A PROPOSTO DEL REFERENDUM

ASTENSIONE BEN MOTIVATA

 

Pubblichiamo la comunicazione di mons. Monari al consiglio pastorale diocesano di Piacenza del 21 maggio scorso, perché spiega con grande chiarezza le motivazioni per non andare a votare e le eventuali conseguenze di una vittoria del sì abrogativo.

 

Dopo dieci anni di discussioni, confronti, proposte, finalmente il 10 febbraio 2004 il parlamento italiano ha votato e approvato, con una maggioranza trasversale, la legge 40 che regola la procreazione assistita. Praticamente subito, dopo l’approvazione della legge, è partita la raccolta di firme per l’abrogazione della stessa legge, una raccolta promossa dai radicali e favorita da alcune forze politiche. La Corte Costituzionale ha riconosciuta legittima la richiesta di referendum per quattro dei quesiti che erano stati proposti e il prossimo 12 giugno saremo chiamati a pronunciarci.

In vista di questo importante appuntamento si è formato un comitato nazionale “Scienza e vita” per la difesa della legge al quale hanno aderito praticamente tutte le associazioni cattoliche. Questo comitato ha invitato a non andare a votare come modo più efficace per impedire l’abrogazione della legge e questa posizione è stata accettata e rilanciata dal Consiglio permanente della CEI nella riunione del 7-9 marzo 2005.

 

PERCHÉ DIFENDIAMO

LA LEGGE 40

 

La legge 40/2004 non ci piace del tutto e non esprime la posizione della Chiesa sulla fecondazione in vitro. L’etica della Chiesa ritiene l’incontro sessuale dell’uomo e della donna come l’unico contesto degno della procreazione umana; non accetta quindi la fecondazione in vitro (FIVET) che invece la legge 40 accetta e cerca solo di disciplinare. Perché, allora, la difendiamo? Per un motivo semplicissimo: in gioco c’è la vita o la distruzione di embrioni umani e siamo convinti che la società debba sempre difendere, quando è possibile, la vita umana. L’uomo nasce inerme e può vivere solo se qualcuno si prende cura di lui; se rifiutiamo il dovere della società di “prendersi cura” della vita umana debole, distruggiamo le fondamenta stessa della convivenza civile. Ora, tra l’embrione e l’uomo adulto c’è uno sviluppo progressivo, continuo e non è possibile determinare un punto a partire dal quale scatti il dovere di difesa della vita umana da parte della società. Ogni determinazione sarebbe arbitraria e cioè fondata non su elementi oggettivi ma sulla nostra volontà. A noi sembra che questa pretesa di decidere il punto a partire dal quale la tutela della vita umana è doverosa, si configuri come pretesa di decidere chi deve vivere e chi deve morire. Siamo convinti che la società umana non ha un diritto di questo genere e che, quando se lo arroga, distrugge il patto che sta alla base della convivenza e che ci permette di avere (almeno un poco di) fiducia nella famiglia umana. Tutte le distinzioni tra embrione e preembrione, tra persona e individuo, che vengono avanzate per giustificare la soppressione di embrioni umani, sono solo giochi verbali per giustificare quello che si è deciso di fare. L’embrione è vita umana e se all’embrione si concede semplicemente di svilupparsi secondo le sue potenzialità quello che viene fuori è un uomo: nei confronti di questa vita umana in formazione ci sentiamo responsabili.

 

NON TORNIAMO

ALLA “DEREGULATION”

 

A questo punto siamo di fronte a un problema preciso che è quello del referendum. Ci vengono proposti quattro quesiti riguardanti la legge 40 per decidere se di quella legge vogliamo abrogare alcune parti o no. Naturalmente questo non è l’unico problema morale o giuridico importante riguardo alla procreazione assistita; ci piacerebbe discutere sul senso della FIVET, sul rapporto scienza e fede, sul rapporto tra la procreazione e la sessualità, su cento altri problemi scientifici, etici, filosofici, culturali… e va bene. Ma qui, adesso, abbiamo di fronte un interrogativo preciso sul quale siamo chiamati a prendere posizione: vogliamo o no che sia abrogata la legge 40 nelle sue parti che limitano la produzione di embrioni a quella degli embrioni che si possono impiantare e che impedisce qualsiasi altro uso degli embrioni stessi? Per rispondere a questa domanda c’è bisogno di un chiarimento previo: che cosa succede se la legge non viene abrogata? E che cosa succede, invece, se la legge dovesse essere abrogata?

