Standaert B. è monaco benedettino di Saint-André a Bruges (Belgio) ed ha alle spalle una lunga esperienza di insegnamento biblico coniugato alla spiritualità e impegno diretto nel dialogo interreligioso. Tutte queste dimensioni sono riflesse in questo nuovo commentario ed è sufficiente leggere la prefazione dell’autore per comprenderne lo spessore: «Questo commentario è nato il giorno in cui il p. Pierre Benoit op, mi trasse in disparte, trent’anni fa, e mi propose di scrivere un nuovo commentario sul vangelo di Marco, dopo quello di p. Lagrange, rinnovando così la raccolta dei commentari nella collana degli Studi biblici. Per oltre dieci anni ho scritto ogni mattina alcune note sotto il testo greco di Marco. Poi quindici anni dopo, ho potuto ottenere dal mio padre abate, dom René Fobe, un anno libero da ogni altro impegno, permettendomi così di riprendere quelle note e realizzare quella generosa offerta dell’allora direttore degli Studi biblici. Il suo successore p. Francolino Gonçalves op, mi ha sempre sostenuto in questo progetto ed è grazie ai suoi incoraggiamenti e preziosi consigli che il volume vede finalmente la luce» (p. 5).

Il vangelo di Marco “Haggadah pasquale cristiana”
 

Certo, in questi ultimi trent’anni sono stati pubblicati molti e preziosi commentari, ed è sufficiente girare per le librerie religiose per rendersene conto. Tuttavia ci pare che l’opera in tre volumi di Standaert possiede significative peculiarità. In primo luogo, si tratta dell’ipotesi – non nuova – che vede nel vangelo un racconto, sul modello della Haggadah ebraica e che tale racconto sia stato composto per essere letto interamente nella notte pasquale, presentandosi così come una “«variante della tradizionale haggadah pasquale ebraica» (p. 7). Secondo l’autore in origine il testo veniva proclamato a voce e rappresentava il punto di arrivo del percorso battesimale di iniziazione cristiana. Terminata la lettura, i cristiani si recavano al fiume per battezzare i catecumeni e concludere la liturgia tutti insieme con il banchetto eucaristico. Nel contesto odierno, rileggere il racconto significa spostare l’attenzione sul lettore (gli esegeti parlano di “analisi pragmatica”) prestando attenzione ala sua composizione letteraria che unisce retorica e dramma.

Catechesi biblica per catecumeni

Il commentario segue l’impostazione classica richiesta ad ogni opera di questo tenore. Nella sezione introduttiva sono affrontati alcuni presupposti basilare per la lettura: autore, data, composizione, le fonti di Marco, le relazioni sinottiche. Standaert non si limita a ripetere i dati comuni. La sua è una rivisitazione critica di posizioni ritenute acquisite. Per esempio, egli contesta l’opinione comune circa il fatto che Marco abbia inventato il genere “vangelo”, con lo scopo di sostenere la comunità cristiana di Roma perseguitata; egli è dell’opinione che si tratti di un «testo iniziatico» ad uso dei catecumeni, «scritto per essere letto e riletto regolarmente in assemblea» (pp. 24-25).
Staendart presenta un’altra intuizione: il racconto marciano redatto in modo drammatico è una catechesi biblica che accompagna il lettore a scoprire l’identità di Gesù mediante una serie di “gradini”, e dove passo dopo passo attraverso due o tre citazioni bibliche viene svelato il “segreto messianico” di Gesù: Gesù è un profeta come gli altri profeti (Mc 6,15), ma è più simile a Mosè (Mc 1,10). È il Figlio amato (Mc 1,11; 9,7) che mostra nella sofferenza il suo essere Figlio di Dio (Mc 10,45). Gesù è anche figlio dell’uomo (alludendo al profeta Daniele), e lo Sposo (Mc 2,20) che sarà strappato ai discepoli come il servo sofferente (Is 53,8). Gesù è il Figlio di Davide e, soprattutto, il Cristo, Messia, Unto di Dio che fin dall’inizio della sua missione è consapevole del suo destino finale.
Il cammino di Gesù passa dalla potenza inziale all’impotenza finale della croce. Ed è proprio qui il paradosso: l’impotenza, e solo l’impotenza della croce salva (Cf. M. Grilli, L’impotenza che salva¸ EDB, Bologna 2009). Nel racconto di Marco Gesù è riconosciuto spesso come profeta, Cristo e Figlio di Dio (Cf. Mc 1,1; 8,29; 15,39), molto poco come re, e mai sacerdote.
La grandezza di Gesù – conclude l’autore– «consiste nel suo abbassamento e se è “signore” e non semplicemente “figlio di Davide” è perché è “venuto per servire” e per “dare la sua vita”» (p. 47). Una lettura del vangelo che domanda al lettore di essere formato alle Scritture, AT compreso. In questo cammino, il commentario di Standaert ci pare rappresenti una guida solida e sicura,nel cammino che la chiesa ci invita a compiere in questo nuovo anno liturgico.