Curia e visione sul mondo
2020/2, p. 1
Se il discorso alla curia (21 dicembre 2019) annuncia
l’imminente costituzione apostolica sulla sua riforma,
quello ai diplomatici (7 gennaio 2020) allarga lo
sguardo sul ruolo delle fedi nei meandri dei
cambiamenti mondiali. Nell’uno e nell’altro,
Francesco dà prova di grande visione.
Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.
Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
PAPA FRANCESCO
Curia e
Visione sul mondo
Se il discorso alla curia (21 dicembre 2019) annuncia l’imminente costituzione apostolica sulla sua riforma, quello ai diplomatici (7 gennaio 2020) allarga lo sguardo sul ruolo delle fedi nei meandri dei cambiamenti mondiali. Nell’uno e nell’altro, Francesco dà prova di grande visione.
Il 2020 sarà l’anno della riforma della curia romana. Il via libera del consiglio dei cardinali in dicembre 2019 lo prefigura. A sette anni dall’elezione di Francesco al soglio di Pietro si completerà la faticosa ristrutturazione dell’apparato vaticano. La costituzione apostolica Praedicate Evangelium è ormai pronta. In questi anni di preparazione non sono mancate le critiche e le lagnanze ai passi della riforma curiale, ma non si può ignorare l’urgenza di una riforma da tutti condivisa e la qualità dei riferimenti a cui risponde: a) la necessità che la riforma abbia anzitutto una qualità spirituale e morale oltre che strutturale; b) la priorità dell’urgenza dell’annuncio evangelico su quella del controllo delle Chiese; c) un riequilibrio delle responsabilità fra curia romana e conferenze episcopali; d) la sinodalità come stile di governo e di vita ecclesiale; e) una struttura capace di rispondere ai cambiamenti dei tempi e alla dislocazione a Sud della maggioranza dei cattolici. Tutti elementi assai lucidamente presenti nella prima parte del documento che comprende un «prologo» e i «criteri e principi» (decentramento, ruolo dei laici, la dimensione di servizio ai vescovi oltre che al pontefice, comunicazione interna).
Sette discorsi
Ai tratti ispirativi si rifanno i sette discorsi alla curia in occasione degli auguri di Natale. Dopo l’annuncio della riforma curiale (13 aprile 2013) il primo discorso verteva sulla professionalità dei curiali. Nel 2014-2015 si affrontano le tentazioni e le virtù che interessano la curia, ma che si possono estendere alle comunità cristiane. Quindici le tentazioni e dodici le virtù. Nel 2016 il discorso ruotava attorno ai criteri della riforma: dalla conversione personale a quella pastorale, dalla priorità dell’evangelizzazione alla razionalizzazione della curia con i caratteri della funzionalità, aggiornamento, sobrietà, sussidiarietà, sinodalità, cattolicità, professionalità e gradualità. All’elenco dei criteri seguiva il riferimento alle 19 decisioni che segnano il procedere della riforma: dalle disposizioni relative al comparto economico e finanziario alla creazione della Segreteria e del Consiglio dell’economia, dalla Commissione per la tutela dei minori alla Segreteria della comunicazione, dalla riforma del processo canonico all’erezione dei dicasteri per i laici e lo sviluppo umano integrale. Nel 2017 l’attenzione andava all’attività esterna della curia «ossia il rapporto della curia con le nazioni, con le Chiese particolari, con le Chiese orientali, con il dialogo ecumenico, con l’ebraismo, con l’islam e le altre religioni». Nel 2018 il discorso è volto soprattutto a denunciare gli abusi di potere, di coscienza e sessuali in previsione della riunione dei presidenti delle conferenze episcopali che si sarebbe svolta nel febbraio 2019. «Sia chiaro che dinanzi a questi abomini la Chiesa non si risparmierà nel compiere tutto il necessario per consegnare alla giustizia chiunque abbia commesso tali delitti. La Chiesa non cercherà mai di insabbiare o sottovalutare nessun caso».
