Il Definitorio straordinario generale dei Carmelitani scalzi (Ariccia, 5-12 settembre 2011) ha prodotto un documento che ci offre il quadro attuale delle presenze nel mondo di figlie/i generati dall’intuizione carismatica di santa Teresa de Ahumada (1515-1582), germinata insieme al gruppo di consorelle nel monastero di San Giuseppe (24 agosto 1562). Mentre arrivavano notizie di catastrofi e guerre tra cristiani, di tanti che vivevano e morivano senza conoscere la buona notizia del Vangelo, Teresa si sentì chiamata “perché siamo qualcosa che possa farlo contento” (Cammino 3,1). Alla base della vocazione teresiana non c’è dunque un impulso morale, ma l’offerta di vita per diffondere la benedizione di Cristo sul mondo e per sanarne le ferite.
Con questo spirito il Definitorio, presieduto dal preposito generale p. Saverio Cannistrà, ha cercato di attualizzare l’intuizione fondativa, prendendo in esame le situazioni dei Carmeli nel mondo, i progetti di formazione permanente promossi dal Centro dell’ordine, le missioni, le iniziative in vista del centenario della nascita della fondatrice, la situazione dei centri dipendenti dal governo generale, il rapporto con sorelle monache e laici.
 

La geografia carmelitana”

Italia e Penisola iberica presentano lo stesso contesto sociale miscredente, di rifiuto della vita ecclesiale e di indifferenza verso la VR, priva della rilevanza goduta nel passato. Tuttavia le case sono frequentate e la spiritualità teresiana continua ad attrarre molti. In tutte le circoscrizioni va promossa la formazione teologico-spirituale, sostenuta e accompagnata da un radicale rinnovamento della Facoltà del Teresianum di Roma.
Terra di missione va poi considerata l’area dell’Europa centrale (con religiosi di 20 nazioni differenti): si tratta di rafforzarla con «personale adeguato in modo da formare autentiche comunità fraterne lontane dall'individualismo, non sovraccariche di apostolato». In questa parte del mondo, schiavizzati dalle dittature comuniste o ingannati dall’illusione di false filosofie alienanti, è urgente rivalorizzare le persone mediante l’incontro con gli altri e la cura di se stessi.
Nell’area francofona (province di Francia, di Fiandre e del Medio Oriente, semi-provincia del Libano, e delegazioni d’Israele, Egitto e Iraq), in particolare si nota: Israele che si mantiene grazie all'apporto di religiose/i di altre circoscrizioni (notevole sforzo di sostegno ai luoghi di pellegrinaggio come Stella Maris e Muhraqa); Egitto che conta 8 sacerdoti (5 egiziani) e alcuni candidati in fase formativa (molteplici attività intorno al Santuario di Santa Teresa di Lisieux al Cairo); il drammatico futuro dell’Iraq sta nelle aree del nord, perché la situazione politica costringe molti cristiani all’esodo verso quella zona; nel Libano 6 sono i conventi con 32 professi solenni e 5 religiosi in via di formazione.
In America Latina e Caraibi (nuovi commissariati di Cile, Perù e Caraibi; unico vicariato regionale con Bolivia-Paraguay-Uruguay; Ecuador delegazione di Colombia, delegazione di Venezuela aiutata dal Centro-America; invariate le 5 province di Messico, Colombia, Centro-America, Brasile sud-est e Brasile sud, e la delegazione generale di Argentina) l’obiettivo è superare strutture con stili che minano la qualità di vita carmelitana.
L’area Asia orientale-Oceania presenta sotto il profilo vocazionale tre tendenze: in Indonesia e nel commissariato di Filippine-Corea c’è crescita numerica di vocazioni; in Giappone e Taiwan-Singapore la situazione è stabile; in Australia non ci sono nuove vocazioni da quasi 10 anni. In Giappone, dove le monache sono più dei frati, l’entrata di due nuove vocazioni fa sperare per il futuro.
Africa-Madagascar è invece regione in piena crescita: 370 religiosi in 20 paesi, con 34 monasteri. L’espansione maggiore è in Madagascar, Nigeria e Repubblica Democratica del Congo.
A loro volta, le espressioni del Carmelo in India non sono paragonabili a nessun’altra regione: il ramo maschile presenta 947 membri professi, 659 solenni, distribuiti in 120 comunità di 7 province e quattro vicariati regionali; più di 200 gli aspiranti e più di 150 postulanti e novizi; età media tra i 35 e i 50 anni; la famiglia allargata conta 20mila membri.
Nell’area anglofona (province statunitensi di California-Arizona, Oklahoma e Washington, provincia anglo-irlandese e province di Olanda-Malta) si fanno notare il Santuario di Holy Hill (Washington), visitato annualmente da quasi un milione di pellegrini, e la fioritura di vocazioni di California-Arizona. La provincia olandese ha deciso invece di accettare la propria fine: tre brasiliani nella città di Handel accolgono nuove vocazioni.

