A distanza di un mese l’uno dall’altra, p.Fausto Tentorio e sr.Valsha John
hanno il loro nome nel martirologio dei tanti missionari uccisi a causa
dell’impegno per la giustizia. Fanno parte dei martiri della carità, di una
lista che in questi ultimi anni continua ad allungarsi.
Chiamati per vocazione e per scelta alla promozione umana e alla difesa di
fratelli sfruttati ingiustamente, hanno denunciato con coraggio situazioni in
cui il sopruso dei forti si esercita sui deboli e il privilegio di pochi prevale
sul diritto di molti. Diventati scomodi e sgraditi a chi detiene un potere
arrogante e ingiusto, hanno pagato con la vita il prezzo dei loro ideali e del
loro lavoro. Il loro sangue, unito a quello di tanti martiri di ogni tempo e di
ogni luogo, «grida» silenziosamente a Dio un'implorazione di perdono per tanta
violenza insensata e di pietà per tanta sofferenza che continua a lacerare la
vita di uomini e donne in tante parti del mondo.
Suor Valsha John
Delle Suore della Carità di Gesù e Maria, sr.Valsha, 53 anni, nativa del Kerala,
(India meridionale) è stata assassinata a colpi d’ascia e di bastone, la sera
del 15 novembre scorso, nella sua abitazione, nel villaggio di Pachwara,
distretto di Pakur, nello stato indiano nord orientale di Jharkhand.
Sr.Valsha svolgeva da 20 anni la sua opera pastorale soprattutto fra i poveri,
gli emarginati, i tribali nel territorio della diocesi di Dumka. Secondo Arun
Oraon, ispettore generale della polizia locale, l’omicidio può essere opera di
“presunti maoisti, insieme con abitanti del villaggio”, inviati da funzionari
statali e potenti mafie per impedire alla suora di guidare le continue proteste
contro gli scavi illegali e la ridislocazione delle popolazioni tribali della
zona.
Lo Jharkhand è lo Stato con le maggiori riserve di bauxite, ferro e carbone,
principale fonte per la produzione di energia elettrica in India. La
potentissima industria indiana del carbone, terza per grandezza e giro d'affari
nel mondo, è prevalentemente gestita da cosche mafiose, che espropriano i
tribali delle loro terre, per poi farli lavorare nelle miniere sottopagati e in
condizioni disumane.
In difesa dei tribali
P. Nirmal Raj, provinciale dei Gesuiti che a Dumka lavoravano accanto a
sr.Valsha nella pastorale dei tribali, ha testimoniato l’audacia della
missionaria nel difendere i diritti di quelle popolazioni. Condivideva le loro
fatiche e difficoltà. Stava accanto alle comunità più emarginate – i gruppi di
etnia santhal e gli indigeni adivas – nel distretto di Pakur. P.Tom Kavala,
collaboratore di sr.Valsha per 15 anni, ha riferito all’agenzia Asia News che la
suora aveva creato un'organizzazione per frenare l'esproprio delle terre e
ottenere compensi dalle compagnie minerarie. «Sei anni fa una di queste lobby
cercò di appropriarsi di 9 villaggi e sr. Valsha mobilitò i poveri. I baroni del
carbone presentarono 33 denunce nei suoi confronti.
Una vita sempre a rischio per una donna consacrata che pareva incamminata verso
un diverso destino». Infatti subito dopo la professione religiosa aveva
cominciato a insegnare economia in una scuola del Sud. Ma poi chiese di
trasferirsi tra le miniere (e l'illegalità) a cielo aperto dello Jharkhand, per
sostenere le popolazioni native nella difesa dei loro diritti. Secondo una nota
inviata all’agenzia FIDES dal “Global Council of Indian Christians” (GCIC),
sr.Valsha «era stata più volte minacciata da potenti, diffidata dal contrastare
l’opera di compagnie come la Panem Limited. Le autorità statali, appartenenti a
partiti nazionalisti indù, avvisate delle minacce ricevute, hanno ignorato le
sue richieste di aiuto e l’hanno abbandonata a se stessa, lasciandola senza
protezione».
