Mastrofini Fabrizio
Una minoranza piccola ma significativa
2022/10, p. 1
“Piccoli” in un paese vasto come il Kazakhstan, dove la comunità cattolica rappresenta una minoranza esigua. “Piccoli” ma significativi e soprattutto in grado di rispondere alla promessa di “futuro” che il Vangelo propone ai seguaci di Cristo.

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Testimoni
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VIAGGIO DEL PAPA IN KAZAKHSTAN
Una minoranzapiccola ma significativa
“Piccoli” in un paese vasto come il Kazakhstan, dove la comunità cattolica rappresenta una minoranza esigua. “Piccoli” ma significativi e soprattutto in grado di rispondere alla promessa di “futuro” che il Vangelo propone ai seguaci di Cristo.
Papa Francesco nel rivolgersi alla minoranza cattolica, nell’ultimo giorno del viaggio (13-15 settembre), ha avuto parole luminose. “Essere piccoli ci ricorda che non siamo autosufficienti: che abbiamo bisogno di Dio, ma anche degli altri, di tutti gli altri: delle sorelle e dei fratelli di altre confessioni, di chi confessa credo religiosi diversi dal nostro, di tutti gli uomini e le donne animati da buona volontà. Ci accorgiamo, in spirito di umiltà, che solo insieme, nel dialogo e nell’accoglienza reciproca, possiamo davvero realizzare qualcosa di buono per tutti. È il compito peculiare della Chiesa in questo Paese: non essere un gruppo che si trascina nelle cose di sempre o si chiude nel suo guscio perché si sente piccolo, ma una comunità aperta al futuro di Dio, accesa dal fuoco dello Spirito: viva, speranzosa, disponibile alle sue novità e ai segni dei tempi, animata dalla logica evangelica del seme che porta frutto nell’amore umile e fecondo. In questo modo, la promessa di vita e di benedizione, che Dio Padre riversa su di noi per mezzo di Gesù, si fa strada non solo per noi, ma si realizza anche per gli altri”.
In precedenza, quella stessa mattina di giovedì 15, aveva incontrato i gesuiti della regione Russia e Asia Centrale e aspettiamo, nelle prossime settimane, che La Civiltà Cattolica pubblichi il dialogo.
L’occasione di questo viaggio
Occasione del viaggio è stata la partecipazione del Papa al “VII Congress of Leaders of World and traditional Religions”. Alla platea di delegati – tra cui i rappresentanti del Patriarcato di Mosca – il 14 settembre papa Francesco ha rivolto un discorso alto, evocativo, intinto nei toni della più accesa difesa della pace e della promozione dei valori della fraternità umana.
“Il mondo attende da noi l’esempio di anime deste e di menti limpide, attende religiosità autentica. È venuta l’ora di destarsi da quel fondamentalismo che inquina e corrode ogni credo, l’ora di rendere limpido e compassionevole il cuore. Ma è anche l’ora di lasciare solo ai libri di storia i discorsi che per troppo tempo, qui e altrove, hanno inculcato sospetto e disprezzo nei riguardi della religione, quasi fosse un fattore di destabilizzazione della società moderna. In questi luoghi è ben nota l’eredità dell’ateismo di Stato, imposto per decenni, quella mentalità opprimente e soffocante per la quale il solo uso della parola “religione” creava imbarazzo. In realtà, le religioni non sono problemi, ma parte della soluzione per una convivenza più armoniosa. La ricerca della trascendenza e il sacro valore della fraternità possono infatti ispirare e illuminare le scelte da prendere nel contesto delle crisi geopolitiche, sociali, economiche, ecologiche ma, alla radice, spirituali che attraversano molte istituzioni odierne, anche le democrazie, mettendo a repentaglio la sicurezza e la concordia tra i popoli. Abbiamo dunque bisogno di religione per rispondere alla sete di pace del mondo e alla sete di infinito che abita il cuore di ogni uomo”.
