è a tutti nota la trasformazione subita dal Natale nel mondo contemporaneo da festa religiosa, celebrata dalla liturgia ed espressa popolarmente nel presepio, a operazione commerciale e consumistica. Ci si prepara alla festa facendo shopping nei negozi e nei supermercati o godendo delle luminarie, che adornano le strade, o addobbando doviziosamente l’albero di Natale.
Che fare? Rassegnarsi alla moda corrente o scoprire il significato vero di questa festa?
A questa seconda opzione invita già dal lontano 1973 Joseph Ratzinger, allora docente all’Università di Regensburg:
«Di fronte all’alienazione ed al travisamento, di cui sono fatti oggetto, in misura crescente, l’avvento ed il tempo di Natale, nell’ambito della Chiesa stessa è sorta dal profondo della fede una viva nostalgia per un vero avvento: si è fatta sentire l’insufficienza di una semplice disposizione d’animo, dei soli sentimenti, sia pur tanto belli, e noi desideriamo nuovamente quel nucleo, quel saldo e robusto nutrimento dello spirito, il cui ultimo riflesso è rimasto nel sentimento pio ed edificante del «santo e lieto tempo di Natale» .

Vivere con Maria Il tempo natalizio

Il primo compito del cristiano è quello di non smarrire la figura del Bambino Gesù, come trasmessa dalla fede della Chiesa, in mezzo alle preoccupazioni quotidiane e alle luminarie della festa. Hodie Christus natus est, proclama la liturgia di Natale, invitando a fare nascere Cristo nei nostri cuori oggi. La Chiesa non parla di Gesù come di una figura trascendente chiusa in se stessa, ma come di un Dio-per-noi: «Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e si è fatto uomo nel seno della Vergine Maria» (Credo). Dobbiamo conoscere e vivere il mistero di Cristo.
Proprio a questo punto si presenta la figura della Vergine Maria, così intimamente legata all’attesa messianica e al mistero dell’incarnazione da emergere come il tipo ecclesiale per vivere il tempo liturgico dell’avvento-Natale.
Questa esemplarità di Maria spiega perché la Chiesa in tale tempo, celebrando il mistero di Cristo presente nella storia ieri, oggi e sempre, ricorda frequentemente la Vergine Maria. All’inizio dellAvvento troviamo la solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, che costituisce una «preparazione radicale (cf. Is 11,1.10) alla venuta del Salvatore» (Marialis cultus, 4). Poi, soprattutto nelle ferie dal 17 al 24 dicembre la liturgia fa frequente riferimento alla Vergine, leggendo episodi evangelici relativi alla nascita imminente di Cristo: l’annunciazione dell’angelo a Maria, la visita ad Elisabetta, il canto del Magnificat, la nascita di Giovanni Battista e il cantico di Zaccaria. Per antica consuetudine è dedicata alla Madre di Dio l’ultima domenica di Avvento, nella quale risuona la voce profetica di Isaia sull’Emmanuele e sulla Vergine Madre.

La Vergine  in attesa

Dal punto di vista storico, nella «pienezza dei tempi» (Gal 4,1), l’atmosfera spirituale del giudaismo era abitata da fremiti che la proiettavano non già al passato con le sue delusioni o al presente con le sue contraddizioni, ma all’avvenire nella speranza di un intervento salvifico e risolutore di Dio.
Ebbene, l’attesa messianica del popolo d’Israele è come concentrata in Maria, che attende con immenso amore il Messia-re, lo genera e lo dona alla luce per la salvezza del mondo.
Dal racconto dell’annunciazione risulta che Maria vive nell’attesa del Messia, senza cui non avrebbe afferrato le parole dell’angelo. Infatti il Figlio che le è annunciato assume i tratti di una figura regale, presentata con espressioni veterotestamentarie: «Egli sarà grande e verrà chiamato figlio dell’Altissimo. Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà mai fine» (Lc 1,32-33).
Qui è chiaramente delineato il Messia-Re, germoglio della casa di Davide secondo la profezia di Natan. «Si annuncia la sua grandezza, la sua qualità di Figlio dell’Altissimo e la sua condizione di successore di Davide in un regno eterno» . Già dal saluto: «Rallegrati, colmata di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28), Maria ha potuto capire che erano giunti per lei i tempi messianici. Il parallelismo con la profezia di Sofonia è innegabile e non può essere casuale: «Gioisci, Figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! ([…). Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente» (Sof 3,14-17). Questa referenza spiega il turbamento di Maria che ha potuto concludere: dunque è giunta per me e per il popolo il Messia promesso!