Se la legge non viene abrogata continua la disciplina attuale, quella stabilita dopo l’entrata in vigore della legge 40/2004. In particolare:

– possono accedere alla fecondazione extracorporea solo le coppie per le quali è stata fatta una diagnosi di sterilità;

– è legale la fecondazione extracorporea dell’ovulo, ma solo nella quantità di embrioni che possono essere impiantati nell’utero della donna (è proibito procurarsi uova fecondate per congelarle e conservarle per un eventuale impianto futuro).

– è illegale usare embrioni per la ricerca scientifica o per altri obiettivi, uccidendo gli embrioni stessi;

– è illegale la fecondazione con un seme che non sia quello del marito (cioè la fecondazione cosiddetta “eterologa”).

 

Al contrario, se le parti della legge 40 sottomesse a referendum dovessero essere abrogate, gli effetti sarebbero i seguenti:

– potrebbero chiedere la fecondazione extracorporea tutte le coppie;

– diventerebbe legale produrre una quantità indeterminata di embrioni attraverso la fecondazione extracorporea. Di questi embrioni alcuni sarebbero introdotti nell’utero della donna. Gli altri sarebbero congelati e conservati per un’eventuale impiantazione successiva o per essere usati a fini di ricerca scientifica (per esempio prelevando e usando le cellule staminali);

– diventerebbe legale la ricerca scientifica usando embrioni umani che verrebbero così soppressi;

– diventerebbe legale la fecondazione extracorporea col seme di un donatore estraneo alla coppia;

– Con referendum non ci viene chiesto il parere per fare una legge sulla fecondazione assistita; non ci viene chiesto se la legge 40 ci piace o non ci piace in tutti i suoi aspetti. Ci viene chiesto di scegliere tra queste due alternative: o tenere la legge 40 così com’è o tornare a una pratica di “deregulation” per cui in materia di fecondazione artificiale si fa praticamente quel che si vuole.

 

PERCHÉ SIAMO

CONTRARI ALL’ABOLIZIONE

 

Di fronte a questa ipotesi la posizione dei vescovi è semplice. Siamo convinti che sia un dovere della società proteggere la vita umana dal momento del concepimento fino alla sua fine naturale. Quindi siamo contrari all’abrogazione della legge 40 perché questa comporterebbe la produzione di embrioni soprannumerari e la loro conseguente distruzione; siamo contrari alla fecondazione eterologa perché altera la costituzione della coppia e, in un campo così delicato come è quello della paternità e maternità, inserisce un estraneo che non si assume nessuna responsabilità nei confronti del suo figlio naturale e spezza la comunione di padre-madre di fronte al figlio.

Posta questa posizione, nasce il problema di come opporci all’abrogazione della legge 40. La legge istitutiva del referendum prevede che una legge regolarmente approvata dal parlamento sia abrogata da un referendum solo se si verificano due condizioni:

– che il numero dei votanti sia superiore al 50% dei cittadini aventi diritto al voto;

– che la maggioranza dei voti espressi sia favorevole all’abrogazione.

Di conseguenza la legge rimane in vigore in uno dei due casi: se il numero dei votanti non raggiunge la maggioranza degli aventi diritto al voto; oppure se la maggioranza dei voti espressi è per il “no”. Entrambe queste possibilità sono previste dal legislatore ed è quindi legittimo servirsene. Non è pertinente quello che è stato scritto: “denigrare uno strumento democratico non è mai una decisione seria.” Su questo giudizio sono d’accordo, ma nel caso specifico la scelta del non-voto non è affatto “denigrare uno strumento democratico”; è invece usare una possibilità che il legislatore ha previsto, accettato e ratificato nei suoi possibili effetti.

