All’indomani della partenza del papa «nei cuori dei beninesi rimane una gioia profonda e una totale soddisfazione per il successo della visita ma soprattutto per la profondità dei messaggi diffusi durante la sua permanenza» dice all’agenzia Misna Jean Marie Agoi, presidente della Caritas Benin. «Le sue parole semplici, chiare, forti e comprensibili a tutti rimarranno a lungo nelle coscienze e stanno già alimentando riflessioni sia a livello politico che sociale» – aggiunge Agoi –, sottolineando che «con la sua autorità morale Benedetto XVI ha invitato tutti i dirigenti politici e ognuno di noi singolarmente a contribuire, in qualità di africani, allo sviluppo del nostro continente».
L’Africa è una “terra di speranza”: questa è stata la “convinzione” che ha spinto papa Ratzinger a visitare per la seconda volta un continente verso il quale nutre «una stima e un affetto particolari», come ha confidato domenica 20 novembre, al momento di congedarsi dal paese africano. Un viaggio breve ma intenso, che ha avuto anche alcuni risvolti politici attraverso il messaggio “forte e coraggioso” – così lo ha definito Urbain Amegbedji, segretario del centro “Afrika Obota –, contenuto nel discorso pronunciato al Palazzo della Repubblica, davanti al presidente Thomas Boni Yayi e ai ministri, per chiedere il «buon governo e la fine della corruzione che non fa altro che uccidere le speranze dei popoli».

Tre gli obiettivi della visita apostolica


Tre gli obiettivi della visita apostolica nel piccolo stato africano: il primo era la celebrazione del 40° anniversario delle relazioni diplomatiche del Benin con la Santa Sede e del 150° anniversario della sua evangelizzazione; il secondo, l’occasione di poter consegnare “in terra africana” l’esortazione post-sinodale Africae munus; il terzo, più personale e affettivo, era legato all’amicizia verso la figura e la personalità del card. Bernardin Gantin (1922-2008): «Mi è parso giusto venire nel suo paese natale per pregare sulla sua tomba e ringraziare il Benin di avere dato alla Chiesa questo figlio eminente». «Ho sempre ammirato la sua intelligenza pratica e profonda; il suo senso del discernimento, del non cadere su certe fraseologie, ma di capire che cosa fosse l’essenziale e che cosa non avesse senso» ha detto il papa. E ha sottolineato una caratteristica del suo carattere: «Il suo vero senso d’umorismo, che era molto bello. E soprattutto era un uomo di profonda fede e di preghiera».
La visita del pontefice si è articolata nell’arco di tre giornate intense, fitte di appuntamenti e di emozioni indimenticabili, in cui sono state gettate le basi per un “futuro di speranza” del continente africano. «Ho l’intima convinzione – ha ribadito il papa nell’Angelus in occasione della messa conclusiva nell’impianto sportivo della capitale economica del Benin, Cotonou – che questa sia una terra di speranza. Autentici valori, capaci di ammaestrare il mondo, si trovano qui e non chiedono che di sbocciare con l’aiuto di Dio e la determinazione degli africani».
Al Benin Benedetto XVI ha chiesto di farsi artefice di “fraternità” per costruire l’unità tra le persone, le etnie e i popoli: «Vivere insieme da fratelli, nonostante le legittime differenze – ha sottolineato – non è un’utopia. Perché un paese africano non potrebbe indicare al resto del mondo la strada da prendere per vivere una fraternità autentica nella giustizia fondandosi sulla grandezza della famiglia e del lavoro? Desidero perciò incoraggiare l’intero continente a essere sempre di più sale della terra e luce del mondo».

Consegna di Africae munus



Significativo, in tal senso, è il contributo che offre l’esortazione apostolica post-sinodale Africae munus, consegnata nel corso della celebrazione conclusiva: «La affido a tutti i fedeli africani che sapranno studiarla con attenzione e tradurla in azioni concrete nella loro vita quotidiana».
Il documento che è stato dato ai presidenti delle 42 Conferenze episcopali africane (35 nazionali e 7 regionali) contiene una vasta trattazione su argomenti diversi: aids, malattie endemiche, profughi, la povertà e il sottosviluppo. Colpisce nel testo la notazione che mette l’analfabetismo sullo stesso piano delle grandi pandemie. Il documento, più che spendersi sul versante della denuncia, indica soluzioni e invita a far leva sulla forza degli stessi africani.
Inoltre, nel testo il papa incoraggia i vescovi africani a suscitare vocazioni missionarie in risposta al grande dono ricevuto dai missionari di ieri e di oggi che continuano ad annunciare il Vangelo nelle diverse regioni del continente. E questo perché, ricorda il papa, «molti sono coloro la cui fede è debole, e la cui mentalità, le abitudini, il modo di vivere ignorano la realtà del vangelo, pensando che la ricerca di un benessere egoista, del guadagno facile o del potere sia lo scopo ultimo della vita umana». Verso queste persone occorre «essere testimoni della fede ricevuta», anche perché «l’evangelizzazione presuppone e comporta anche la riconciliazione e promuove la pace e la giustizia» (tema del Sinodo continentale dell’Africa celebrato due anni fa).
Nell’esortazione Benedetto XVI invita i credenti a vivere il battesimo seguendo la via del servizio indicata da Cristo, che «è diventato uomo facendosi il servo del più piccolo dei suoi fratelli». Allo stesso modo, il credente è chiamato ad essere attento «al grido del povero, del debole, dell’emarginato»: in particolare, il papa indica come soggetti a cui dare un’attenzione particolare i malati, soprattutto quelli di aids, e tutti gli emarginati della società: «Ogni malato, ogni povero, merita il nostro rispetto e il nostro amore, perché attraverso di lui Dio ci indica la via verso il cielo».

