UN RAPPORTO DI “SAVE THE CHILDREN”
MAMME ANCORA BAMBINE
Se il futuro è
legato alla promozione della maternità e dell’infanzia, dai dati in nostro
possesso risulta dolorosamente evidente come non si stia facendo abbastanza per
proteggere le future generazioni.
Seicento milioni di bambini, un quarto di tutti i bambini del mondo, vivono
in condizioni di assoluta povertà; ogni anno 12 milioni di bambini al di sotto
dei 5 anni muoiono per malattie di facile prevenzione; oltre 16 milioni hanno
perso la madre o entrambi i genitori a causa dell’Aids; circa 250 milioni
lavorano, spesso in condizioni di pericolo e sfruttamento.
A fronte di questo drammatico scenario, va ricordato l’impegno sottoscritto
nel duemila dai leader di 189 nazioni, durante il Vertice ONU per il millennio,
per raggiungere entro il 2015 una serie di fondamentali obiettivi di sviluppo:
l’eliminazione della fame e della povertà estrema (persone che vivono con meno
di un euro al giorno), la realizzazione dell’istruzione primaria universale (si
stima che ne siano esclusi circa 120 milioni di bambini, il 60% dei quali sono
bambine), la promozione dell’uguaglianza e dell’emancipazione delle donne, la
riduzione della mortalità infantile, il miglioramento della salute delle madri,
la lotta all’Hiv/Aids, la salvaguardia della sostenibilità ambientale e la
creazione di un’alleanza globale per lo sviluppo.
Si tratta in fin dei conti di un’agenda che esprime la presa di coscienza
di come il futuro del mondo ruoti precisamente intorno all’asse della
promozione della condizione femminile e quindi di quella dell’infanzia:
un’agenda che trova conferma autorevole nel quinto Rapporto sullo stato delle
madri nel mondo, curato dall’organizzazione Save the children.1
Infatti, in continuità con il quarto Rapporto 2003 – che analizzava in
particolare la condizione di donne e bambini in 40 diverse situazioni di guerre
e conflitti, valutando la loro protezione rispetto a sei pericoli specifici:
violenze sessuali e fisiche; traffico e prostituzione; rischio di reclutamento
militare per i bambini; traumi psicologici; separazione delle famiglie; minacce
a donne e bambini in campi profughi o di raccolta di rifugiati interni –
l’organizzazione ha questa volta puntato i riflettori sulla realtà delle
madri-bambine.
Il dossier ci offre innanzitutto il seguente quadro generale: una nascita
su dieci nel mondo è legata a una madre che è ancora bambina; oltre 1 milione
di bimbi e circa 70.000 mamme-adolescenti muoiono ogni anno nei paesi in via di
sviluppo. Questo scenario viene approfondito con la classifica del rischio
maternità precoce e l’indice delle madri (una graduatoria redatta sulla base
della valutazione del benessere materno in 119 nazioni).
L’EDUCAZIONE COME
INVESTIMENTO CHIAVE
La classifica del rischio maternità precoce (basata sul rapporto fra matrimoni
e gravidanze nelle adolescenti e sul tasso di mortalità infantile tra i bambini
nati da madri-adolescenti) individua 50 paesi dove la maternità è più
devastante sia per le madri che per i bimbi. Nove dei dieci paesi a più alto
rischio appartengono all’Africa subsahariana. Nigeria, Liberia e Mali sono in
cima alla lista. Altri paesi con un tasso elevato di rischio al di fuori
dell’Africa sono: Afghanistan, Bangladesh, Guatemala, Haiti, Nepal, Nicaragua e
Yemen. Nelle dieci nazioni a più alto rischio, secondo il Rapporto, più di 1
ragazza su 6 (tra i 15 e i 19 anni) mette al mondo un bambino ogni anno e quasi
1 bimbo su 7 dei nati muore entro i primi dodici mesi di vita.