La condizione verginale di Maria

Ma c’è un fatto che complica l’annuncio: la condizione verginale di Maria, non facile a comprendere, ma verosimile in un contesto di attesa del messia escatologico, che esploderà con Giovanni Battista davanti a tutto Israele. Certo non possiamo considerare l’obiezione di Maria un “artificio letterario” (S. Muñoz Iglesias) per far avanzare il discorso dell’angelo. Interpretazione tutt’altro che convincente, perché risolve l’obiezione della Vergine negandola e riducendone la forza, senza pensare che altrettanto bisognerebbe fare con quella di Zaccaria, il quale non risulterebbe vecchio e senza figli, perché anche essa sarebbe un “artificio letterario”. In questo caso la storicità del terzo vangelo, su cui Luca insiste nel prologo, svanirebbe nel nulla.
Il Messia atteso da Maria è certamente il germoglio di Davide (Ger 23,5; Zac 6,12) che regnerà per sempre, ma non avrà i connotati del guerriero politico nazionale desiderato dagli zeloti, perché nel gruppo dei Poveri di JHWH si attende un messia non arrogante ma mite, che presterà particolare attenzione ai devoti indigenti.
La visita ad Elisabetta mette Maria di fronte al messianismo della cerchia di Zaccaria, che si esprime nel Benedictus (Lc 1,68-79) e vede la venuta del messia come una “visita”, cioè un intervento libero e gratuito di Dio, con cui egli apporta redenzione, salvezza, liberazione dai nemici, remissione dei peccati… Tutto è collocato nel ricordo «della santa alleanza» di Abramo e di Mosè (Lc 1,72).

Tra i poveri del Signore

Giustamente il concilio vaticano II pone Maria tra i poveri del Signore che lo attendono e lo accolgono, poiché con lei, eccelsa Figlia di Sion, «si compiono i tempi e s’instaura una nuova economia» (LG 55). Maria ha atteso il Messia annunciato a lei da Gabriele come il re che avrebbe regnato per sempre sulla casa di Giacobbe.
La tradizione cristiana formalizza questo atteggiamento nel tipo iconografico della Vergine in attesa. Talvolta ci si limita alla raffigurazione di lei incinta, come avviene nella famosa Madonna del parto di Piero della Francesca. Più spesso Maria è rappresentata con il ventre visibilmente gonfio, in atto di leggere un libro che può essere la Bibbia o il cantico del Magnificat. Infatti la spiritualità di Maria è ispirata alla parola di Dio, che diviene lampada per i suoi passi e prezioso strumento di preghiera. E d’altra parte il Magnificat che Luca le attribuisce perché certamente rivela la sua spiritualità, è pronunciato da Maria proprio durante la gravidanza quando visita la parente Elisabetta.
Come si vede, l’avvento facilita quanto si dovrebbe sperimentare in ogni tempo dell’anno liturgico: ispirarsi a Maria quale modello dell’atteggiamento spirituale con cui la Chiesa celebra e vive i divini misteri (Mc 16). Si comprende pertanto la direttiva di Paolo VI nella Marialis cultus, che orienta i fedeli verso il culto di Maria soprattutto durante il tempo liturgico dell’Avvento: «Vogliamo osservare come la liturgia dell’Avvento, congiungendo l’attesa messianica e quella del glorioso ritorno di Cristo con l’ammirata memoria della Madre, presenti un felice equilibrio cultuale […] e faccia sì che questo periodo debba esser considerato un tempo particolarmente adat¬to per il culto alla Madre del Signore (Mc 4)».

