SANTI DEL QUOTIDIANO
La santità è un patrimonio prezioso che
si arricchisce lungo i secoli: ogni santo è un messaggio inedito che Dio ci
dona, perché venga custodito nella memoria del cuore, per diventare compagno e
guida alla ricerca del Regno.
Un particolare sapore prende però la custodia
orante quando la santità intessuta di fedeltà quotidiana, feriale, emerge nelle
varie generazioni di una famiglia religiosa. È questo il caso della
spiritualità monastica cistercense,1 a cui si è data nuova attenzione a partire
dalla recente celebrazione del centenario della fondazione di Citeaux
(1098-1998).
BEATITUDINE
DELLA CARITÀ
Sulle orme di san Bernardo, sono sorte
testimonianze di appassionato amore per Cristo negli anni della Riforma
tridentina, nel turbine della rivoluzione francese o della guerra civile
spagnola, nello slancio missionario in Indocina, fino agli anni della Shoà e
della guerra civile libanese.
In un ramo dell’albero secolare
cistercense, l’ordine militare di Calatrava, incontriamo la figura di don
Miguel Mañara Vicentelo, cavaliere di Siviglia del XVII secolo, dalla cui
vicenda, secondo alcuni scrittori, è sorto il mito moderno di don Giovanni. Sin
da giovane si fa notare per una violenza stravagante e una intensa mondanità:
dirà più tardi di essere stato traditore, blasfemo oltre che boia e di aver
“servito Venere con rabbia, poi con cattiveria, e finalmente con nausea”. Il
primo scossone gli venne dall’amore per la giovane moglie e dalla sua prematura
morte, a soli trentuno anni. Questo terribile colpo fu l’ora della grazia.
Immerso nel dolore, memore di aver masticato “l’amara erba dello scoglio della
noia”, pronunciò il famoso discorso sulla verità: «Ti ricorderai che dovrai
essere coperto di terra e calpestato da tutti e allora con facilità
dimenticherai gli onori e gli stati di questo secolo». Da allora abbiamo un
altro Miguel. Membro di una confraternita dedita a dare degna sepoltura ai
cadaveri abbandonati, a quel tempo numerosissimi, creò un ospizio per i poveri
con un corpo medico e infermieristico specializzato (Fratelli della penitenza),
facendosi ammettere egli stesso tra i poveri in una cella. La sua fama di
santità ha portato alla proclamazione dell’eroicità delle sue virtù, nel 1984,
da parte di papa Giovanni Paolo II (insieme al trappista francese Joseph Cassant,
definito “l’imbranato di Dio”)
Sulla scia della carità, nella
congregazione della Trappa sviluppa il suo servizio anche l’irlandese Stanislas
White (1839-1911), un uomo umile ma in grado di rendere servizi molto alti
nella Chiesa. Segretario dell’abate François Régis e suo successore come
procuratore generale, ebbe la fiducia dei papi di allora per come sapeva
coniugare spiritualità e management. Passato dalla tradizione inglese a quella
italiana (abbazie di Melleray e Casamari), vive il passaggio determinante del
1892 (data di nascita dell’unione delle tre congregazioni trappiste francesi e
belga e della conseguente, non voluta, separazione dal resto delle
congregazioni dell’ordine cistercense) con un paternità spirituale capace di
far convivere sensibilità diverse all’interno dello stesso carisma.
BEATITUDINE
DELLA FRONTIERA
Citeaux, dopo aver coperto l’Europa di
monasteri, sciama fuori del vecchio continente solo dopo lo scossone della
Rivoluzione francese, nella duplice espressione della Trappa (“comune” e
“stretta” osservanza). Nasce così il primo insediamento cistercense in Viet Nam
sul Monte delle beatitudini (Phuoc-Son). In un contesto in cui si confonde
l’annuncio della fede con la dipendenza dalla colonizzazione francese, Henri
Denis (Missioni straniere di Parigi) agli inizi del novecento intuisce
l’importanza della vita contemplativa per una evangelizzazione inculturata in
contesto religioso indiano-cinese (confucianesimo, taoismo e buddismo) e crea
un monastero secondo lo spirito espresso nella scelta del suo nuovo nome: padre
Benoît Co-Thuan (Benedetto Obbediente). Ha voluto creare un monastero per la
gente del popolo, rifiutando uno stile coloniale, non sottraendosi
all’apostolato ma cambiandone la modalità: non corre per ricondurre le pecore
al gregge; si inabissa nella preghiera contemplativa in uno stile
cenobitico-familiare (congregazione della Sacra Famiglia). Più che ai fiori e
ai frutti, pensa alle radici per attirare il nutrimento a vantaggio di tutto
l’albero della Chiesa in missione.