Oltre ai numeri, il Rapporto offre drammatiche testimonianze di queste
adolescenti, troppo grandi per giocare e troppo piccole per essere madri, in
gran parte condannate a condurre una vita precaria, facendo lavori domestici
sottopagate e sfruttate perché facilmente ricattabili. In Egitto Safa, divenuta
a 17 anni seconda moglie di un sessantenne, è costretta a fare la donna di
servizio in casa; a causa di scarsa nutrizione e di cure prenatali ha perso il
bambino rimanendo, nonostante ciò, di nuovo incinta. Ganga del Nepal a18 anni
si ritrova già con tre bambini: non è mai andata a scuola e afferma di vivere
giornate angosciose non potendo permettersi né cibo nutriente né una casa
decente in cui vivere. L’etiope Abeba racconta di essersi sposata a 7 anni, di
aver avuto i primi rapporti sessuali a 9 e di essere diventata vedova a 12: dichiara
di non desiderare di avere altri uomini accanto a sé.
Da una lettura complessiva della ricerca emergono alcune tendenze di fondo:
le adolescenti dei paesi in via di sviluppo hanno il doppio delle possibilità
di morire per complicazioni legate al parto delle donne più grandi (le ragazze
sotto i 14 anni corrono un rischio ancora maggiore); le mamme bambine sono più
esposte a parti prematuri, ad avere bimbi sotto peso o che rischiano di morire
entro il primo mese di vita. Le giovani mamme stesse vanno incontro a notevoli
pericoli: l’interruzione delle doglie è comune e può dar luogo alla nascita di
bimbi morti o essere causa di morte o disabilità per la madre. Per le giovani
puerpere e i loro figli è maggiore il rischio di contrarre Hiv/Aids.
«La nascita di un bimbo può trasformarsi in una danza con la morte per
tante ragazze e per i loro piccoli», commenta Carlotta Sami, coordinatrice dei
programmi di Save the Children, facendo notare come la gravidanza e il parto
siano tra le prime cause di morte per le adolescenti dei paesi in via di
sviluppo. «Queste ragazzine si sposano e hanno figli prima di essere pronte
psicologicamente e fisicamente. Spesso non hanno scelta. Bisogna comprenderle e
offrire loro delle alternative. L’accesso all’educazione è la chiave di tutto.
Il dossier dimostra che le ragazze che ricevono una educazione di base vivono
meglio in gravidanza, hanno un parto più sicuro e anche i loro bambini stanno
meglio perché è più probabile che queste mamme cerchino adeguata assistenza per
se stesse e i propri piccoli».
Va qui sottolineato che tali valutazioni vengono ampiamente confermate dal
Rapporto Unicef 2004 su “Bambine, istruzione e sviluppo”, dal quale emerge che
gli investimenti nell’istruzione delle bambine sono assolutamente prioritari
perché capaci di produrre risultati multipli: sviluppo economico più accentuato
(all’aumento delle iscrizioni femminili alla scuola primaria corrisponde una
crescita del prodotto interno pro capite), istruzione per la generazione
successiva (i figli di madri istruite hanno più probabilità di andare a
scuola), effetto moltiplicatore (le bambine che vanno a scuola sono meglio
preparate a difendersi dalle malattie, corrono meno rischi di restare vittime
di trafficanti o sfruttatori), famiglie più sane (ogni anno di istruzione
materna in più determina una riduzione dal 5 al 10% del tasso di mortalità dei
bambini sotto i 5 anni), minore mortalità delle madri (che sanno meglio come
utilizzare i servizi sanitari, come migliorare la propria alimentazione e come
distanziare le gravidanze).
GLI SQUILIBRI
DEL BENESSERE MATERNO
Ulteriori conferme, insieme ad altre importanti indicazioni, vengono anche
dal cosiddetto indice delle madri contenuto nel Rapporto di Save the children,
che individua i paesi migliori e peggiori sulla base della valutazione del
benessere materno in 119 stati (salute, istruzione e status politico i
parametri presi in esame).2
Ai vertici della classifica dei migliori paesi troviamo nell’ordine Svezia,
Danimarca e Finlandia, Austria e Paesi Bassi, Norvegia, Australia e Canada,
Regno Unito e Paesi Bassi. Si classificano agli ultimi posti Nigeria, Burkina
Faso, Etiopia e Mali, Guinea-Bissau, Ciad, Sierra Leone e Yemen.
«Il dossier di quest’anno rappresenta una pietra miliare, spiega ancora
Carlotta Sami. Cinque anni fa abbiamo pubblicato il primo Rapporto sullo stato
delle madri del mondo documentando le condizioni delle mamme e dei loro bambini
in più di 100 paesi del mondo. Nel corso di questi cinque anni, il nostro
indice delle madri ha dimostrato chiaramente che in quei paesi dove le madri
hanno la possibilità di vivere meglio altrettanto è per i loro figli».