La Vergine Madre

Sappiamo che anche nel mistero della sua origine temporale Cristo è il protagonista assoluto. Con l’incarnazione «l’Eterno entra nel tempo, il Tutto si nasconde nel frammento, Dio assume il volto dell’uomo», anzi più chiaramente «il Verbo si è fatto carne» (Gv 1,14) e diviene l’unico mediatore tra Dio e l’uomo, ieri, oggi e sempre (1Tm 2,5; Eb 8,6; 9,15; 13,8).
Orbene, in quale modo il Verbo diviene uomo e quindi unico mediatore tra Dio e l’uomo?
Alla luce delle fonti neotestamentarie non c’è dubbio che l’«umanizzazione» del Verbo è avvenuta in Maria e per mezzo di Maria. Il Figlio di Dio infatti è «nato da donna» (Gal 4,4), poiché «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo» (Mt 1,16). Egli sarà sempre «il figlio di Maria» (Mc 6,3) e Maria sarà sempre «la madre di Gesù» (Gv 2,1; 19,25).
Ne derivano due conseguenze di alto profilo teologico.
Innanzitutto, Cristo non è piombato dal cielo sulla terra come un meteorite, ma ha avuto una madre che l’ha portato nel grembo durante la gravidanza, l’ha partorito a Betlehem, l’ha nutrito con il suo latte come qualsiasi altra mamma del mondo. Poiché Gesù ha una madre, vengono a cadere le interpretazioni gnostiche e docetistiche, che attribuivano a Gesù un corpo apparente e vedevano nell’incarnazione un rivestimento provvisorio della divinità. Maria entra in primo luogo in questa difesa della carne di Cristo, divenendo un test di ortodossia cristologica, cioè di garanzia della reale incarnazione del Verbo: con lei si salva il realismo dell’incarnazione, per cui Gesù sarà sempre il frutto benedetto del suo grembo (Lc 1,42).
In secondo luogo, poiché il termine della maternità di Maria è il Figlio di Dio, Maria è Theotokos – come la definisce il concilio di Efeso (431) – in quanto ha generato non la natura divina, ma la persona divina preesistente del Verbo secondo la natura umana. La Vergine di Nazaret è la Madre di Dio, cioè del Verbo incarnato o del Figlio di Dio fatto uomo. L’occidente si chiede se l’essere di Maria è stato toccato e trasformato essenzialmente dalla maternità divina. Bruno Forte risponde positivamente asserendo: «È lo stesso essere profondo della Madre di Dio che è stato forgiato dal Padre a immagine della sua fecondità di Generante, in modo da porsi come “essere materno” (esse maternale), costitutivamente legato all’intera vicenda – temporale ed eterna – della Vergine santa. Senza questa partecipazione ontologica alla potenza generativa del Padre, donatole per grazia, Maria non avrebbe potuto generare il Figlio di Dio».
Si tratta di un «essere materno», non transitorio ma permanente, perché la relazione madre-figlio oggi non è considerata qualcosa di accidentale, ma un evento che trasforma radicalmente la vita di una donna.

Si racconta che un rabbino andò alla finestra per guardare il mondo. Non notando nessun miglioramento, rientrò dicendo mestamente: «Il Messia non è ancora venuto».
Noi cristiani siamo invitati dalla liturgia, soprattutto in questo tempo forte dello spirito, ad operare in noi e nelle istituzioni un cambiamento che ci conduca a vivere in pienezza la vita divina, comunicata a noi al Padre mediante Cristo nello Spirito. Un aiuto efficace troviamo in Maria, figura della Chiesa che attende il Signore, ne medita il mistero, ama, serve e si dona in una totale disponibilità: «Eccomi, sono la serva de Signore. Avvenga in me secondo la tua parola» (Lc 1, 38).
Perciò nel periodo dell’Avvento, «tempo particolarmente adatto per il culto della Madre del Signore» (Mc 4), con Maria, fiore d’Israele e figura della Chiesa, andiamo incontro al Signore che viene «vigilanti nella preghiera, esultanti nella sua lode», impegnati nel servizio di amore verso il prossimo.