Se si vuol dire che non andare a votare può essere una scelta di disinteresse e quindi una scelta che offusca l’ottica democratica, è vero. Ma allora si dovrebbe aggiungere che esattamente lo stesso vale per chi vada a votare senza aver preso coscienza precisa dei valori in gioco nei quesiti referendari; e si deve riconoscere che la obiezione non vale per noi. Se non andiamo a votare non è perché il referendum non c’interessi e nemmeno perché non sappiamo di che cosa si tratti. Sappiamo di che cosa si tratta e abbiamo fatto la scelta di difendere la legge approvata dal parlamento. Scegliamo di difenderla nel modo che ci sembra democraticamente legittimo e più efficace e cioè non andando a votare per far sì che il quorum necessario dei votanti non sia raggiunto.

 

L’INTERVENTO

DEI VESCOVI

 

I vescovi del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana, accogliendo l’invito del comitato “Scienza e Vita”, hanno caldamente raccomandato l’astensione dal voto; e questo è parso a qualcuno una violazione della coscienza libera. Mi sembrano necessarie due riflessioni.

La prima è che una presa di posizione era desiderabile. Siccome ci si può democraticamente opporre all’abrogazione di una legge in due modi diversi – non andando a votare o votando ‘no – c’era inevitabilmente il rischio di una dispersione di voti: che cioè tra gli oppositori dell’abrogazione alcuni scegliessero di non votare e altri scegliessero di votare no. In questo modo l’opposizione al referendum si sarebbe spezzata in due con il possibile effetto che il referendum passasse anche in presenza di una maggioranza di oppositori. Quelli che andavano a votare ‘no’ avrebbero contribuito a fare scattare il quorum; e quelli che non andavano a votare avrebbero contribuito a non fare raggiungere la maggioranza dei voti contrari all’abrogazione. Qualcuno doveva pure scegliere quale delle due linee percorrere. La seconda riflessione è che, a questo punto, la scelta è tra abrogare la legge o non andare a votare. La scelta di andare a votare e votare contro l’abrogazione diventa una scelta puramente mentale; la può fare chi non considera (non vuole considerare) l’effetto del suo voto. La conta dei voti non esprimerà in ogni caso la forza degli schieramenti perché molti dei contrari all’abrogazione non andranno a votare. Chi andrà a votare deve sapere che l’unico effetto della sua scelta sarà quello di contribuire a fare abrogare le parti della legge 40 sottomesse a referendum. Ci si potrà lamentare che in questo modo siamo costretti a un’alternativa stretta che non piace. Ma questo non cambia i termini del problema. La democrazia si esprime attraverso forme concrete che, purtroppo, non sono mai perfette. Si può operare per istituire un tipo di referendum diverso da quello esistente, con regole diverse da quelle esistenti. Ma adesso le regole sono quelle, il funzionamento è quello determinato dalle regole esistenti e possiamo solo muoverci entro questo quadro. In ogni modo, non sarebbe saggio decidere per risentimento o irritazione: in gioco c’è qualcosa di grande, come il rispetto della vita umana e non sarebbe serio scegliere per motivazioni diverse da quelle che riguardano il rispetto dell’embrione umano. A questo punto i cristiani debbono prendere posizione. La regola immediata dell’azione – la Chiesa l’ha sempre affermato – è la coscienza personale che ciascuno ha il dovere morale di formare il più rettamente possibile. Spero che nel decidere i cristiani tengano conto anche dell’indicazione dei vescovi e soprattutto delle motivazioni che hanno spinto i vescovi a parlare (quelle motivazioni che ho ricordato brevemente sopra). Poi, evidentemente, ciascuno si assumerà le sue responsabilità. Se qualcuno ritiene di dover permettere la soppressione di embrioni umani, voterà per l’abrogazione. Nelle parole del cardinale Ruini non era indicata alcuna sanzione ecclesiastica per i “disobbedienti”. Naturalmente ciascuno ha la responsabilità morale delle proprie scelte e, nella fattispecie, la responsabilità di contribuire a rendere legale o no la soppressione di embrioni umani.

