CONVEGNO CISM AREA FORMAZIONE

NEL TEMPO DELLE DIVERSITÀ

 

Le difficoltà di collaborazione spesso derivano da mancanza di strumenti per muoversi con reciproco rispetto ed efficacia. La VC deve formarsi nei livelli relazionali più significativi per continuare a essere “esperta di comunione”.

 

Non è di tutti i giorni interagire con circa 150 tra consacrate e consacrati, di diverse età, provenienti da antichi e nuovi istituti, accomunati dall’impegno a formarsi nel dialogo alla ricerca di nuovi stili per vivere comunitariamente nel nome del Signore e per collaborare nel tempo delle diversità.1 Possiamo veramente affermare che c’è qui un’aria di concilio, quella che spinge a uscire dal proprio orticello per una contaminazione di carismi al servizio del bene comune. Spirito del Vaticano II che è richiamato anche dalla ­felice concomitanza del congresso ­internazionale della vita consacrata, in Roma a pochi chilometri dalla sede del convegno, dal quale si attendono prospettive di missionarietà per questa porzione di Chiesa nel mondo d’oggi.

P. Giovanni Salonia ofmcap, docente di consulenza pastorale in vari seminari e co-direttore della scuola post-universitaria di formazione alla psicoterapia dell’Istituto di Gestalt-H.C.C., ha il compito di collegare l’incontro attuale con il percorso degli anni precedenti: nel 2002 si è riflettuto sulla santità del vivere insieme (nella triplice declinazione di autorealizzazione, vita fraterna e rapporto con Dio), mentre nel 2003 si sono focalizzate due appartenenze del vivere insieme, quella della chiesa locale e quella del territorio.2 Il tema della collaborazione era emerso nei laboratori di quest’ultimo convegno (i laboratori hanno sostituito i gruppi di studio perché più adatti ad acquisire competenze teoriche e operative): esso è il nuovo nome dalla comunione, in un tempo in cui sembra prevalere l’idea di fraternità fondativa, mentre le nuove comunità sembrano uscire dalla fase magico-autoreferenziale con una certa disponibilità al confronto. Occorre oggi un salto culturale che ci educhi a passare «dalla tolleranza all’interesse per l’altro», ci dice p. Salonia, cosa possibile se si prende coscienza del proprio limite e ci si apre al punto di vista altrimenti impensabile. Ovviamente è necessario che la VC riesca a «ricomporre la scissione tra teologia e vita, tra vita fraterna assembleare e vita fraterna nel quotidiano», convertendosi a una «rinnovata formazione all’interiorità, alla relazione e alla bellezza» e quindi imparando la grammatica del dialogo con il diverso da sé, del superamento della paura del silenzio e dell’apertura alla bellezza del volto sfigurato e oppresso nella storia.

 

LA COMUNIONE

NELLA COLLABORAZIONE

 

A quarant’anni dal concilio, le diverse vocazioni stanno vivendo i problemi di ricezione dall’ecclesiologia alla prassi di comunione. Ne è convinta l’appassionata teologa siciliana Ina Siviglia, che ha indicato i nodi irrisolti: a) il rapporto tra chiesa universale (che oggi tende a essere identificata con la chiesa romana, penalizzando proprio la cattolicità!) e chiesa locale (qui viene penalizzata la creatività e l’inculturazione in un territorio ben determinato): i religiosi ne soffrono perché, ponendosi sempre al limite tra cattolicità e località, rimangono ai margini della pastorale; b) la perdita della primogenitura in ordine alla santità da parte della VC: si sta ancora ricercando il proprium all’interno della universale chiamata alla santità; c) i laici non ricorrono più alle famiglie religiose per la loro formazione: si tenta di reinventare la loro formazione al carisma ma di fatto essa è supporto funzionale al mantenimento delle opere; d) l’impegno ­post-conciliare della VC nel rinnovamento di documenti fondativi e organismi partecipativi ha sviato l’attenzione al mondo che cambiava: il fenomeno delle migrazioni ha posto il problema dell’interculturalità, che si è infilato nelle case di vita religiosa trovandole impreparate e non ha risolto il problema delle vocazioni (vedi i drammi dei giovani stranieri nelle nostre strutture rigide o desuete e i drammi dei nostri anziani incapaci di trasformazione culturale per capire dal di dentro e accogliere le persone che ospitano!).