Secondo notizie di Amnesty International, nel 2007 sr.Valsha John era stata
arrestata per aver guidato la protesta degli adivasi contro un progetto di
estrazione del carbone della Panem Coal Mines, un consorzio costituito dalla
Compagnia elettrica dello stato del Punjab e dall’Agenzia per il commercio dei
minerali delle regioni orientali. Rilasciata su cauzione, aveva negoziato un
accordo con la Panem, che aveva acquisito i terreni che le interessavano in
cambio di una sistemazione alternativa degli adivasi che vi vivevano, di
opportunità di lavoro, servizi sanitari e scuole gratuite per i bambini.
Sr. Valsha conosceva i rischi cui andava incontro, -era stata sconsigliata a
rimanere anche dai suoi superiori- ma è rimasta a lottare fino alla morte per i
diritti dei suoi poveri.
I funerali di sr.Valsha sono stati celebrati il 20 novembre da p. Varkey Chenna
sj nella cattedrale di Dumka, alla presenza di oltre 700 persone, preti,
religiosi, amici e tribali provenienti dallo Jharkhand e dal Kerala.
Padre Fausto Tentorio
Nato il 7 gennaio 1952 a Santa Maria di Rovagnate (Lecco), e cresciuto a Santa
Maria Hoè, p.Fausto è stato ucciso il 17 ottobre scorso, davanti alla sua
parrocchia di Nostra Signora del Perpetuo soccorso ad Arakan, North Cotabato (Mindanao),
una delle zone più pericolose delle Filippine, piagate dal fondamentalismo del
Fronte di liberazione islamica Moro e di Abu Sayyaf, gruppo terroristico legato
ad al-Qaida. Quella mattina, p.Fausto stava salendo sulla sua auto per recarsi a
Kidapawan, a 60 chilometri dalla missione, a un incontro del clero diocesano.
L’omicidio, sicuramente premeditato e fino ad oggi ancora impunito, è da
leggersi in relazione all’impegno profuso in difesa delle popolazioni indigene,
i cui diritti sulla terra erano minacciati dagli interessi di grandi
latifondisti. Da oltre 32 anni lavorava a stretto contatto con la popolazione
locale dei Manobos, formando e organizzando piccole comunità montane. Cercava di
rispondere alle loro necessità quotidiane, ma questo l’ha inevitabilmente posto
nel “mirino” di forze molto potenti e interessate al possesso di quelle terre,
ricche di risorse minerarie. Già nel 2003 era sfuggito a un attentato, e in
quell’occasione era stato protetto dagli stessi Manobos, che l’avevano nascosto
in una „casa“ di paglia. Due anni fa era stato nuovamente minacciato.
Ma il padre non si rassegnava a vedere quelle terre depredate e i suoi abitanti
maltrattati con il silenzio connivente delle autorità governative. Lui era un
grande conoscitore di quegli indigeni, delle loro antiche culture e delle loro
lingue. Se ne prendeva cura come suoi figli, sapendo che erano sopravvissuti a
secoli di dominio coloniale, vittime di discriminazioni e soprusi. Stava al
fianco della sua gente, viveva con loro, formava in loro una coscienza critica
per aiutarli a difendersi, a costruire con dignità e fiducia il loro futuro,
nonostante le continue minacce delle multinazionali assetate di nuove risorse
naturali da sfruttare, di compagnie straniere sempre in agguato per comprare la
terra e cacciare gli abitanti.
Giustizia e dignità per i più deboli
P. Tentorio, appena ventiseienne, aveva cominciato nel 1978 la sua missione
nelle Filippine sotto la direttiva del PIME, (Pontificio Istituto per le
Missioni Estere). Dopo aver assolto i suoi doveri di sacerdote per la gente
delle città, si recava sempre presso le piccole comunità indigene che ancora
oggi vivono in mezzo alla natura, lavorando la terra e allevando bestiame.
