Ha ancora senso parlare di castità? Sembrerebbe quasi furori luogo, se si
pensa al modo con cui la sessualità è trattata dall’attuale società dei consumi.
Eppure la castità nella vita consacrata continua ad essere una sfida più che mai
attuale, in un tempo in cui tutto ciò che indica valori e scelte durature sembra
obsoleto se non irritante. Essa appartiene alla vera natura di ogni scelta
vocazionale, perché indica il senso di una opzione radicale e globalizzante che
la persona compie aderendo a un progetto di vita che non è temporaneo o
mutevole, ma dura nel tempo e nello spazio.
Ma c’è un altro motivo, per cui ne vale la pena parlare di castità: non solo fa
bene, ma è essa stessa un bene, un valore che permette di gustare la pienezza di
un benessere che va oltre la concezione di un piacere immediato, a cui la
società attuale sembra voler abituare. Infatti, ha un significato che trascende
l’aspetto regolativo, è una scelta collaborativa, una risposta dell’uomo a un
appello ricevuto, è un dono riconosciuto e apprezzato nella propria storia
affettiva, che dà unità a tutto il progetto vocazionale.
Questo lavoro avviene lungo il processo di crescita della persona, in un
itinerario di maturazione umana e spirituale dove la persona è chiamata a
realizzare una “positiva integrazione” della dimensione psico-affettiva con la
propria storia vocazionale. «La castità esprime la positiva integrazione della
sessualità nella persona e conseguentemente l’unità interiore del’uomo nel suo
essere corporeo e spirituale» .
Castità e affettività un binomio da rafforzare
«La rinuncia che il sacerdote e il religioso compiono nei confronti del
matrimonio non significa condurre una vita all'insegna dell'assenza di
sentimenti e di relazioni affettivamente significative (in tal caso avrebbero
ragione coloro che vedono nel celibato una situazione contraria alla natura
dell'essere umano); esso è piuttosto la conseguenza di una chiamata all'amore» .
La castità quindi non può essere disgiunta dal mondo emozionale della persona,
ma al contrario lo completa in modo pieno e coinvolgente. Diversamente, essa
rischia di ridursi a una pura formalità che svuota chi la pratica e ne
inaridisce lo spirito. Infatti, quando viene ignorata quella dimensione
propositiva della rinuncia celibataria, che è intimamente connessa al progetto
di vita aperto al Trascendente, si enfatizzano gli aspetti che servono a
regolare il comportamento della persona su ciò che è lecito e ciò che è
illecito, senza cogliere però la dinamica costruttiva di un amore gratuito e
totalizzante.
«La rinuncia indica come un soggetto possa perseverare in una scelta pur non
avendo ricevuto le gratificazioni attese, giungendo anzi a disattenderle
consapevolmente. Questo può accadere perché la motivazione affettiva della
persona non è unicamente legata al piacere e alla soddisfazione immediata; essa
sa piuttosto guardare oltre, verso un bene e un valore più grandi» .
Per i consacrati la rinuncia è piena partecipazione a una dinamica educativa che
plasma il desiderio non appagato, forgiando un modo nuovo di vivere le emozioni
e i sentimenti. È l’educazione di questo desiderio, temprato dal lavoro di
conversione quotidiana, che aiuta a trasformare i vissuti psico-affettivi della
persona nel riflesso di un amore infinito che sgorga dalla profondità misteriosa
della carità trinitaria.
Ecco perché la castità non si riduce a una mera assenza di sessualità, ma è
presenza rinnovata di una affettività capace di partecipare al progetto di amore
che Dio ha per l’umanità. Così come essa non è rinuncia del desiderio di amore,
ma è trasformazione di tale desiderio, perché diventi vero servizio ai fratelli
attraverso una dedizione che coinvolge la totalità della persona. Se non si
impara a rinunciare in modo costruttivo, difficilmente si potrà apprezzare il
dono ricevuto.
Quando la castità è un peso insopportabile
A volte, quando si parla di castità si corre il rischio di fermarsi al
significato idealizzato di un’affettività sradicata dalla realtà della persona;
oppure, al contrario, ci si ferma agli aspetti fisiologici o comportamentali da
tenere sotto controllo.
In questo modo si tende a presentare una visione parziale della consacrazione
celibataria, perché se da una parte si sottolinea solo la potenziale capacità di
amare della persona, dall’altra si enfatizzano le forze pulsionali da gestire.
Questa prospettiva unilaterale rischia di passivizzare l’ideale di un amore
indiviso, soprattutto quando si tende a far coincidere il funzionamento morale
(“non devo fare certe cose”) con il valore centrale del dono totale di sé
(“voglio mettermi al servizio degli altri”).
Si avranno allora persone molto caste e pudiche, ma incapaci di amare per la
loro rigidità interiore, e altre molto aperte e disinvolte nelle relazioni
affettive, ma incapaci di gestire il loro mondo pulsionale. «Bisogna essere
molto attenti ai ventenni già "vecchi" e spompati, senza problemi perché senza
grandi ideali e con il cuore già in pensione; o a certe vocazioni adulte (non
proprio "giovanili", come si dice oggi) che sanno già tutto in materia e credono
di non aver bisogno di aiuto (e a volte si improvvisano direttori spirituali dei
più giovani "inesperti"). Attenti ai troppo casti e ai troppo seri, a chi è
rigido e freddo, ma anche a chi ha già risolto ogni problema e non ha nessuna
difficoltà e crede di poter leggere tutto, sentire tutto, vedere tutto (...). A
volte sono i tipi meno affidabili! La presunzione è un altro pessimo indicatore
prognostico» .
