aiutare l’altro, a non fuggire dalla realtà quotidiana».

Se nella pastorale della salute occorre coinvolgere tutta la comunità, grande affidamento la Chiesa ripone nelle persone consacrate le quali «lungo la storia hanno costituito la principale forma di presenza concreta della Chiesa nell’assistenza agli infermi». La nota pastorale esalta inoltre il ruolo della donna, per quelle caratteristiche che sono tipiche della personalità femminile: la ricettività, la disponibilità, l’accoglienza, la capacità di ascolto, l’abilità nel cogliere le situazioni, l’attitudine a farsi carico dei problemi degli altri, l’inclinazione a offrire il proprio aiuto…

All’interno della comunità ecclesiale, un compito importante è riservato alla parrocchia, e al parroco in particolare, al quale spetta «promuovere nel tessuto vitale della comunità lo spirito di diaconia evangelica verso i sofferenti e l’impegno della promozione della salute». Prezioso, è detto, è il dono che si può offrire ai malati e ai loro familiari attraverso la visita a domicilio sia nelle strutture ospedaliere presenti nell’ambito della parrocchia: «La visita ai malati e ai familiari, fatta a nome della comunità, è sorgente di fraternità e di gioia, li fa sentire membri attivi della comunità ed è segno della vicinanza e dell’accoglienza di Dio».

La Nota conclude invitando a guardare alla Vergine Maria, salute degli infermi, come a un modello da imitare.

 

A.D.