“Maestro Dove abiti? Venite... Andarono, videro... e rimasero con lui. I
superiori e le superiore maggiori della Spagna hanno scelto questo passo del
Vangelo di Giovanni (1, 39) come tema della loro XVIII assemblea generale che
hanno celebrato a Madrid dal 15 al 17 scorso e che ha avuto come argomento
centrale la situazione di scarsità attuale delle vocazioni.
All’assemblea ha preso parte anche il segretario della Congregazione per gli
istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, Joseph W. Tobin, il
quale ha svolto il tema La vita religiosa oggi: sfide e speranza, scegliendo
come fonte di ispirazione la lettera di Paolo ai Filippesi. E la speranza ha
costituito il filo conduttore anche della prolusione del presidente della CONFER,
p. P. Elías Royón sj, ed è stata al centro della relazione del p. Juan Carlos
Martos, incaricato delle vocazioni nella sua congregazione dei missionari
claretti ani, autore anche di un’opera di notevole valore, intitolata Aprire il
cuore. Pastorale vocazionale in tempi difficili, ma formidabili .
Non c’è stato spazio quindi in questa assemblea per il pessimismo e tanto meno
per lo scoraggiamento.
P. Royón in apertura dei lavori dell’assemblea, ha detto infatti: «Dobbiamo
essere dei “samaritani della speranza” nel nostro mondo e nella nostra cultura,
così pervasa di delusione. Una speranza che è a fondamento delle nostre vite e
oggetto della nostra azione evangelizzatrice nel mondo; una speranza radicata in
Cristo che ci esorta costantemente a rinnovare la nostra vita di consacrati e di
apostoli, a “nascere di nuovo”, a “rinascere dall’acqua e dallo Spirito” (cf. Gv
3)».
«Bisogna essere consapevoli, ha sottolineato, che il futuro della vita
consacrata non si gioca, come alcuni ritengono, sul numero delle persone
presenti nelle congregazioni. Il suo futuro, e quindi la sua speranza, sono
fondati sulla qualità della nostra vita al seguito di Gesù; nella gioia e
radicalità con cui testimoniamo Gesù Cristo nel nostro mondo».
Ciò non vuol dire che non ci debba essere la preoccupazione per la diminuzione
delle vocazioni, «ma bisogna che questa preoccupazione sia evangelica e non
ansiosa, che a muoverci sia più il desiderio che si compia la volontà di Dio che
non l’angustia di avere dei continuatori che abbiano o sostenere determinati
compiti o attività apostoliche che riteniamo insostituibili. Certo, sono
importanti i nostri progetti apostolici, ma quello che deve preoccuparci
maggiormente è che i carismi dei nostri istituti, che lo Spirito ha donato alla
sua Chiesa, continuino a generare vita. In questo modo il nostro protagonismo
diminuisce e cresce in noi la coscienza della gratuità e di essere semplicemente
“servi della missione” di Cristo».
Gli interrogativi a cui rispondere, e che p. Royón ha affidato alla riflessione
dell’assemblea, andavano perciò al vivo dei problemi che oggi ci toccano da
vicino: la vita religiosa nel nostro tempo è “generatrice di vita”; attira i
giovani, suscita il desiderio di essere imitata, seduce e diffonde entusiasmo?
Non sarà forse che la vita consacrata ha cessato di essere profumo di Cristo
dentro la stessa Chiesa? E suoi modi di vivere e di agire, dal punto di vista
personale e comunitario, hanno cessato di avere questa “sovrabbondanza di
gratuità che contagia e attira i giovani più generosi? (cf. Vc 104).
Una crisi dovuta a tante ragioni
Nonostante le esperienze di speranza (come quella della Giornata mondiale della
gioventù della scorsa estate a Madrid), bisogna tenere presente che viviamo in
quadro socioculturale ed ecclesiale complesso che rende difficile la dimensione
religiosa e, a maggior ragione, l’ascolto, la risposta vocazionale e la capacità
di intendere la vita come vocazione. «Perciò, ha sottolineato p. Royón, si può
affermare con oggettività che la crisi vocazionale non è da attribuire ai
difetti e alle debolezze dei religiosi, come a volte si scrive e si dice.
Bisogna riconoscere che la maggior parte delle cause, nella loro origine e
natura, sfuggono alla nostra capacità di cambiarle o farle scomparire. Tuttavia
una lettura della realtà che ci circonda deve indurci a domandarci che cosa ci
sta chiedendo il Signore in questa ora di rinnovamento e di cambiamento. Senza
dimenticare che la principale preoccupazione deve riguardare più la qualità che
non il numero dei candidati».