Di fronte a tutto ciò, «non si possono costringere le giovani generazioni a farsi carico di opere grandiose, che una volta erano adatte alla domanda e avevano una risposta in termini di quantità e di mentalità di sacrificio e servizio sufficiente, e che oggi probabilmente non corrispondono più né alla domanda né al numero e alla mentalità: l’idea del sacrificio è infatti sostituita da quella del dono». Occorrono oggi religiose/i alla ricerca della radicalità evangelica, che escono dai loro confini e fanno tenda per l’uomo lì dove esso si trova: la teologa siciliana parla in questo senso di “estasi” dell’incarnazione, Cristo che esce dal cuore della Trinità per incontrare l’uomo e rendersi solidale. Allora la collaborazione, nome nuovo della comunione, si pone a partire dal piano della mentalità prima che della prassi, nasce dalla profonda coscienza che lo stare insieme proviene dalla Trinità e che abbiamo il compito storico di ritrovarci insieme nella storia per ricapitolare il mondo, credendo che lo Spirito opera nelle altre culture per ricondurre tutto a Cristo.

Una visione di collaborazione così ampia va oltre quella tra istituti o tra laici e preti o tra vescovi-clero e religiosi: si pone a cerchi concentrici come dialogo che si allarga fino agli uomini di buona volontà. Così la comunione può generare nuove opere: esperienze intercongregazionali a livello ecumenico, comunità carismatiche femminili di frontiera per il mondo della prostituzione o della devianza, case di discernimento per religiose/i in crisi. Il dono della collaborazione inteso in questo senso richiede preparazione, cioè un nuovo connubio tra teologia, psicologia e spiritualità; connubio necessario tra l’altro anche per la fragilità delle nuove generazioni, che hanno bisogno di un sostegno serio di preparazione alla vita e all’apostolato.

 

UNA CULTURA

DEL CERCHIO FRATERNO

 

Sulla scia di questa teologia trinitaria, lo psicologo-teologo Nello Dell’Agli ha riletto l’incarnazione alla luce della dottrina ebraica della creazione: Dio crea il mondo ritirandosi per far spazio alle creature; in questo spazio sorge la nostalgia reciproca e l’educazione alla relazione.3 Piuttosto che lamentarsi della caduta dei valori, bisogna dunque comprendere il dramma dell’uomo d’oggi che deve imparare a mettere insieme soggettività e appartenenza, accettando i fallimenti relazionali mascherati da logiche di consumo e di successo.

«I religiosi devono divenire esperti in divino-umanità come “guaritori feriti”, per dare ospitalità spirituale e terapeutica». Per far questo essi devono diventare competenti, secondo Dell’Agli, in intelligenza interiore (lasciarsi provare nel cuore) e relazionale (divenire umili e ascoltare). La prima intelligenza comporta la necessità di maturare un’autorivelazione per conoscere le parti vulnerabili di se stessi; la seconda comporta l’educazione all’ascolto della crescita dell’altro.

Così si potrà praticare una vera ospitalità tra le generazioni con la coscienza che: gli anziani sono una generazione ferita perché contestata nell’educazione ricevuta (in difficoltà nel parlare dei propri sentimenti, nell’esprimere richieste di affetto e nel verbalizzare richieste d’aiuto, con disagi che sovente diventano disturbi psicosomatici e lamentela cronica); l’età di mezzo è generazione pensante postconciliare, che si è prima buttata nel dialogo, rimanendone spesso ferita, e poi nelle attività (vive il vuoto di una «spiritualità degli atti comuni senza che sia cessato l’esilio della Parola», ha bisogno di recuperare il metodo della lectio divina); i giovani, flessibili più che fragili, rimangono delusi della vita fraterna (hanno bisogno di accompagnamento per far diventare le prove occasioni di crescita), si trovano in difficoltà a organizzare il tempo e non vogliono fare attività che ricevono dalle opere del passato. «Il minimo comune denominatore tra le generazioni è la solitudine come distanza affettiva»: abbiamo bisogno di darci tempo per un rapporto di vera alleanza!