“Andare alle cose stesse”

Sono evidenti le sfide, ma occorre saperle leggere bene. Oggi si può parlare di “nostalgia della comunità”. «In effetti, è da più di quarant’anni che parliamo del rinnovamento dell’ordine, della necessità di intraprendere un cammino che ridia una piena motivazione alle nostre vite e ci riporti alla sorgente evangelica e carismatica della nostra vocazione. E tuttavia, dobbiamo umilmente riconoscere che ancora non ci siamo veramente rinnovati, pur essendo cambiati sotto tanti aspetti: nel nord del pianeta siamo invecchiati e le nostre presenze si stanno riducendo, mentre nel sud siamo cresciuti e l’ordine si è ampiamente diffuso».
Il problema, a detta del Definitorio, è la povertà di esperienza e di esperienze. I cambiamenti sono venuti più dai mutamenti imposti dal contesto storico-sociale, che da una serie di scelte strategiche. Va sempre ricordato che il Carmelo privilegia l’esperienza di Dio nell’orazione e dell’uomo nella vita fraterna. Ebbene, dice il documento in esame, «quando facciamo riferimento alla concreta realtà delle nostre comunità, lo facciamo spesso o per esprimere giudizi morali su di esse o per proporre progetti per il futuro... Ci costa chinarci sulla povertà del presente per leggere che cosa c’è scritto in certi vissuti, in certe esperienze, al di là del fatto che ci piacciano o no, che corrispondano o no al nostro modello di vita e di comunità carmelitano-teresiana, che aprano o chiudano a un futuro». Si richiede allora un “lavoro di ermeneutica dal basso”, per contrastare le forze che spingono alla deriva. «Come la pace non si dà evitando i conflitti, ma affrontandoli e attraversandoli, così la verità nella storia non si raggiunge senza un processo continuo di verifica, di riconoscimento dell’errore e di sua correzione».
La rilettura del Cammino di perfezione di santa Teresa offre criteri e linee guida per tracciare una rotta non idealistica né spiritualista: una rotta verso una autentica felicità. «Il problema più grave della VR e in particolare del nostro ordine in questo tempo, potremmo dire che è l’infelicità o la scontentezza... Rischiamo di cadere nell’accidia, cioè in quella mancanza di cura di noi stessi, del nostro essere, di fatto abbandonando il timone della nostra vita personale e comunitaria... La fame si cura col cibo, mentre l’inappetenza si cura con un cambiamento di vita, il che è certamente più difficile da realizzare». Anche la preghiera rischia oggi di essere cibo buono per una psiche però inappetente.