Indubbiamente, ha proseguito p. Royón, la vocazione è un dono di Dio, un dono
gratuito che bisogna chiedere al Signore, sia personalmente che
comunitariamente. Ma è un dono anche condizionato ai nostri sforzi per
suscitarlo e scoprirlo. Il Signore continua a chiamare, ma a volte forse noi non
stiamo impiegando tutti i mezzi e le risorse necessari per collaborare con
questa grazia, come ebbe a dire p. Kolvenbach, preposito generale dei gesuiti,
nelle lettere dell’8 novembre 1993 e del 29 settembre 1997.
Pertanto, «starcene tranquilli, più o meno soddisfatti, considerando la nostra
incapacità a influire sui tanti fattori socioculturali che ostacolano l’ascolto
della chiamata, sarebbe un esercizio di irresponsabilità, anche se non è questo
l’atteggiamento adottato dalla maggioranza delle famiglie religiose».
Occorre un “salto di qualità”
Nella pastose delle vocazioni e nella “cultura vocazionale” è necessario oggi un
“salto di qualità”, ha affermato p. Royón. E questo è suggerito dalla risposta
di Gesù alla domanda dei discepoli: Venite e vedrete. Ciò che viene chiesto è la
“visibilità” e la “trasparenza” della vita dei consacrati: visibilità e
trasparenza in grado di suscitare interrogativi. Bisogna che colui che è
“chiamato” dal Signore “possa vedere” come una vita risponda a una chiamata: «I
giovani di oggi sono più interessati alla testimonianza di vita che alle
dichiarazioni di intenti e cercano segni che lascino trasparire la coerenza di
vita».
Più ancora: in una cultura che esalta e premia l’efficacia e il successo, la
visibilità che la vita consacrata deve cercare è la trasparenza nel modo di
vivere e di agire, una visibilità che mostri la coerenza tra vita e missione;
che renda visibili ai nostri contemporanei gli atteggiamenti di Gesù e i valori
delle Beatitudini, che sia espressione di ciò che ogni famiglia religiosa è;
segno di ciò che la distingue e le è specifico nella Chiesa.
Ciò che attira maggiormente i giovani
Un importante fattore di visibilità è senza dubbio la vita comunitaria. Forse è
in fattore che attira maggiormente oggi i giovani, ossia gli atteggiamenti
comunitari come l’accoglienza, la fraternità, la semplicità, l’ospitalità, il
perdono, la misericordia... e il desiderio di condividerli.
Un altro elemento decisivo di visibilità sono la povertà e semplicità di vita.
La povertà personale e comunitaria è una condizione inequivocabile della nostra
credibilità e i giovani hanno una sensibilità speciale per percepirla. Di fronte
agli atteggiamenti e ai valori della cultura dominante, la vita di povertà
evangelica costituisce una testimonianza controculturale della gratitudine, e
lascia trasparire che desideriamo vivere di Dio e per Dio, senza fare
affidamento sui beni materiali. «Pertanto, il terreno propizio perché venga
suscitata e prosperi una vocazione – ha osservato p. Royón – è senza dubbio il
contagio di un ambiente in cui la sequela di Gesù è vissuta con gioia,
convinzione ed entusiasmo, capace di creare uno spazio in cui sia possibile
vivere con speranza. Un clima del genere affascina e suscita il desiderio di
condividere questa vita. Non possiamo dimenticare l’importanza che il fascino e
il desiderio occupano nei processi vocazionali... Di conseguenza l’ambiente che
si respira all’interno della vita consacrata trasmette desideri di donazione
incondizionata al Signore, la gioia nel vivere la radicalità evangelica e la
speranza di condividerli... La sequela di Gesù vissuta e condivisa con altri
manifesta i frutti dello Spirito: gioia, pace e speranza (cf. Gal 5,22).
Infine, ha sottolineato p. Royón, un posto importante nell’animazione
vocazionale occupa anche la missione. Perciò «la promozione vocazionale non può
rimanere estranea al compito ricco e vario dell’evangelizzazione dei religiosi e
delle religiose che esige disponibilità radicale e servizio gratuito».
P. Royón ha concluso il suo intervento affermando: «la crisi attuale delle
vocazioni ecclesiali non può essere in alcun modo motivo di scoraggiamento e di
mancanza di speranza, ma di preoccupazione fiduciosa».