Un ritardo intollerabile
Torna direttamente sul tema della riforma della curia il discorso del 21 dicembre 2019. «Nell’incontro odierno vorrei soffermarmi su alcuni altri dicasteri (oltre a quelli già accennati nei discorsi precedenti ndr.) partendo dal cuore della riforma ossia dal primo e più importante compito della Chiesa: l’evangelizzazione». La Congregazione per la dottrina della fede e quella per l’evangelizzazione dei popoli hanno direttamente a che fare con l’urgenza dell’annuncio del Vangelo. In un tempo ormai di post-cristianità («Non siamo più in regime di cristianità»), davanti alla progressiva secolarizzazione della società e rispetto a fenomeni come l’espansione ormai prevalente del sistema urbano dobbiamo «trovare mezzi adeguati per riproporre la perenne verità del vangelo di Cristo». In un contesto in cui «non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati». Il dicastero della comunicazione, l’impresa più complessa della riforma perché ha unificato nove enti che si occupavano di informazione, deve rispondere a una cultura ampiamente digitalizzata «che ha impatti profondissimi sulla nozione di tempo e di spazio, sulla percezione di sé, degli altri e del mondo, sul modo di comunicare, di apprendere, di informarsi, di entrare in relazione con gli altri». Il dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale è istituito per «promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo alla luce del Vangelo. Tale sviluppo si attua mediante la cura per i beni incommensurabili della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato». Senza fretta, senza rigidità e mettendo in conto qualche errore, la riforma vorrebbe rispondere all’accorata affermazione del compianto card. Martini: «La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio?».
Quarta revisione
Dalla fondazione della nuova curia nel 1588 soltanto tre pontefici hanno avuto il coraggio di ristrutturare il suo apparato: Pio X nel 1908, dopo il concilio Vaticano I e la perdita dello Stato pontificio e Paolo VI nel 1967 dopo il Concilio Vaticano II. Giovanni Paolo II nella costituzione Pastor bonus si limitò ad alcuni miglioramenti minori. Quella avviata da Francesco è quindi la quarta riforma curiale. Le 9 Congregazioni e i 12 Consigli pontifici si ridurranno a 15 dicasteri, tutti giuridicamente uguali. Il termine “segreteria” è riservato alla segreteria di Stato. Dopo di essa si snodano i vari dicasteri. Quello per l’evangelizzazione sarà diviso in due sezioni: una per i problemi fondamentali riguardanti l’evangelizzazione nel mondo di oggi, la seconda col compito di offrire accompagnamento e sostegno alle nuove Chiese locali che non rientrano nella competenza del dicastero per le Chiese orientali. Il dicastero per la dottrina della fede perde rilievo (non sarà più indicata come “suprema”) ma allarga i suoi compiti: non solo per il controllo dell’ortodossia, ma anche come stimolo alla ricerca teologica. Segue il dicastero della carità che eredita la tradizione della elemosineria apostolica, ora elevata allo stato di dicastero, guidato quindi da un prefetto. Il dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti si dedicherà anzitutto alla promozione della sacra liturgica secondo l’insegnamento del Vaticano II, chiamato a “confermare” (non a giudicare) le traduzioni legittimamente preparate dalle conferenze episcopali. Nel dicastero per i laici, la famiglia e la vita si dovrà percepire il nuovo ruolo dei laici e delle donne nella vita ecclesiale, a confronto con le recenti problematiche familiari. Il dicastero per lo sviluppo umano integrale dovrà appunto sostenere «i beni incommensurabili della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato». Trasversali a tutti i dicasteri saranno l’attenzione e i ruoli dei laici, il rapporto non solo per il papa ma anche coi vescovi, la particolare attenzione alle conferenze episcopali. Il personale di curia (ora circa 2.500 persone) dovrà considerarsi al servizio del papa e, allo stesso tempo, dei vescovi. Gli ufficiali dovranno avere alle proprie spalle almeno quattro anni di esperienza nel servizio pastorale.
Il mondo dopo l’egemonia atlantica
La riforma interna del cuore gestionale del cattolicesimo va di pari passo con una nuova presenza della fede e delle fedi nel panorama geopolitico. Se il discorso di papa Francesco al corpo diplomatico del 2018 privilegiava la memoria della Carta dei diritti fondamentali dell’uomo e quello del 2019 invitava a riprenderla via del dialogo diplomatico (multilateralismo) rispetto alla logica della forza, quello di quest’anno (9 gennaio 2020) è strutturato attorno ai viaggi apostolici. Una rete narrativa (Panama; Emirati Arabi; Marocco; Bulgaria – Macedonia; Romania; Mozambico – Madagascar- Maurizio; Thailandia – Giappone) che permette di rilevare i punti critici e prospettici della vita internazionale.