Papa Francesco ha delineato le quattro sfide globali di un mondo globale: la pandemia ricorda la vulnerabilità umana e il dovere di prenderci cura gli uni degli altri e soprattutto dei più deboli; la sfida della pace; la sfida, collegata, dell’accoglienza fraterna; la custodia della casa comune. E al termine il Papa ha avuto di nuovo parole evocative, sottolineando la necessità che “l’Altissimo ci liberi dalle ombre del sospetto e della falsità; ci conceda di coltivare amicizie solari e fraterne, attraverso il dialogo frequente e la luminosa sincerità delle intenzioni. E vorrei ringraziare qui per lo sforzo del Kazakhstan su questo punto: cercare sempre di unire, cercare sempre di provocare il dialogo, cercare sempre di fare amicizia. Questo è un esempio che il Kazakhstan dà a tutti noi e dobbiamo seguirlo, assecondarlo. Non cerchiamo finti sincretismi concilianti – non servono –, ma custodiamo le nostre identità aperti al coraggio dell’alterità, all’incontro fraterno. Solo così, su questa strada, nei tempi bui che viviamo, potremo irradiare la luce del nostro Creatore”.
L’incontro con le autorità
Il giorno precedente, poco dopo l’arrivo, incontrando le autorità e il Corpo diplomatico, il Papa aveva evocato la tradizione del Kazakhstan per esemplificare come la fraternità e l’unione siano possibili. A proposito della “dombra”, il caratteristico strumento a due corde, ha osservato come “le corde della dombra risuonano abitualmente insieme ad altri strumenti ad arco tipici di questi luoghi: l’armonia matura e cresce nell’insieme, nella coralità che rende armoniosa la vita sociale. «La fonte del successo è l’unità», recita un bel proverbio locale. Se ciò vale ovunque, qui in modo particolare: i circa centocinquanta gruppi etnici e le più di ottanta lingue presenti nel Paese, con storie, tradizioni culturali e religiose variegate, compongono una sinfonia straordinaria e fanno del Kazakhstan un laboratorio multi-etnico, multi-culturale e multi-religioso unico, rivelandone la peculiare vocazione, quella di essere Paese dell’incontro”.
“La libertà religiosa – ha aggiunto ancora – costituisce l’alveo migliore per la convivenza civile. È un bisogno inscritto nel nome di questo popolo, nella parola “kazako”, che evoca proprio il camminare libero e indipendente. La tutela della libertà, aspirazione scritta nel cuore di ogni uomo, unica condizione perché l’incontro tra le persone e i gruppi sia reale e non artificiale, si traduce nella società civile principalmente attraverso il riconoscimento dei diritti, accompagnati dai doveri.
Vorrei esprimere apprezzamento, da questo punto di vista, per l’affermazione del valore della vita umana attraverso l’abolizione della pena di morte, in nome del diritto alla speranza per ciascun essere umano. Accanto a ciò, è importante garantire le libertà di pensiero, di coscienza e di espressione, per dare spazio al ruolo unico e paritario che ognuno riveste per l’insieme”.
È l’ora di evitare l’accentuarsi di rivalità
Ed ha insistito: “il problema di qualcuno è oggi problema di tutti, e chi al mondo detiene più potere ha più responsabilità nei riguardi degli altri, specialmente dei Paesi messi maggiormente in crisi da logiche conflittuali. A questo si dovrebbe guardare, non solo agli interessi che ricadono a proprio vantaggio. È l’ora di evitare l’accentuarsi di rivalità e il rafforzamento di blocchi contrapposti. Abbiamo bisogno di leader che, a livello internazionale, permettano ai popoli di comprendersi e dialogare, e generino un nuovo “spirito di Helsinki”, la volontà di rafforzare il multilateralismo, di costruire un mondo più stabile e pacifico pensando alle nuove generazioni. E per fare questo occorre comprensione, pazienza e dialogo con tutti. Ripeto, con tutti”.