Partiva in moto, in macchina o a cavallo per andare a trovare i gruppi tribali
più sperduti. Quando era con loro viveva come loro: dormiva su una stuoia in
terra, condivideva il loro cibo, si vestiva come loro, lavorava insieme a loro,
per edificare una Chiesa dove essere straniero o locale non crea emarginazione o
differenze ingiuste. Costruiva scuole e case impegnandosi per l’educazione di
bambini e adulti. Catechizzava le tribù portando la buona notizia di Gesù e
portando l’Eucarestia nei luoghi più aspri e dimenticati.
Membro del «Consiglio per la pace e l'ordine» nel municipio di Arakan, si era
opposto alla forte presenza militare che da anni caratterizza la vita sociale:
il governo di Benigno Aquino ha infatti confermato lo stanziamento di notevoli
contingenti militari per aumentare la sicurezza delle compagnie straniere
impegnate in attività estrattive a Mindanao. P.Tentorio si opponeva al Barangay
Defence System, rete di difesa che prevede unità militari dislocate anche in
luoghi pubblici come scuole e piazze.
Missione oltre la morte
P.Fausto non rinunciò alla sua missione, nonostante gli inviti dei familiari e
anche del PIME, di ritornare in Italia. Decise di rimanere a Mindanao per
l’evangelizzazione e la protezione dei più deboli. In un documento inviato ai
suoi superiori diceva: «Riconoscente a Dio per il grande dono della vocazione
missionaria, sono cosciente che essa comporta la possibilità di trovarmi
coinvolto in situazioni di grave rischio per la mia salute e incolumità
personale, a causa di epidemie, rapimenti, assalti e guerre, fino
all’eventualità di una morte violenta. Tutto accetto con fiducia dalle mani di
Dio e offro la mia vita per Cristo e la diffusione del suo Regno». P. Fausto ha
donato tutta la sua vita fino al martirio, e ora la sua missione continua oltre
la morte, assieme ai confratelli che lo hanno preceduto.
Tra questi, nell’aprile 1985 p.Tullio Favali che fu ucciso da un gruppo
paramilitare nel villaggio de La Esperanza a Tulunan, nella diocesi di Kidapawan
a Mindanao. Vi si era recato per soccorrere i catechisti e i responsabili di
quella comunità, minacciati dal clan dei Manero in quegli anni difficili del
governo di Marcos.
E nel maggio 1992 fu ucciso a Zamboanga, nella parte occidentale dell’isola di
Mindanao, anche p.Salvatore Carzedda, impegnato nel dialogo con i musulmani.
Il 25 ottobre scorso migliaia di persone hanno accompagnato la salma di P.
Fausto dalla chiesa di Notre Dame di Doloruman in Arakan fino alla Cattedrale di
Kidapawan dove è stato sepolto. Durante la settimana, precedente i funerali, i
tribali hanno pregato e dormito accanto alla sua bara, piangendo la perdita del
loro Tatay Pops (papà Pops come affettuosamente lo chiamavano).
Nel testamento che p.Fausto ha lasciato, si legge questo passo biblico: “Uomo,
ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te:
praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio”. (Michea
6,8).
Queste parole contengono in sintesi tutta la vita e la missione di p. Fausto
Tentorio. In verità, ha camminato umilmente con Dio, praticando la giustizia e
la bontà con amore in mezzo ai più poveri fra i poveri e gli emarginati come
sono state e sono ancora le popolazioni indigene filippine.
E come p.Fausto e sr.Valsha, hanno camminato tutti i martiri che già stanno
davanti al trono di Dio in vesti bianche, dopo averle purificate nel sangue
dell’Agnello. (cfr. Ap 7,14-15).