Un’altra frontiera, diversa da quella
interreligiosa e stavolta in casa europea, viene varcata da una donna
straordinaria, madre Maria Pia Gullini (1892-1959) della Trappa di
Grottaferrata (trasferita oggi a Vitorchiano). Si tratta delle frontiera costituita
dall’impegno ecumenico per l’unità delle Chiese, perseguita profeticamente da
questa badessa di intelligenza vasta e profonda, capace di vivere un cammino
irto di ombre e di prove. La passione per l’unità la fece entrare in relazione
con l’abbé Paul Couturier (promotore del movimento ecumenico spirituale), con
gli anglicani dell’abbazia di Elmore e frere Roger di Taizè. Dietro la grata,
riceve intellettuali affascinati dal suo genio profetico, accoglie con
magnanimità le incomprensioni interne che la costringono alle dimissioni da
Grottaferrata per andare nell’esilio svizzero, organizza incontri decisivi
(come quello del 1947 a cui parteciparono mons. Montini, p. Charles Boyer,
l’on. Giordani). Profeta dell’unità intesa come scambio di doni più che di convinzioni
teologiche, è sicura che “è il cuore che dispone l’intelligenza a
sottomettersi” e mira a creare quello spazio di incontro e di comprensione
dell’alterità che fa vivere l’ideale ecumenico.
Straordinaria e attuale come le altre,
infine, la frontiera attraversata da una famiglia olandese di ebrei convertiti,
con tre fratelli (Gorge, Robert ed Ernest) in un’abbazia cistercense e tre
sorelle (Lina, Door e Wies) in un monastero cistercense! La famiglia Löb sarà
chiamata a passare attraverso l’Olocausto. Nel campo di concentramento essi
furono in buona compagnia con intellettuali, suore e padri domenicani e la
grande carmelitana suor Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein). Il loro
gruppo fu mandato ad Auschwitz per incontrare la morte nel 1942. I Löb furono
profeti, come lo è ogni monaca/o che rifiuta piaceri e onori: come trappisti
furono fedeli fino al martirio, segno forte e generoso contro ogni forma di
rifiuto degli altri a motivo della razza o della nazione.
Cistercium mater nostra: questo motto
del primo monastero cistercense esprime bene la coscienza che celebrare le
bellezze dei figli è rendere sempre più bella la madre che li ha generati. Una
madre fedele al quotidiano e con lo sguardo nell’eternità, austera e dolce nel
contempo, pedagoga di una speciale schola caritatis che attrae per la
semplicità dei suoi discepoli, nei quali ciascuno “può rispecchiarsi per
verificare la quota di altitudine della propria vita” (madre Anna Maria
Canopi).
Mario Chiaro
1 CHRISTENSEN A., RIGHI F., TESCARI A.,
VOLPI P., Santi del quotidiano. Profili di monaci cistercensi, Edizioni
Casamari, Casamari (FR) 2005, pp. 214.
Sono raccolti articoli apparsi sulla
rivista Vita nostra. Oltre alle figure ricordate nell’articolo, il volume
illustra la vita di Veronica Lavarelli (Cortona, epoca rinascimentale), dei
martiri di Casamari (1799, epoca napoleonica), di Edmondo Fusciardi (morto
durante il servizio militare nel 1897), di Joseph Cassant morto a 25 anni, dei
martiri spagnoli durante la guerra civile (1936), di Romano Bottegal eremita e
recluso in contesto islamico (Libano).