Un appello per la pace
Al termine della Messa, mercoledì 14, cui hanno partecipato seimila fedeli, il Papa ha di nuovo rivolto un appello per la pace in Ucraina e non solo. “Non abituiamoci alla guerra, non rassegniamoci alla sua ineluttabilità. Soccorriamo chi soffre e insistiamo perché si provi davvero a raggiungere la pace. Che cosa deve accadere ancora, quanti morti bisognerà attendere prima che le contrapposizioni cedano il passo al dialogo per il bene della gente, dei popoli e dell’umanità? L’unica via di uscita è la pace e la sola strada per arrivarci è il dialogo. Ho appreso con preoccupazione che in queste ore si sono accesi nuovi focolai di tensione nella regione caucasica. Continuiamo a pregare perché, anche in questi territori, sulle contese prevalgano il confronto pacifico e la concordia. Il mondo impari a costruire la pace, anche limitando la corsa agli armamenti e convertendo le ingenti spese belliche in sostegni concreti alle popolazioni”.
La conferenza stampa in aereo
Interessante come sempre la conferenza stampa in aereo nel viaggio di ritorno. Tra i diversi temi trattati, alcune domande hanno preso spunto dal viaggio per mettere a fuoco il rapporto tra Occidente e altri contesti. E il Papa non si è sottratto. “L’Occidente, in genere, non è in questo momento al livello più alto di esemplarità. L’Occidente ha preso strade sbagliate, pensiamo per esempio all’ingiustizia sociale che è tra noi, ci sono dei Paesi che sono sviluppati un po’ sulla giustizia sociale, ma io penso al mio continente, l’America Latina che è Occidente. Pensiamo anche al Mediterraneo, che è Occidente: oggi è il cimitero più grande, non dell’Europa, ma dell’umanità.
Cosa ha perso l’Occidente per dimenticarsi di accogliere, quando invece ha bisogno di gente. Quando si pensa all’inverno demografico che noi abbiamo: c’è bisogno di gente: sia in Spagna – in Spagna soprattutto – anche in Italia ci sono paesi vuoti. Ma perché non fare una politica dell’Occidente dove gli immigrati siano inseriti con il principio che il migrante va accolto, accompagnato, promosso e integrato? Questo è molto importante, integrare, ma invece “no” si lasciano vuote le cose. È una mancanza nel capire i valori, quando l’Occidente ha vissuto questa esperienza, siamo Paesi che hanno migrato. Nel mio Paese - che credo siano 49 milioni in questo momento - abbiamo soltanto una percentuale di meno di un milione di aborigeni, e tutti gli altri sono di radice migrante. Tutti: spagnoli, italiani, tedeschi, slavi polacchi, dell’Asia Minore, libanesi, tutti… Si è mescolato il sangue lì e questa esperienza ci ha aiutato tanto. Poi per motivi politici la cosa non sta andando bene nei Paesi dell’America Latina, ma la migrazione credo che in questo momento va considerata sul serio perché ti fa alzare un po’ il valore intellettuale e cordiale dell’Occidente. Al contrario con questo inverno demografico, dove andiamo?”.
Ed ha proseguito: “l’Occidente ha bisogno di parlare, di rispettarsi e poi c’è il pericolo dei populismi. Cosa succede in uno stato socio-politico del genere? Nascono i messia: i messia dei populismi. Stiamo vedendo come nascono i populismi, credo che alcune volte ho menzionato quel libro di Ginzberg, Sindrome 1933: dice proprio come nasce un populismo in Germania dopo la caduta del governo Weimar. I populismi nascono così: quando c’è un livello metà senza forza, e uno promette il messia. Credo che non siamo noi occidentali al più alto livello per aiutare gli altri popoli, siamo un po’ in decadenza? Può darsi, sì, ma dobbiamo riprendere i valori, i valori d’Europa, i valori dei padri fondatori che hanno fondato l’Unione Europea”.
FABRIZIO MASTROFINI