A partire da eventi ecclesiali che incrociano e alimentano la dimensione politica e istituzionale. È il caso del «patto educativo globale» (il prossimo maggio) e il documento sulla fratellanza umana, sottoscritto ad Abu Dhabi (4 febbraio 2019). L’incontro coi giovani a Panama in occasione della giornata mondiale della gioventù apre la considerazione del ruolo pubblico delle nuove generazioni e di una alleanza educativa fra istituzioni, personalità mondiali e correnti di pensiero «per superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna». Un processo che unifichi esperienze di vita e apprendimento per una rinnovata solidarietà intergenerazionale.
Il caso “politico” è quello della sensibilità ecologica. I giovani ci impongono «di proteggere la nostra casa comune», sia davanti ai fallimenti (Conferenza sul cambiamento climatico, Madrid 2-13 dicembre 2019) sia alla rinnovata coscienza di una conversione ecologica (sinodo sull’Amazzonia, Roma 6-27 ottobre 2019). Il documento di Abu Dhabi costituisce una denuncia del fondamentalismo religioso e sviluppa il tema della cittadinanza che nei territori islamici è ancora fragile. In particolare là dove si utilizza in forma discriminatoria il riferimento alle minoranze come popolazioni o gruppi religiosi che non hanno i pieni diritti civili. Connesso a questo la conferma, attraverso l’appello congiunto con il re del Marocco, Mohammed VI, in cui si ripete la vocazione di Gerusalemme ad essere una (non divisa) e sacra alle religioni monoteiste.
Conflitti congelati e aperti
Proseguendo nella ricognizione dei viaggi si colgono i punti critici nei vari contesti mondiali. Anzitutto il moltiplicarsi di «crisi politiche in un crescente numero di paesi del continente americano, con tensioni e insolite forme di violenza che acuirono conflitti sociali e generano gravi conseguenze socio-economiche e umanitarie». Il riferimento obbligato è il Venezuela. Altri focolai pericolosi sono la Siria, lo Yemen e la Libia. Nell’ambito dei territori caucasici e balcanici si indicano i «conflitti congelati» che attendono soluzione, a partire dalla Georgia. Anche l’Ucraina attende la pace nelle sue aree orientali. Segni di speranza nel contesto africano: dal Mozambico al Madagascar, da Mauritius alla Repubblica Centroafricana. Senza ignorare le violenze fondamentaliste in Burkina Faso, Mali, Niger e Nigeria. Il papa esprime la speranza di un viaggio in Sud Sudan assieme all’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e al moderatore presbiteriano scozzese, John Chalmers.
Non espressamente indicati i grandi poteri. Per gli USA vi è un cenno all’attuale tensione con l’Iran, mentre si tace della Russia (potenza militare ma non economica) e alla Cina. Emergono per contrasto i riferimenti a due protagonisti oggi in difficoltà: da un lato l’Europa e dall’altro l’ONU. Come a sottolineare il ruolo delle istituzioni che non rinunciano al multilateralismo e alle ragioni del dialogo.
Le potenze e i protagonisti multilaterali
L’Europa è onorata in ragione dell’azione del Consiglio d’Europa sui diritti umani e dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) che è stata importante per superare senza guerre la divisione del continente europeo. Ma più in generale si sottolinea l’importanza del progetto europeo. Esso «continua ad essere una fondamentale garanzia di sviluppo per chi ne fa parte da tempo e una opportunità di pace, dopo turbolenti conflitti e lacerazioni, per quei paesi che ambiscono a parteciparvi. L’Europa non perda dunque il senso di solidarietà che per secoli l’ha contraddistinta, anche nei momenti più difficili della sua storia. Non perda quello spirito che affonda le sue radici, tra l’altro, nella pietas romana e nella caritas cristiana».
L’ONU festeggerà il 75mo di fondazione. Le sue finalità rimangono ancora valide. Tre le sottolineature specifiche. Anzitutto l’uguale dignità degli Stati e la sollecitazione a non annullare con i “nuovi diritti” quelli riconosciuti dalla Carta del 1948 e a non nascondere in formulazioni fumose (come i “diritti riproduttivi”) orientamenti estranei all’ethos di molti popoli. «In tale contesto appare urgente riprendere il percorso verso una complessiva riforma del sistema multilaterale, a partire dal sistema onusiano, che lo renda più efficace, tenendo in debita considerazione l’attuale contesto geo-politico».
Lorenzo Prezzi