Incontro con i bambini e con i governanti

L’eco di queste parole è stato avvertito anche durante l’incontro, singolare e toccante, con i bambini del Benin nella parrocchia di Santa Rita a Cotonou, dove 6 suore di madre Teresa si prendono cura di un centinaio di bimbi abbandonati o malati (in Benin tre milioni di persone sono al di sotto della soglia di povertà, la malnutrizione nei bambini con meno di cinque anni supera il 20% e 800 mila minori vivono in strada). «Non esitate, cari bambini, a parlare di Gesù agli altri», li ha esortati il papa, e ha aggiunto: «Egli è un tesoro che bisogna saper condividere con generosità. Nella storia della Chiesa, l’amore di Gesù ha riempito di coraggio e di forza tanti cristiani ed anche dei bambini come voi». Con loro il papa si lascia andare ad alcuni ricordi della sua vita: «Il giorno della prima comunione è stato uno dei più belli della mia vita». Come un nonno affettuoso, il papa ha rivolto loro il messaggio che Gesù li “ama”e ha fatto loro la raccomandazione di dire un’Ave Maria “per” il papa.
Come è stato affettuoso con i bambini, così il papa è stato determinato con i governanti del paese. Nella “Sala del popolo” di Cotonou egli ha lanciato un appello a tutti i responsabili politici ed economici dei paesi africani e del resto del mondo: «Non private i popoli della speranza». Con il tono accorato della voce il pontefice ha ribadito: «Non amputate il loro futuro mutilando il loro presente. Abbiate un approccio etico con il coraggio delle vostre responsabilità». E ha invitato ad essere “saggi” e a fare attenzione al potere che «acceca con facilità», ricordando che «solo Dio purifica i cuori e le intenzioni», permettendo di «restare integri in mezzo alle correnti di opinione e agli interessi potenti». Il pontefice per la terra africana ha chiesto ai politici «buone scuole, alimentazione per i bambini, ospedali dignitosi per curare i malati» e, soprattutto, «un modo di governare limpido che non confonda l’interesse privato con l’interesse generale».

Incontro con i capi religiosi

Nel corso della visita il papa ha ribadito ai capi religiosi lo stesso invito alla pace rivolto il 27 ottobre scorso ad Assisi: «L’odio è una sconfitta, l’indifferenza un vicolo cieco, il dialogo un’apertura». Ha avvertito che «nessuna religione, nessuna cultura può giustificare l’appello e il ricorso all’intolleranza e alla violenza». Giustificare la violenza in nome di Dio «è un gravissimo errore». Il papa ha affermato che talvolta «il dialogo interreligioso non è facile», ma questo non significa affatto una “sconfitta”. E ha ricordato che «non si dialoga per debolezza», ma «perché si crede in Dio».
Politica e religione possono cambiare il volto al continente africano. Il papa inverte il modello di lettura negativa di questa terra, sottolineando che l’Africa è la “terra della speranza”: «E avere speranza non significa essere ingenui, o fare della facile retorica, ma compiere un atto di fede verso il futuro». Di conseguenza “no” a “pregiudizi” e ad “analisi pessimiste”. Un fermo “no” anche alle realtà africane intese come fonti di «un’enorme riserva energetica, minerale, agricola ed umana facilmente sfruttabile per interessi poco nobili». Il papa ha aggiunto: «Queste sono visioni riduttive e irrispettose che portano ad una cosificazione poco dignitosa dell’Africa e dei suoi abitanti».

Alcune proposte operative

In volo verso Roma, il papa ha lasciato all’Africa attraverso l’esortazione post-sinodale alcune proposte operative per favorire la riconciliazione, la giustizia e la pace: incrementare la lectio divina e l’apostolato biblico, indire un congresso eucaristico continentale, celebrare ogni anno nei paesi africani un giorno o una settimana di riconciliazione o anche realizzare un “Anno della riconciliazione” di tutto il continente e ampliare la schiera dei santi africani, come “modelli” esemplari di giustizia e come apostoli della pace.
Giulio Albanese, direttore di Popoli e missione, offrendo una lettura del viaggio apostolico in Benin, in un’intervista a Radio Vaticana, ha ribadito che «l’Africa deve andare al di là dell’autocommiserazione, perché possiede al proprio interno le risorse per farcela. E questo in che maniera? Affermando la dottrina sociale della Chiesa. Ed è una sfida che riguarda certamente anche i cosiddetti donatori, i “donors”, che devono andare al di là di un atteggiamento all’insegna dell’assistenzialismo. Ma è soprattutto importante che siano le culture africane a prendere consapevolezza del patrimonio ancestrale rappresentato dai loro avi. A me quello che ha colpito molto – continua Albanese –, leggendo l’esortazione apostolica, ma anche seguendo i vari interventi del papa, è l’attenzione alle culture africane, che rappresentano una grande risorsa… La Chiesa, da questo punto di vista, ha il compito di promuovere un senso di rispetto e di fratellanza a livello continentale, perché gli africani, con il cuore e con la mente, comprendano a fondo, anche proprio grazie alla fede, che hanno un destino comune». In altre parole, si tratta di “riconsegnare” l’Africa agli africani nella giusta autonomia e nell’attenzione al loro sviluppo integrale.