PER UNA
SPIRITUALITÀ DELL’EDUCATORE CRISTIANO
UN
SERVIZIO DI CARITÀ
Nell’enciclica Deus caritas est ci sono
numerosi spunti in grado di dare un senso pieno alla missione dell’educatore
cristiano. Ad alimentare e sostenere la sua attività infatti non è una semplice
inclinazione all’insegnamento, ma l’amore. Oltre la competenza, questa infatti
deve essere la forza che lo anima.
Il primo
pensiero che sgorga dal cuore dopo aver letto l’enciclica Deus caritas est è di
gioiosa riconoscenza: Benedetto XVI fa un grande dono alla Chiesa e
all’umanità. La lettura del testo comunica grande speranza e riconcilia con la
vita: è un’invitante provocazione a cogliere l’essenziale della vita cristiana;
è una limpida e convincente visione organica dell’uomo e della società, che
mostra come solo a partire da Cristo si può guardare alla vita con fiducia e
speranza. Grande dote di questo papa, veramente “benedetto”, che ha il dono
raro di saper unire profondità di pensiero e semplicità di linguaggio.
Queste
le prime impressioni che sgorgano spontanee dopo la lettura; dopodiché la prima
cosa che sento di suggerire è semplice quanto importante: prendere in mano
l’enciclica e leggerla con calma e con apertura di mente e di cuore,
soffermandoci su quanto con sapienza e semplicità viene proposto, evitando quel
consumismo spirituale che ci fa passare da un testo all’altro per poi
assimilare poco o niente in profondità. Qui si trova cibo solido, non
chiacchiere superficiali.
Una
volta letto il testo pontificio, ci si potrà utilmente rivolgere a qualche
commento o studio specifico che certamente non mancheranno e che aiuteranno ad
approfondire qualche aspetto particolare. Per parte mia, credo che l’enciclica
di Benedetto XVI, che di per sé non si occupa di scuola, dica comunque qualcosa
di importante anche ai cristiani impegnati a testimoniare l’amore cristiano nel
campo dell’educazione. Provo a dire perché.
LA
CARITÀ
DELLA
VERITÀ
“La cura
dell’istruzione è amore” – così si esprime la Bibbia (Sap 6,17); s. Agostino,
per parte sua, parla della caritas veritatis (la carità della verità)
sottolineando che essa è una delle manifestazioni più alte di amore. Come a
dire che un modo di voler bene alle persone che amiamo è anche questo: aiutarle
a scoprire progressivamente la verità, la quale rimane l’aspirazione più grande
dell’uomo.1 Chi fa scuola svolge, appunto, questo prezioso servizio; infatti,
«la scuola ha per scopo fondamentale insegnare la verità e l’insegnante è più
responsabile verso la verità che deve insegnare che non verso la libertà del
discente. Non si tratta di insegnare a sapere la verità, facendo acquisire
nozionisticamente quanto l’umanità ha conosciuto nella sua storia, come può
avvenire in una scuola autoritaria e dogmatica, ma nemmeno di insegnare a
cercare la verità, come capita in una scuola libertaria e agnostica, che
abbandona l’individuo a se stesso, bensì si tratta di insegnare a trovare la
verità, guidando il fanciullo a confrontarsi con la realtà nei suoi multiformi
aspetti, per coglierne tutta la sua intelligibilità».2 Conoscere la verità
significa realizzare la libertà interiore, che è il primo fondamentale fine
dell’educazione (Maritain). La carità della verità sarà tanto più apprezzata se
si pensa che, come ebbe a dire qualche anno fa l’attuale pontefice, «la vera
sciagura dell’uomo è proprio l’essere all’oscuro della verità».3
LE
RADICI DELL’AMORE
DELL’EDUCATORE
CRISTIANO
Le
motivazioni che sostengono la fatica di coloro che si impegnano quotidianamente
nella scuola possono essere diverse (lasciando da parte quelle meno nobili, che
purtroppo a volte si riscontrano), ad esempio: una particolare e quasi innata
propensione all’educare, la ricerca della promozione umana dell’alunno, una
naturale simpatia per i bambini e i giovani...
L’amore
che alimenta e sostiene l’educatore cristiano ha una sua originalità sia nella
sorgente che lo alimenta sia nella modalità in cui si manifesta: è, infatti,
l’amore così come l’ha vissuto concretamente Cristo, è l’amore che viene
descritto da s. Paolo nel suo inno alla carità (1 Cor 13). L’amore per l’uomo,
che accomuna tutti coloro che si occupano di educazione nella scuola, è per gli
educatori cristiani «un amore che si nutre dall’incontro con Cristo» (Deus
caritas est 34). Da questo punto di vista, vale anche per loro il richiamo del
papa: «Occorre condurli a quell’incontro con Dio in Cristo che susciti in loro
l’amore e apra il loro animo all’altro, così che per loro l’amore del prossimo
non sia più un comandamento imposto per così dire dall’esterno, ma una
conseguenza derivata dalla loro fede che diventa operante nell’amore (cf. Gal
5,6) (31a). Coloro che «svolgono sul piano pratico il lavoro della carità nella
Chiesa... devono... farsi guidare dalla fede che nell’amore diventa operante
(cf. Gal 5,6). Devono essere quindi persone mosse innanzitutto dall’amore di
Cristo, persone il cui cuore Cristo ha conquistato con il suo amore,
risvegliandovi l’amore per il prossimo» (33).