Perché una pastorale vocazionale
Il tema della speranza ha attraversato anche tutta la relazione del p. Juan
Carlos Martos, il quale dopo aver tracciato una breve radiografia su ciò che sta
avvenendo, si è chiesto la ragione per cui dobbiamo tener viva la pastorale
vocazionale. Perché, ha affermato, Dio continua a chiamare, perché l’annuncio
del Regno non può mai essere disgiunto dalla vocazione, perché la chiamata di
Dio continua a essere accolta con generosità, perché la vita consacrata è opera
di Dio ed è per la Chiesa una culla di vocazioni.
Si poi domandato come promuovere oggi l’animazione vocazionale. Anzitutto, ha
affermato, evitando atteggiamenti allarmistici non fondati. Purtroppo, ha
aggiunto, la pastorale vocazionale è spesso fatta da pochi animatori, molto
fragili, e sterile nei risultati.
Ma da dove cominciare? Il primo obiettivo dovrebbe consistere nel comunicare
stimoli credendo che è possibile: «Ciò di cui abbiamo bisogno non sono le
critiche demolitrici che ci opprimono, ma le parole di incoraggiamento che
ravvivino l’entusiasmo».
In secondo luogo, ha sottolineato, bisogna che l’animazione vocazionale si
dispieghi in tutte le direzioni, cominciando da una coscientizzazione di noi
stessi e delle comunità religiose. In altre parole, «dobbiamo vivere
consapevolmente il nostro carisma e testimoniarlo nella sinfonia vocazionale di
tutta la Chiesa perché, se manca questo, sarà impossibile mantenere tutto il
resto».
Ma occorre anche affrontare due problemi cruciali: l’accompagnamento
personalizzato e i nostri stili di vita religiosa come modelli credibili e
attraenti. In effetti, «non si può favorire una pastorale vocazionale dove non
c’è un’attenzione a ciascuna persona concreta e dove non c’è nei religiosi una
tensione di coerenza e di fedeltà alla propria vocazione».
Elementi da curare
P. Juan Carlos Martos si è chiesto quali sono gli elementi di cui aver cura
affinché nasca e si sviluppi una cultura vocazionale. In effetti, «se non
rispondiamo a questo interrogativo, corriamo il pericolo di mettere in piedi una
struttura sul nulla».
A suo parere, sono tre le componenti di questa cultura: la mentalità (o
componente intellettuale), che si esprime in una teologia vocazionale assunta e
condivisa; la sensibilità (o componente affettiva) che instaura una spiritualità
vocazionale ispirata al proprio carisma; e la prassi (o componente
comportamentale) che genera una pedagogia vocazionale applicata.
Il padre ha insistito molto in particolare sull’importanza di una spiritualità
vocazionale (seconda componente) che deve svilupparsi in due direzioni: verso
una crescente coerenza e fedeltà come religiosi e verso la responsabilità di
cooperare affinché altri scoprano la loro vocazione. «Se non c’è interesse per
la spiritualità, la pastorale vocazionale è inutile. Perciò la teologia
vocazionale deve tradursi in spiritualità vissuta e in itinerari spirituali da
proporre in termini facili affinché tutti capiscano e li possano percorrere.
Ma come raggiungere questa spiritualità vocazionale attiva? – si è chiesto il
padre. E ha risposto proponendo la sequenza di quattro movimenti concatenati tra
loro: preghiera, desiderio, azione e passione. Bisogna soprattutto evitare il
rischio di ridurre l’azione alle attività. Ci vuole un fuoco interiore perché
«se il fuoco brucia dentro, viene di conseguenza anche l’azione, ma, al
contrario, «se non c’è il fuoco, tutti i progetti e i programmi nascono morti,
come sovrastrutture che affondano e opprimono».
Infine, un’adeguata pedagogia vocazionale, deve svilupparsi attorno a questi
presupposti: la semina del germe vocazionale nella terra buona che esiste nel
cuore di tutti, la proposta, che non deve mai mancare, e l’accompagnamento,
attraverso il dialogo e il discernimento.
Durante l’assemblea, oltre al contributo dei gruppi di studio, c’è stata
un’interessante riunione di religiose e religiosi anziani che hanno espresso ai
superiori e alle superiore la gioia di vivere la loro vocazione religiosa nella
terza età, condividendo la loro testimonianza di vita e la loro vasta esperienza
in quanto consacrati. I loro interventi hanno trasmesso all’assemblea un soffio
di freschezza e di felicità, quello di una vita consacrata impegnata e vissuta.
Hanno onorato l’assemblea con la loro presenza, oltre a mons. Joseph W. Tobin,
anche il cardinale arcivescovo di Madrid Antonio María Rouco Varela, e il nunzio
apostolico, Renzo Fratini.