«Ciò che mi preoccupa di più, diceva un formatore durante un workshop di
formazione, è quando mi trovo di fronte a persone che non hanno più niente da
imparare!ۚ»mm. Non c’è niente di peggio per la castità: pensare di essere
arrivati, credere che non ci sia più nulla da cambiare, pretendere di avere
sotto controllo le proprie pulsioni.
Quando la castità viene svuotata della sua chiarezza carismatica, le conseguenze
per la persona diventano disastrose, perché si crea un profondo divario tra le
parole professate e la vita vissuta, tra un amore idealizzato centrato su
aspirazioni personalistiche, e la realtà della propria affettività e del proprio
modo di vivere la sessualità.
La castità rischia allora di diventare una regola più o meno meritoria, una
buona condotta che affascina sé e gli altri, ma che lascia del tutto irrisolta
la necessità di un atteggiamento educativo radicato nel proprio stile di vita,
indispensabile per far fronte alle normali difficoltà di un’affettività che
esige risposte coerenti nella vita relazionale di ogni giorno.
Infatti, quando la persona vive una castità tutta incentrata sullo sforzo di
liberarsi da una sessualità vissuta come pericolosa, essa potrebbe relegare lo
zelo di un amore indiviso in una sterile regolazione omeostatica, tesa a
disciplinare gli impulsi senza più sapere il “perché” di tale sacrificio.
In altri termini, se si perde di vista il senso della rinuncia la persona dovrà
trincerarsi dietro dei meccanismi di difesa che servono a proteggersi dalle
proprie insicurezze, per non restare in balia della paura del proprio mondo
pulsionale. Tale atteggiamento porta però a distorcere la propria affettività e
le proprie emozioni con conseguenze molto negative, che possono essere
amplificate dal modo di vivere il rapporto con gli altri .
Un coinvolgimento amorevole
Il rovescio della medaglia porta a considerare la castità come nuova capacità di
amare, dove la persona tende a canalizzare l’energia vitale della propria
sessualità e della propria affettività verso relazioni intense e libere,
caratterizzate da qualità umane vissute secondo un modello di vita che
corrisponde al progetto vocazionale ricevuto da Dio.
Una castità aperta al Trascendente, vissuta dentro un progetto di risposta
vocazionale, comporta infatti non solo delle scelte rinunciatarie (per esempio,
di comportamenti sessuali inadeguati, di pensieri inopportuni, di desideri
immorali…), ma soprattutto il coinvolgimento in comportamenti correlati alla
propria opzione di vita. Tale prospettiva arricchisce la persona perché permette
di rivalutare le sue potenzialità e le sue risorse in un progetto dove le
diverse componenti affettive, come le relazioni interpersonali, i vissuti
emozionali, gli stessi impulsi sessuali, diventano una sfida a fare delle scelte
che siano veramente coerenti con la propria vocazione e col proprio stile di
vita. Solo così il consacrato potrà assegnare una direzione unitaria al suo
bisogno di amare e di essere amato.
Infatti, prendendosi cura della propria vita affettiva e della propria castità,
egli potrà non solo contenere le pulsioni ma anche integrare le diverse
componenti biologiche, fisiologiche, pulsionali e motivazionali, dentro una
prospettiva progettuale che si traduce in comportamenti oblativi concreti.
Ciò richiede un continuo lavoro di tessitura delle diverse componenti
psico-affettive della persona: un adeguato sentimento di fiducia verso di sé e
verso gli altri, un sufficiente senso di autonomia, la fedeltà al proprio piano
di vita e agli impegni ad esso correlati, la capacità di riconoscere e trattare
i propri limiti e le proprie fragilità. In tutto questo, la castità rappresenta
una forza distintiva che orienta l’individuo verso l’obiettivo di fondo della
sua consacrazione, che è quello di amare come Cristo ha amato.
Quando la sessualità non fa più paura
Quando si pone l’accento sui doni presenti (a livello fisiologico, psicologico e
affettivo), la persona sarà capace di accrescere il senso di coerenza interiore
tra l’ideale professato di un amore totalizzante e i vissuti reali della propria
sessualità. Ciò facilita una sana percezione di sé e permette di aprirsi alle
ricchezze che provengono dal mondo delle relazioni.
Infatti, sentirsi affettivamente adeguati permette di riconoscersi capaci di
amare e di ricevere amore dagli altri. «La certezza della propria amabilità,
elemento fondamentale per la soluzione del problema dell’identità, è qualcosa
che s’acquisisce non elemosinando eventuali segni d’affetto e gesti
gratificanti, ma scoprendo un dono che c’è già (l’amore del Dio creatore), e che
va pure scoperto e riscoperto nella lettura della propria storia, come dato in
ogni caso più sostanziale e rilevante dell’inevitabile limite in essa presente»
.
L’accettazione di sé come persona amabile in quanto creatura di Dio, apre a una
visione di valore dell’amore e della vita. Non solo, ma aiuta anche a crescere
nelle diverse dimensioni della propria umanità, contemplando le tante meraviglie
dell’esistenza, come la bellezza, la giustizia, la verità, la bontà, la purezza,
la generosità, e promuovendo relazioni genuine, con cui sperimentare la gioia di
un amore pieno. È solo con questa autentica reciprocità relazionale, «riflesso
dell'amore infinito che lega le tre Persone divine nella profondità misteriosa
della vita trinitaria» , che la persona potrà sperimentare uno stile di vita
conforme a quello di Cristo, che ha fatto della sua esistenza un dono totale di
amore per gli altri.