Questa
motivazione di fondo è coerente con lo scopo essenziale che si propone ogni
educatore cristiano che lavora all’interno della scuola: realizzare «un vero
umanesimo, che riconosce nell’uomo l’immagine di Dio e vuole aiutarlo a
realizzare una vita conforme a questa dignità» (30b).
L’educatore
cristiano deve essere una persona professionalmente capace e ricca di umanità.
Il papa sottolinea che tra «gli elementi costitutivi che formano l’essenza della
carità cristiana e ecclesiale» (31) c’è anzitutto la “competenza
professionale”, che significa capacità di «saper fare la cosa giusta al momento
giusto» (31a). Subito dopo, però, aggiunge4 che essa da sola non basta, perché
«gli esseri umani necessitano sempre di qualcosa in più di una cura solo
tecnicamente corretta. Hanno bisogno di umanità. Hanno bisogno dell’attenzione
del cuore» (31a).
La
preparazione professionale, dunque, come presupposto indispensabile per chi
insegna, ma oltre ad essa serve anche, e soprattutto, la “formazione del
cuore”. Benedetto XVI ha una felicissima espressione, quando afferma che «il
programma del cristiano – il programma del buon Samaritano, il programma di
Gesù è “un cuore che vede» (31b): espressione che, riferita all’educatore
cristiano, richiama alla mente le parole di d. Bosco, il quale affermava:
«Ricordatevi che l’educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone,
e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte, e
non ce ne mette in mano le chiavi».
Il
servizio reso dal cristiano per la realizzazione di un vero umanesimo «non deve
essere un mezzo in funzione di ciò che oggi viene indicato come proselitismo.
Non viene esercitato per raggiungere altri scopi» (31c).
Applicata
all’educatore cristiano, questa indicazione significa che il suo impegno
all’interno della scuola rispetterà sempre la legittima autonomia che essa deve
in ogni caso conservare. Ciò vale, ad esempio, quando i cristiani istituiscono
le loro scuole (= le scuole cattoliche), oppure nel caso in cui la Chiesa è
presente nella scuola con un suo servizio specifico che riguarda l’Insegnamento
della religione cattolica, e comunque ogniqualvolta i cristiani si adoperano
affinché la scuola abbia quelle caratteristiche che essi ritengono qualificanti
e indispensabili.
Tutto
ciò significa che l’intervento dei cristiani che svolgono il loro servizio
nella scuola non ha alcuna originalità rispetto all’impegno di qualsiasi altro
cittadino a favore della scuola stessa? Benedetto XVI ha parole illuminanti a
questo riguardo. Egli ritiene che l’azione caritativa – compresa, a mio parere,
quella che si svolge a favore dell’uomo all’interno della scuola – non «debba,
per così dire, lasciare Dio e Cristo da parte. È in gioco sempre tutto l’uomo.
Spesso è proprio l’assenza di Dio la radice più profonda della sofferenza... Il
cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di lui e
lasciare parlare solamente l’amore. Egli sa che Dio è amore (cf. 1 Gv 4,8) e si
rende presente proprio nei momenti in cui nient’altro viene fatto fuorché
amare» (31c).
L’educatore
cristiano, come pure una comunità scolastica il cui clima deve essere
caratterizzato dallo «spirito evangelico di libertà e carità»5 – e ciò vale per
la scuola cattolica – avranno sempre questa consapevolezza, la quale poi dovrà
trasparire dal loro agire, quindi il loro parlare, il loro tacere, il loro
esempio.
UNA
PERSONA
UMILE
L’educatore
cristiano è consapevole che, offrendo il suo servizio educativo, non dà soltanto
“qualcosa” all’altro (conoscenze, abilità...): egli si coinvolge come persona,
sia nel senso che anzitutto educa per quello che è, sia perché partecipa se
stesso, i suoi pensieri, sentimenti, capacità, limiti. A questo riguardo, è
ancora il papa che offre un pensiero stimolante e profondo: «perché il dono non
umili l’altro, devo dargli non soltanto qualcosa di mio, ma me stesso, devo
essere presente nel dono come persona. Questo giusto modo di servire rende
l’operatore umile. Egli non assume una posizione di superiorità di fronte
all’altro, per quanto misera possa essere sul momento la sua situazione... Chi
è in condizione di aiutare riconosce che proprio in questo modo viene aiutato
anche lui; non è suo merito né titolo di vanto il fatto di poter aiutare.
