MARIA DE MATTIAS SUGLI ALTARI
MISTICA DEL SANGUE DI CRISTO
Adoratrice del sangue
di Cristo, intuì che dentro la società, lacerata da odio e violenze, scorreva
già questo sangue e attraversava la storia inquinata del suo tempo. Lo paragona
a un fiume di misericordia che sana le ferite del mondo, provocate
dalle potenze del
male.
È morta una santa! Fu questo il commento con cui la gente di Roma apprese attonita la notizia della scomparsa di Maria De Mattias, fondatrice delle Suore adoratrici del preziosissimo sangue. Era 20 agosto 1866; aveva 61 anni.
Da quella data sono passati ormai circa 137 anni. Ora la Chiesa, dopo averla proclamata “beata” il 1 ottobre 1950, nel contesto dell’anno santo, si dispone a porre il suo sigillo indelebile su questa vox populi con la cerimonia di canonizzazione che avrà luogo a Roma il 18 maggio prossimo.
Chi era Maria de Mattias? Era nata nel 1805 a Vallecorsa (Frosinone), in una terra sconvolta da lotte fratricide, come era il basso Lazio nel 1800. Ancora bambina, fu testimone oculare di efferati delitti avvenuti nel suo paese natale, dove il brigantaggio seminava vittime e disperazione in tante famiglie. Tutta quella violenza trovò un’eco profonda nel suo animo sensibile e svegliò in lei, insieme a sentimenti di pietà, anche il desiderio, di farsi carico di quella umanità dolente, offrendosi essa stessa a Dio in espiazione dei peccati del suo popolo.
L’IMMAGINE
DELL’AGNELLO PASQUALE
Il suo cammino spirituale, iniziato ascoltando le storie della Bibbia che suo padre le raccontava, ebbe come epilogo il primo approccio con il mistero pasquale, avvenuto nell’infanzia. Una mattina di Pasqua, durante la messa fu colpita dall’immagine dell’agnello sgozzato. Il padre, a cui si era rivolta per avere chiarimenti, le spiegò che quel simbolo rappresentava Gesù che dona la vita per noi. Questo episodio rimase per molto tempo nel subconscio di Maria e preparò la strada alla scelta consapevole che da adulta fece di offrire anche lei la propria vita come aveva fatto Gesù. La devozione alla Madonna coltivata fin dalla prima giovinezza, affinò il cuore di Maria de Mattias fino a renderla consapevole della presenza di Gesù che bussava alla sua porta, e del desiderio che egli aveva di farsi amare dalle anime da lui ricomprate col suo sangue prezioso.
Il suo incontro con san Gaspare del Bufalo, durante la missione popolare da lui predicata a Vallecorsa nel 1822, fu per Maria la rampa di lancio da cui la sua fede svettò verso spazi inesplorati. Scoprire che il sangue di Cristo era puro amore donato all’umanità per la redenzione di ogni creatura e dell’intero cosmo, dissolse le ultime resistenze del suo cuore.
Il suo amore per lo sposo Gesù, che da quel momento, colorerà di rosso fuoco ogni attimo del suo vivere quotidiano, si trasformò ben presto in un ardente desiderio di legarsi a lui attraverso la scelta di una totale consacrazione. Inoltre, sotto la spinta del fervore apostolico che animava i Missionari del preziosissimo sangue nel loro sforzo di rievangelizzare la Ciociaria, anche in Maria si fece strada la volontà di fare altrettanto. Questa duplice vocazione, di sposa del Crocifisso e di missionaria, la portò nel cuore per molto tempo e, non potendo realizzarla subito, si impegnò a viverla, nel suo paese natale, intensificando la preghiera e organizzando, nella sua casa, incontri di catechesi per le coetanee e le bambine del vicinato.
AVVENTURA AFFASCINANTE
E RISCHIOSA
Quando don Giovanni Merlini, missionario del preziosissimo sangue, entrò nel suo orizzonte umano, in qualità di guida spirituale, l’itinerario vocazionale di questa ragazza ciociara subì una poderosa sterzata. In tutto l’arco del suo vivere terreno, la futura e ancora ignara fondatrice, seguirà passo passo le orme della sua guida; a lui aprirà il cuore, con lui condividerà desideri, progetti, preoccupazioni, dubbi, aspettative. Il Merlini, dal canto suo, con la pazienza e la precisione che gli erano proprie, attese a lungo le condizioni favorevoli per avviare la nuova fondazione: la sua discepola, nei dieci anni che trascorsero, ebbe modo di portare a maturazione i semi che lo Spirito aveva seminato in lei. Finalmente, a 29 anni, Maria lasciò la casa paterna per intraprendere un’avventura affascinante quanto rischiosa: avviare, in uno sperduto paese delle montagne ciociare, dove si recava ad aprire una scuola per ragazze povere, la fondazione di una nuova congregazione religiosa femminile. E il 4 marzo dell’anno 1834, nasceva ad Acuto (Frosinone) l’Istituto delle Suore adoratrici del preziosissimo sangue. Prima suora e fondatrice: Maria de Mattias.