Anche la relazione tra generi, cioè tra uomini e donne, sempre secondo il nostro psicologo, necessita di una nuova presa di coscienza, capace di «superare la cultura dei pericoli per far spazio a una cultura dell’ospitalità e dell’affidamento reciproci». Dobbiamo perciò avere il coraggio di inserire le donne nella formazione maschile e nei seminari: la sapienza femminile può infatti essere di grande aiuto agli uomini nelle loro derive affettivo-sessuali (leggi omosessualità) e nel narcisismo infantile che cerca solo il palcoscenico religioso su cui esibirsi. In questo modo si può avviare quella narrazione delle ferite «in una cultura del cerchio fraterno, che è poi la ricchezza della vita religiosa».

 

IN UNA LOGICA

ECCLESIALE

 

La traiettoria della collaborazione tra generazioni e tra uomini-donne trova il suo culmine in quella metafora di collaborazione tra i popoli che è veicolata dalla relazione tra istituti. Padre Volpi, segretario CISM, non ha avuto timori nel denunciare il forte grado di autoreferenzialità degli istituti italiani, «preoccupati innanzitutto dei propri interessi e degli interessi della Chiesa se coincidono con i propri».

A partire dall’Istruzione della CIVCSVA La collaborazione inter-istituti per la formazione (CIF, 1988), egli ha ricordato due principi fondamentali: quello di identità carismatica (la responsabilità della formazione dei religiosi appartiene di diritto a ciascun istituto) e quello di solidarietà nella formazione (i carismi si integrano e illuminano a vicenda in quanto esprimono la dimensione pneumatico-misterica della Chiesa). In quest’ottica «la negoziazione è il processo centrale per la collaborazione: si traduce nell’identificare il proprio punto di vista, nel confrontarlo con gli altri, considerando che il risultato è un cantiere aperto, e nel coniugare il punto di vista degli altri con il proprio secondo la logica dell’e, non la logica dell’o… La condivisione è l’esito della collaborazione e… stabilisce un contratto psicologico e spirituale che dà significato al lavoro svolto e permette agli individui di riconoscere il risultato elaborato insieme come il proprio risultato».

Nelle nuove scuole di pensiero della formazione si parla sempre più di collaborazione come “apprendimento cooperativo” e questo va nella direzione auspicata: «Ogni iniziativa inter-istituti sai direttamente gestita da una équipe con un proprio responsabile, con garanzia di stabilità e di competenza formativa» (CIF 11b). Così viene sottratto il processo di formazione da una logica esclusivamente istituzionale per inserirlo in un orizzonte di responsabilità ecclesiale, in un contesto socio-culturale che pone nuove domande ed esprime bisogni differenziati. Perché l’identità carismatica va riscoperta come identità relazionale, che cresce nella logica di una condivisione formativa qualificata e vagliata (attenzione al proliferare di offerte di masters!), mettendo a confronto i formatori di istituti affini (o famiglie carismatiche) per trovare soluzioni specifiche o attivando laboratori di formazione per formatori in grado di vigilare che il progetto formativo (ratio institutionis) si svolga in conformità all’indole e alla missione dell’istituto stesso.

«Quando esperienze e saperi entrano in rete di collaborazione, ha concluso p. Volpi, generano nuove esperienze e nuovi saperi: la formazione per la vita consacrata non può estraniarsi da questa logica e da questa salutare strategia nella consapevolezza che la “collaborazione inter-istituti promuove la condivisione dei doni carismatici, ne rispetta le diversità e si mette al loro servizio, è una risposta concreta agli appelli della Chiesa per aiutare il religioso e la religiosa a formarsi realizzando l’unità della propria vita in Cristo per mezzo dello Spirito” (CIF 27)».

 

Mario Chiaro

 

1. Convegno dell’area Animazione della vita consacrata CISM, Collaborare nel tempo delle diversità: tra generazioni, tra uomo e donna, tra istituti, Collevalenza 22-26 novembre 2004. Tre le relazioni fondamentali, a cura di Ina Siviglia, Nello Dell’Agli e p. Fidenzio Volpi ofmcap; nove i laboratori ripartiti in tre sezioni: animazione vocazionale, formazione iniziale e formazione permanente.

2. Cf. i due volumi che riportano gli Atti dei convegni Protési verso il futuro… per essere santi (2002) e Nel solco del territorio… per il mondo (2003), editrice “Il Calamo”, Roma.

3_P. Olinto Crespi ssp ha ricordato in un laboratorio il famoso Rapporto Delors del 1999 con i quattro pilastri educativi nella nuova situazione planetaria: imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme e imparare a essere.