All'indigente che intravede ogni giorno la morte sotto il fardello di una malattia terribile, ai giusti il cui sangue viene sparso sulla terra senza che nessuno se ne curi, a coloro che con passo lento e intriso di sudore stentano a sperare un futuro diverso per sé e per i loro figli, il messaggero divino annuncia l'«eccomi» di Dio. Potrebbe sembrare l'ennesima vana rassicurazione per chi conosce l'amaro calice della sofferenza quotidiana; eppure, l'incarnazione del Verbo è la sicura e definitiva conferma che Dio non mente.
«E il Verbo si fece carne» (Gv 1)
A chi legge con attenzione il «prologo» di Giovanni non può sfuggire che esso è costruito secondo una traiettoria parabolica, caratterizzata da un andamento discendente e uno ascendente. Il Verbo, presentato dapprima con Dio e in perfetta comunione con lui, intraprende il suo cammino verso il mondo, presentandosi come parola creatrice e come luce; «venne ad abitare in mezzo a noi», per ritornare poi, insieme a quelli che lo hanno accolto, «nel seno del Padre». Al centro di questo percorso, che parte e ritorna al Padre, Giovanni pone il mistero paradossale del «Verbo che diventa carne». Un paradosso, perché il Verbo che era eterno ora diventa presente, colui che stava al cospetto di Dio ora abita in mezzo a noi, colui che era Dio ora diventa carne.
Dire allora che «il Verbo diventa carne» non significa dire soltanto che diventa uomo, ma che diventa un uomo segnato dalla nudità e dalla sofferenza, dalla miseria e dalla morte. Il Figlio non è sceso solamente nell'umanità, ma è disceso anche nella debolezza e nel peccato. Molti di noi sono cresciuti con l'esperienza di un mondo che cammina verso il progresso, la perfezione; l'impotenza e la fragilità ci fanno paura, l'abominio ci paralizza.
Il Verbo ha aperto la strada perché l'uomo, che porta dentro di sé una nostalgia mai sopita, possa incontrare Dio, il Padre.
La Parola, che era venuta da Dio per cercare Adamo, non ritorna a mani vuote: apre la strada e riconduce gli uomini a lui. Anche chi, come Adamo, si nasconde per non incontrare il volto divino, trova ormai il cammino spalancato.
In una bella omelia attribuita al monaco Epifanio, vissuto intorno al 350, si legge questo accorato appello che Gesù rivolge ad Adamo: «Risorgi, mia icona, fatta a mia immagine, usciamo da qui! Tu in me e io in te, siamo infatti un'unica natura. Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te, uomo, ho condiviso la debolezza umana.»
Ecco descritti — con pregnanza d'immagini — l'amore di Dio e la grazia del Natale.
Il Natale è il «momento propizio», il kairòs decisivo. Se Dio ha condiviso la condizione umana, di nessun uomo si può disperare, nessuna sofferenza è lecito ignorare. Ogni frontiera di morte che ci separa da Dio è abbattuta, per sempre.
 

Massimo Grilli
da In ascolto della voce
Commento alle letture domenicali e festive
Anno B
EDB, Bologna 2011