Iniziarono per lei anni difficili ma fruttuosi. Ben presto alcune ragazze le si affiancarono nel cammino di consacrazione e, disponendo ormai di parecchie suore, fu possibile aprire scuole in altre parti dello stato pontificio. Ma aumentando il gregge, aumentarono anche le preoccupazioni: per il mantenimento materiale, la cura spirituale, l’abilitazione professionale delle suore; per le relazioni non sempre facili con vescovi, sacerdoti e politici; per le pretese di potenti signorotti che volevano scegliersi le suore da mettere nelle scuole da loro sostenute economicamente; per le reazioni scandalizzate del clero locale di fronte alla “predicazione” che lei faceva dentro e fuori della chiesa.
Sperimentava come Gesù l’avesse ora presa in parola e, di croce in croce, tesseva la sua tela d’amore, utilizzando il filo, fragile e resistente, della disponibilità che lei gli metteva, giorno per giorno, tra le mani.
Com’era d’uso per le donne di quei tempi, Maria non fu mai mandata a scuola, nonostante appartenesse ad una famiglia benestante. Ma un giorno, sfogliando un libro di preghiere, si accorse di saper leggere. Più tardi e per necessità cominciò anche a scrivere, ma lo fece sempre – come dice lei stessa – con molta ripugnanza, per la fatica che le costava, a causa della pratica insufficiente. Sapendo questo, si rimane sorpresi nello scoprire che in poco più di trenta anni, scrisse oltre tremila lettere, intrattenendo una fitta corrispondenza con un’ampia cerchia di gente: parenti, suore, vescovi, sacerdoti, sindaci. I suoi viaggi sono rimasti memorabili per le dure difficoltà che dovette fronteggiare: chilometri di strade sconnesse, a piedi o con mezzi di fortuna, con il freddo e il caldo, di notte e di giorno, sotto l’incubo continuo di possibili assalti di ladri e briganti.
Ma Maria viveva tutto con una profonda accettazione, capace com’era di interpretare la vita in chiave pasquale. Quando le prove, l’incomprensione, la solitudine, il limite umano, straziavano il suo cuore, lei ripeteva con forza: “Che grande onore morire vittima, consumata dal torchio della croce”.
NEL FIUME
DELLA MISERICORDIA DIVINA
Maria intuì che dentro la società, lacerata da odio e violenze, scorreva già il sangue di Cristo e attraversava la storia inquinata del suo tempo. Lei stessa, usando l’immagine del fiume, così scrive nella prima stesura della regola: “Il sangue di Cristo, come una fonte, anzi come un fiume accessibile a tutti, si dilata in tanti rivoli e raggiunge tutti gli uomini, li accompagna e li segue in ogni passo della loro vita terrena, fino alla pienezza della vita eterna” (Prime Regole). Il sangue di Gesù, infatti, può a ragione, essere paragonato ad un fiume di misericordia che sana le ferite del mondo, provocate dalle potenze del male.
Mescolandosi a quello umano, versato dalla sopraffazione dell’uomo sull’uomo, questo sangue divino, entra silenziosamente e continuamente nelle vene della storia: dall’interno la purifica dalla melma del peccato e la risana. Questo capì Maria de Mattias mentre calava nelle profondità del mistero del Sangue di Cristo e ne coglieva la portata salvifica.
Con lo slancio generoso che la caratterizzava, lei stessa entrò dentro quel fiume di misericordia e in esso si immerse senza riserve. Fece esperienza di come il fiume del sangue di Cristo, raccogliendo tutta la miseria umana, aveva l’immenso potere di ricostruire le coscienze degli uomini. Navigandovi dentro, Maria scoprì anche che la salvezza e la redenzione sono di preferenza trasportate, laddove ce n’è più bisogno, dalla potenza della solidarietà umana; quella che nasce nel cuore di chi ha stabilito un’alleanza d’amore con il Figlio di Dio, morto e risorto. Per questo esorta le sue suore, a “dimorare sotto l’ombra della croce, tra i rivi scorrevoli del sangue divino”, ad aprire il cuore all’amore per i fratelli e a donarsi con generosità fino a spargere, se necessario, anche il proprio sangue, per imitare quel Gesù che ha dato tutto se stesso per noi. La forza dirompente del sangue redentore era in Maria l’energia vitale che la portò a fare della sua stessa vita un dono irrevocabile, messo al servizio del regno di Dio.