Ricordiamo allora alcune conclusioni ricavabili dall’indice delle madri:
– una mamma di uno dei dieci paesi in coda alla graduatoria è, rispetto
alle sue simili dei paesi in testa alla classifica, 26 volte più esposta al
rischio di veder morire suo figlio entro il primo anno di vita e 750 volte al
rischio di morire lei stessa durante la gravidanza e o il parto;
– in questi stessi paesi 1 bambino su 3 non è iscritto a scuola e solo una
donna su quattro sa leggere e scrivere. Nei primi dieci paesi dell’indice
praticamente tutti i bambini vanno a scuola e tutte le donne sono istruite;
– solo il 15% delle nascite, in Bangladesh, Etiopia e Nepal avviene con
l’assistenza di personale sanitario. «Anche in questo caso l’educazione
rappresenta un fattore chiave, commenta la coordinatrice dei programmi di Save
the Children. L’indice infatti individua una strettissima relazione fra il
livello di istruzione della madre, il suo accesso ai servizi di pianificazione
familiare, la presenza di personale qualificato al momento del parto con la
sopravvivenza e la salute del bambino»;
– le donne con un’istruzione sono più portate a posporre il matrimonio e la
maternità, hanno più a cuore la propria salute e quella del bimbo e
incoraggiano i figli ad andare a scuola.
Nel complesso dunque l’indice evidenzia un enorme divario tra i primi dieci
e gli ultimi dieci paesi della graduatoria. In Svezia, per esempio, che è al
primo posto, più del 99% delle donne ha un’istruzione. Al contrario, in
Nigeria, solo il 9% delle donne è andato a scuola. Una mamma etiope ha 38
possibilità in più di veder morire il proprio bambino entro il primo anno di
vita rispetto a una mamma svedese.
Uno scenario che viene completato dall’analisi delle tendenze nell’arco
degli ultimi 5 anni:
– i paesi scandinavi, come si è detto, dominano la testa della classifica;
– gli Stati Uniti non sono immuni dal problema della maternità precoce
(sono solo al decimo posto!). Infatti il tasso di gravidanze adolescenziali è
il più alto dei paesi industrializzati. In alcune comunità rurali è addirittura
più elevato che in alcuni paesi in via di sviluppo (cf. Arkansas); la
legislazione relativa all’età minima per sposarsi andrebbe dunque migliorata e
rafforzata;
– molti paesi latinoamericani si stanno avvicinando, relativamente ad
alcuni aspetti del benessere femminile, alle nazioni ricche;
– parte dell’Europa centrale e dell’est, i paesi baltici e paesi quali
India, Pakistan, Sri Lanka, mostrano dei miglioramenti dello stato di salute
delle donne e dei bambini;
– la forte presenza nella parte bassa della graduatoria di paesi
dell’Africa subsahariana si deve, in parte, alla permanenza o alla recente
esistenza, in queste aree, di conflitti (in particolare ricordiamo anche che
Afghanistan, Angola, Burundi, Repubblica Democratica del Congo e Sierra Leone
sono i paesi in cui si calcola che 4 milioni di donne e 6 milioni di bambini
con meno di 15 anni sono costantemente minacciati da guerre e violenze).
Mario Chiaro
1 Save the Children è la più grande organizzazione internazionale
indipendente per la difesa e la promozione dei diritti dei bambini. Opera in
oltre 120 paesi nel mondo con una rete di 29 organizzazioni nazionali e un
ufficio di coordinamento internazionale. Sviluppa progetti che consentono
miglioramenti sostenibili e di lungo periodo, lavorando a stretto contatto con
le comunità locali; porta aiuti immediati, assistenza e sostegno alle famiglie
e ai bambini in situazioni di emergenza, createsi a causa di calamità naturali
o di guerre.
2 L’indice viene determinato sulla base di sei indicatori del benessere
femminile (rischio di mortalità materna, percentuale di donne che usano
contraccettivi, percentuale di nascite assistite da personale medico,
percentuale di puerpere anemiche, tasso di istruzione femminile e di
partecipazione delle donne alla vita politica) e di quattro indicatori del
benessere infantile (mortalità infantile, tasso di iscrizione scolastica,
percentuale di popolazione con accesso ad acqua potabile, percentuale di bimbi
sotto i 5 anni con lievi o gravi carenze nutrizionali).