L’umiltà, fondamento di tutto l’edificio

«Nei nostri documenti noi spesso mettiamo l’orazione al primo posto, in base a un ordine di eccellenza. Teresa non fa così, segue un ordine pratico: il primus in intentione non è il primus in executione... se vogliamo imparare a pregare... dobbiamo prima porre delle solide basi esistenziali, senza le quali l’orazione o non si dà affatto, o almeno non si dà nella forma e nel modo in cui la pensa Teresa. Tutti conosciamo a memoria le tre condizioni previe della vita di orazione secondo Teresa: “La prima è l’amore che dobbiamo portarci vicendevolmente; la seconda il distacco dalle creature; la terza la vera umiltà, la quale, benché posta per ultimo, è la principale ed abbraccia le altre” (C 4,4)».
L’ordine stesso dei concetti è significativo. L’amore vicendevole sta al primo posto, ma, sembra dire Teresa, non può essere fondato su simpatie o affinità umane o su alleanze dettate da interessi. «Non posso comprendere – scrive Teresa – che si dia o possa darsi umiltà senza amore, e amore senza umiltà, come non è possibile che queste due virtù stiano in un’anima senza un gran distacco da ogni cosa». Per questo l’umiltà diventa il fondamento di tutto l’edificio e il perno intorno a cui gira tutta la pedagogia teresiana. L’umiltà per Teresa è il risultato di una esperienza conoscitiva, quella di chi ha incontrato la verità, nel suo duplice volto: la verità del Dio Amore e la verità della propria umanità povera e ferita, ma amata.
«L'uomo e la donna d’oggi vogliono essere padroni della propria vita, ma nella VR non è così. Rispondendo affermativamente alla chiamata di Dio, abbiamo fatto di lui il nostro Signore e padrone, colui al quale consegniamo quello che siamo e possediamo affinché sia lui a fare di noi quello che vuole... mentre l’opera di Dio è sempre portatrice di comunione e di concordia, il concentrarci sulle nostre opere ci porta a chiuderci nel proprio orizzonte individuale, lasciando al margine la comunità. Pensiamo così di essere più liberi e più padroni di noi stessi, ma in realtà questa è un’illusione».
La motivazione più profonda per vivere in comunità è dunque la consapevolezza dell’incapacità di compiere da soli un cammino di conformazione a Gesù Cristo, di autentica conversione e rinnovamento della vita. «Senza questa fraternità, in cui “la carità cresce con l’essere comunicata”, sarà impossibile fare un discernimento serio e affidabile sul nostro futuro... Se dalle nostre vite togliamo l’impegno di costruzione della comunità (sia in senso materiale, sia e ancor più in senso spirituale), tutti gli aspetti della vocazione religiosa inizieranno a perdere senso e valore».
Il fatto di vivere in comunità non comporta automaticamente che viviamo anche con la comunità e per la comunità». Se la comunità è solo l’ambiente neutro in cui si colloca il vivere e operare quotidiano, è inevitabile che si manifesti una forma di infelicità e di disagio: è come se all’identità interiore non corrispondesse quella esteriore e la sofferenza di tale tensione può far rinunciare all’anima e accettare in sostituzione il corpo. La vita allora non è più quella liberamente scelta al momento della professione. «Dovremmo essere noi stessi in modo così profondo e convinto da poter perdere noi stessi a favore dell’altro. Per questo l’apertura all’altro, al diverso deve andare di pari passo con un radicamento sempre più profondo e convinto nella nostra vocazione cristiana, religiosa e carmelitana. La missione, come nella vita trinitaria, non è che la dilatazione... delle relazioni originarie di appartenenza».
In questa prospettiva, i problemi veri non sono la mancanza di vocazioni, né l’invecchiamento e l’insufficienza del personale. Più grave è la povertà della formazione, mentre scarsa creatività e pigrizia missionaria sono conseguenza di una stanchezza nel vivere la VR.
Tra le linee-guida fondamentali di rilancio, emerse nei lavori del Definitorio straordinario, ricordiamo brevente: a) fare verità senza paura e senza moralismi; b) abbracciare la povertà più che l’efficienza, costruendo luoghi calorosi per la qualità dell’accoglienza e della relazione; c) rischiare la missione, vincendo la generale tendenza di ritirarsi (gli anziani perché l’età non consente loro di affrontare fatiche e incognite, i giovani perché le fragilità e le insicurezze li portano a cercare rifugio e protezione); d) assumersi le responsabilità di governo (un esercizio di crescita professionale ma soprattutto teologale di fede-amore-speranza nella ricerca del vero bene dei fratelli); e) rimettere in moto la ricerca teologico-spirituale; f) condividere il carisma con monache e laici: stimolo per crescere in vocazione carmelitana, amicizia con il Signore e cura comunitaria. “Comunità” insomma non è luogo di transito, ma modo di essere, che richiede un profondo riorientamento della persona nel triplice senso indicato da Teresa, nel senso dell’amore fraterno, del distacco dal mondo e dell’umiltà. Non possiamo sottrarci a questa sfida.