Questo compito è grazia... Egli riconosce di agire non in base ad una
superiorità o maggior efficienza personale, ma perché il Signore gliene fa
dono. A volte l’eccesso del bisogno e i limiti del proprio operare potranno
esporlo alla tentazione dello scoraggiamento. Ma proprio allora gli sarà di
aiuto il sapere che, in definitiva, egli non è che uno strumento nelle mani del
Signore; si libererà così dalla presunzione di dover realizzare, in prima
persona e da solo, il necessario miglioramento del mondo. In umiltà farà quello
che gli è possibile fare e in umiltà affiderà il resto al Signore. È Dio che
governa il mondo, non noi. Noi gli prestiamo il nostro servizio solo per quello
che possiamo e finché Egli ce ne dà la forza» (34-35).
Ancora:
l’educatore cristiano sarà aiutato a svolgere in umiltà il suo servizio anche
in forza di una profonda convinzione che sta alla base del suo impegno
educativo: egli, infatti, in quanto persona chiamata a “guidare” gli altri si
sente anzitutto lui stesso una persona “guidata”. Si sente guidato da Dio, il
primo e unico educatore di ogni creatura,6 colui che assicura: «Ti farò saggio,
t’indicherò la via da seguire; con gli occhi su di te, ti darò consiglio» (Sal
31,8). Partire da questa profonda consapevolezza significa essere nella verità
– una verità che fa umili: solo chi è guidato può guidare. Tutto ciò è
rassicurante e pacificante.
Sapere
che Dio ci guida significa, infine, sentire il bisogno di mantenersi in
contatto con lui attraverso il dialogo della preghiera. Occorre, dunque, che si
parli anche della preghiera dell’educatore cristiano.
UNA
PERSONA
CHE
PREGA
È
necessario che, prima o poi, volendo tratteggiare gli aspetti più
caratteristici dell’educatore cristiano, si parli di lui anche come di una
persona che prega. Egli cerca «l’incontro con il Padre di Gesù Cristo,
chiedendo che Egli sia presente con il conforto del suo Spirito in lui e nella
sua opera» (37).
La
preghiera, intesa come un bisogno prima ancora che come un dovere, è necessaria
perché permette di alimentarsi alle sorgenti profonde da cui la dedizione
dell’educatore cristiano trae forza e sostegno (cf. quanto richiamato
precedentemente); essa purifica lo sguardo sulla realtà e mantiene autentico il
servizio all’altro, mantenendoci al riparo dai pericoli del narcisismo e dalla
brama di potere; infine, essa sostiene nei momenti più difficili del dialogo
educativo, a proposito dei quali già d. Bosco faceva questo saggio richiamo:
«In certi momenti molto gravi, giova più una raccomandazione a Dio, un atto di
umiltà a lui, che una tempesta di parole, le quali, se da una parte non
producono che male in chi le sente, dall’altra parte non arrecano vantaggio a
chi le merita».
I santi
sono coloro che hanno esercitato in modo esemplare la carità. Il pensiero va,
in questo caso, alla folta e gloriosa schiera di santi e sante che si sono
distinti per aver testimoniato la carità nell’ambito educativo: Filippo Neri,
Angela Merici, Giuseppe Calasanzio, Giovanni Bosco, Girolamo Emiliani, Giovanni
Battista de La Salle... per citare soltanto qualche nome. Ad essi l’educatore
cristiano guarda come a modelli e guide, consapevole che la pedagogia cristiana
prima ancora che essere codificata in principi e indicazioni concrete è stata
vissuta e testimoniata dai santi, «veri portatori di luce all’interno della
storia, perché sono uomini e donne di fede, di speranza e di amore» (40).
Oggi, in
nessuna legge riguardante la scuola si usa il termine amore quando si vuole
descrivere il compito che attende gli insegnanti: c’è il timore che sia una
parola di parte, troppo legata all’ideologia, estranea ad una visione laica
della professionalità docente... Noi cristiani dobbiamo avere il coraggio di
recuperare questa parola ormai scomparsa dal lessico pedagogico e parafrasando
le parole del papa affermare che, in definitiva, agli educatori cristiani è
affidato il compito di vivere il loro impegno educativo soprattutto come amore
e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo.
Aldo Basso
1“Che
altro desidera più ardentemente l’anima se non la verità?” (s. Agostino, In
Johannis Evangelium, tract. 26,5).
2PieroViotto,
Presupposti filosofico-pedagogici dell’educazione di ispirazione cristiana,
in:: AA.VV., “Educare, ‘sfida’ quotidiana per le scuole materne fism”, Roma,
FISM,1998, p. 60.
3Joseph
Ratzinger, Fede, verità, tolleranza, Siena, Cantagalli, 2003, p. 69.
4Le
parole del papa si riferiscono di per sé al «servizio delle persone
sofferenti » (31), ma non si fa certamente una forzatura se si estende il
loro significato fino ad abbracciare ogni tipo di servizio che le persone
svolgono a favore degli altri.
5Concilio
Vaticano II, Gravissimum educationis, n. 8: “Elemento caratteristico (della
scuola cattolica) è (quello) di dar vita ad un ambiente comunitario scolastico
permeato dello spirito evangelico di libertà e carità”.
6Carlo
M. Martini, Dio educa il suo popolo, Milano 1987.