 

DERIVA INDIVUALISTICA

DELLA SOCIETÀ

 

La posizione dei vescovi è chiara. Diciamo “no” all’abrogazione della legge, senza ambiguità. E siccome non siamo stupidi – credo che il Vangelo non ce lo chieda – diciamo no nel modo che appare essere il più efficace: un modo legalmente corretto (ho cercato di dimostrarlo sopra) e democraticamente efficace.

Se la legge 40 verrà mantenuta, ne saremo contenti; non perché abbiamo vinto contro i nostri avversari, ma perché la vita nascente dell’embrione umano avrà una tutela maggiore. E se invece la legge 40 verrà abrogata (nelle parti sottomesse a referendum), non soffriremo per la sconfitta della nostra parte ma perché sarà stata inflitta un’ulteriore ferita al patto di solidarietà che sostiene la vita sociale. Saremo di fronte a un altro passo verso la “deriva individualistica del diritto” che sembra aver sedotto la nostra cultura. Viviamo, come scriveva don Dossetti, la notte della comunità: i diritti dell’individuo, della singola persona prevalgono sul bene della società e dei valori che la società cerca di esprimere nella convivenza. Questa è la posta il gioco.

In concreto: invece di operare per costruire una società solidale, nella quale l’isolamento è superato e la persona può vivere rapporti fiduciosi con gli altri, stiamo cercando di dare ai singoli degli spazi di libertà individuali, che gratifichino la persona e la compensino per la sua ‘impotenza’ sociale. L’effetto non voluto ma prodotto è che sarà sempre meno forte il desiderio di impegnarsi per una modificazione dei rapporti sociali; ciascuno sarà portato a cercare e trovare la sua realizzazione nel complesso delle scelte private sempre più “senza regole”.

In questo modo non risolviamo affatto, come qualcuno ritiene, il problema della (in)felicità, anzi lo rendiamo ancora più grave. Quando il soddisfacimento dei desideri personali venga percepito come “diritto”, ogni infelicità sarà percepita come ingiustizia. Diventerà sempre più diffuso il risentimento contro la vita o contro il mondo o contro la società dei (ritenuti) “felici”. Insomma, stiamo aumentando pericolosamente il numero dei candidati all’ansia (non riesco a far valere i miei diritti; sono inadeguato/a), alla depressione (non ho la felicità che avrei diritto di avere), al risentimento (la vita non è stata leale con me). Purtroppo la vita ha una sua logica ferrea: se qualcuno si prende cura della vita, la vita si prende cura di lui; ma se qualcuno rifiuta la vita, finirà lui stesso per sentirsi rifiutato.

Non abbiamo interessi da difendere; se interessi sono in gioco in questa questione sono quelli, enormi, che girano intorno alla procreazione assistita. C’interessa solo che ci si prenda cura della vita umana; siamo convinti che l’embrione ha diritto alla nostra difesa e che noi abbiamo il dovere di garantirgli le condizioni indispensabili al suo sviluppo. Tutto qui.

Chiedo un’ultima cosa ai credenti: che il referendum non diventi occasione per pronunciare condanne all’interno della comunità cristiana. I motivi dell’intervento dei vescovi ci sono, e ho tentato di dirli. In queste occasioni è inevitabile che si manifestino contrasti, lacerazioni, sofferenze. Cerchiamo di non alimentarli con comportamenti aspri, con giudizi perentori nei confronti degli altri. Il confronto sul problema deve essere chiaro, senza ambiguità; il rapporto con le persone deve rimanere sereno e costruttivo; proprio perché non stiamo difendendo noi stessi o la nostra parte, ma il bene di tutti.

 

Mons. Luciano Monari, vescovo di Piacenza-Bobbio