Molto spesso si sentiva impotente di fronte all’alta missione a cui Dio la chiamava, ma non smetteva di faticare anche sopra le forze: predicazione in chiesa, esercizi spirituali a ragazze o sposate, incontri di preghiera, animazione delle liturgie. E la gente accorreva, chiedendo di essere istruita nei misteri della fede cristiana.
La persona umana era per Maria de Mattias tanto preziosa quanto lo è il sangue di Cristo. Condurre ciascuna creatura a quella fonte di grazia, che ci raggiunge attraverso i sacramenti, è l’unica risposta possibile al bisogno di salvezza che ogni sofferenza si porta dentro. Lei lo sapeva e, piena di energia divina, avrebbe voluto operare vere e proprie trasfusioni di amore, nelle persone più lontane dalla vita vera che è Cristo redentore.
Maria andava spesso a pregare davanti al Crocifisso; in esso contemplava il servo paziente e l’agnello mansueto, che per amore si offre per la salvezza di tutti, specialmente per quelli che rifiutano la logica dell’amore e della non violenza. Davanti alle piaghe di Cristo intercedeva per il mondo intero e invocava pace e perdono.
La croce in Maria era una realtà quotidiana da assumere con amore e pazienza. Ad una sua suora consigliava: “Se si lascia la croce per cercare il nostro comodo, perdiamo la pace del cuore e il mondo ci deride, ci fa soffrire, ci trascina dietro di sé, e ciò che desideriamo non giunge mai o non dura”.
CONTEMPLATIVA
E MISTICA
Chi è il mistico se non colui o colei che, nella normalità del cammino di fede, sperimenta Dio come “carezza, abbraccio, dolcezza amorosa” e, affascinato dalla sua presenza, si apre totalmente, uscendo da se stesso, per entrare nel sentire divino?
Se la parola “mistico”, (dal greco myo: letteralmente chiudere gli occhi o la bocca), implica, come indica il suo significato originario, il chiudere gli occhi per non vedere ciò che è segreto e la bocca per non rivelarne niente, Maria de Mattias può a ragione essere definita una donna “mistica”, poiché, davanti alla rivelazione del suo Signore, ha tenuto occhi e bocca chiusi. Quando era costretta a parlare di ciò che succedeva nel suo intimo in certi momenti di raccoglimento, e lo faceva, sotto pressante richiesta, solo al suo direttore spirituale, lei stessa non sapeva come dirlo e si limitava talvolta solo a raccontare: “La mattina mi alzo presto, prima delle mie sorelle, e mi metto in preghiera. In queste due ore, resto ai piedi di Gesù crocifisso, come il povero del Vangelo. Il più delle volte mi ritrovo quasi immediatamente in un profondo raccoglimento, con sentimenti di dolore per i miei peccati e per i peccati del mondo intero...”.
Questi raggi di luce che la santa sperimentava, non sono altro che i segni di quella trasformazione interiore che lo Spirito, a sua insaputa, andava operando in lei, mentre, nel cuore di una attività frenetica, portava ogni giorno il peso di una ingente quantità di lavoro e di preoccupazioni.
La sua santità, da quello stesso Spirito donata alla Chiesa e ai cristiani di oggi, ci invita a salire, con la stessa generosità, la scala della libertà, fino all’altezza del costato aperto del Risorto, dove è riposto come, in uno scrigno, il misterioso segreto di ogni vita riuscita.
Fisicamente, neanche quando era giovane, Maria de Mattias era stata di costituzione robusta, ma con l’andare degli anni gli strapazzi, la fatica e le privazioni, avevano finito col minare la sua già fragile salute. Ai primi di dicembre del 1865, Maria si trasferì a Roma dove, a detta del Merlini, avrebbe portato avanti meglio la conduzione della fondazione, che contava ormai 200 suore e 60 comunità, in altrettante scuole. Ma a Roma, la salute di Maria peggiorò notevolmente: il tumore che aveva a un braccio cominciò a procurarle forti dolori e la tubercolosi, che si era presa curando le suore malate, le causava continue emottisi e attacchi di asma. Passò gli ultimi mesi della sua vita a letto, in mezzo a indicibili sofferenze, ma con una fede a tutta prova. Consapevole di essere arrivata alla fine, con grande gioia si preparò a quell’incontro con il Signore che aveva sospirato per tutta la vita. La gente, con quell’infallibile intuito profetico che la caratterizza, non si era sbagliata: era morta veramente una santa.
Anna Maria Vissani
ASC