Nonostante i “cambiamenti sociali” e la “crisi”, «il fenomeno del
volontariato in Europa rimane un fattore costante e si è radicato fermamente
dentro la cultura europea». Lo ha affermato il cardinale Robert Sarah,
presidente di Cor Unum,
aprendo il convegno per le organizzazioni cattoliche di volontariato
dell’Europa, che si è svolto in Vaticano il 10 e 11 novembre.
Occasione del convegno è stata la celebrazione dell’Anno Europeo del
Volontariato. Il cardinale ha ricordato che tre europei su dieci fanno
volontariato, ogni anno, e si è chiesto cosa sarebbe il continente senza questo
tipo di impegno gratuito e spontaneo: «l’economia perderebbe 140 milioni di
dollari, ma, molto più importante, l’amore di Dio non sarebbe testimoniato. Il
volontariato cattolico, infatti ci offre l’opportunità unica di proclamare
l’amore di Dio attraverso l’impegno caritativo».
È un dono totale di sé
Riflettendo sulle caratteristiche delle organizzazioni che s’impegnano per il
prossimo, il cardinale Sarah ha rilevato che «il volontariato si è
professionalizzato» ma i volontari cattolici, che hanno come modello Gesù e,
quindi, il “dono totale di sé”, dovrebbero forse «concentrarsi di più sulla
dignità della persona umana». Cosa che non significa «sostituire la qualità con
l’improvvisazione perché al contrario la gratuità richiede perfezione». Le
organizzazioni di volontariato non devono, dunque, rinunciare ai finanziamenti
pubblici perché «la Chiesa non è contraria e stando al principio di
sussidiarietà è un dovere dello stato garantire le condizioni per cui i
cittadini possano impegnarsi nel volontariato».
Per il presidente di Cor Unum, «nella misura in cui siamo radicati nella nostra
identità cattolica saremo in grado di rispondere alle sfide che il mondo ci
pone». Per il cardinale, l’Europa “secolarizzata” ha “disperatamente bisogno”
della testimonianza dell’“amore compassionevole”: la carità è anche «servire
tutti quelli che sono lontani dalla fede e aiutare le persone a conoscere meglio
se stesse e capire i loro bisogni più profondi».
Il cardinale Sarah ha poi notato che il 65% dei volontari europei sono studenti:
«i giovani vogliono scoprire le loro capacità e i loro talenti, vogliono
sentirsi utili alla società e, dunque, il volontariato li aiuta a sviluppare i
valori sociali». I volontari – ha aggiunto il presule – sono «una delle più
belle espressioni della carità personale e della Chiesa cattolica. Lo sono per
il loro impegno e per il fatto che fanno tanto bene in modo disinteressato, per
amore di Dio che ci attende nel prossimo che ha bisogno e per primo si è donato
gratuitamente. Gesù ci ha detto: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente
date”. Il volontario è una persona che agisce disinteressatamente, cioè senza
guadagno e senza cercare vantaggi di alcun tipo, ma solo per dare se stesso agli
altri. Questo è un segnale molto positivo e di speranza in una società moderna
che tende fortemente all’individualismo. Il volontariato, specie quello
organizzato in associazioni o gruppi, è una grande testimonianza che la fede
cristiana opera per il bene dell’uomo e della società. È una scuola di vita:
nessuno può vivere per se stesso, ma la nostra vita prende il suo senso e la sua
pienezza nel servizio agli altri. È una strada che dobbiamo indicare soprattutto
ai giovani, spesso ingannati da stili di vita che li condannano alla solitudine.
Il volontariato ha un altro aspetto che a volte viene dimenticato: può essere
un’ottima occasione di incontro con Cristo per i giovani o per chi sta
camminando in un percorso di avvicinamento alla fede. Tante vocazioni, peraltro,
sono nate da esperienze di volontariato e tante persone hanno ritrovato la loro
fede scoprendo Dio nel fratello che soffre».
Un’attività forte in Europa
Tra i diversi interventi che si sono succeduti nella prima giornata dei lavori,
il commissario europeo con delega al volontariato, Kristalina Georgieva, ha
sottolineato che «l’attività di volontariato è estremamente forte in Europa.
Ogni anno, 100 milioni di europei danno il loro contributo alle comunità, alcuni
alle proprie comunità, altri fuori dall’Europa. Questa è una lunga e forte
tradizione per tutti noi e io sono certa che, in modo particolare in questi
momenti di difficoltà economica, le persone si aiuteranno ancora di più.
Naturalmente, la religione cristiana pone un forte accento sulle attività
caritatevoli. E qui, in Italia e a Roma in particolare, siamo veramente nel
luogo dove la cura dell’altro è parte essenziale della cultura della Chiesa
cattolica. Nessuno di noi potrebbe mai pensare a un mondo senza volontari».
Da smentire che l’idea che il volontariato possa sollevare gli stati dalle
responsabilità in alcuni settori vitali. La Georgieva ha notato che «in tutti
gli stati europei ho sempre visto la piena consapevolezza del fatto che viviamo
in un mondo le cui esigenze sono sempre più pressanti. Tanto per fare un
esempio: nel 1975, ci sono stati 78 disastri naturali; l’anno scorso, nel 2010,
ce ne sono stati 385 e, purtroppo, l’impatto di questi disastri è aumentato
perché la popolazione mondiale è cresciuta. Dal mese scorso, infatti, siamo
sette miliardi di abitanti e la maggior parte di essi è concentrata in zone
urbane e quindi quando vi è un disastro naturale, ci sono più vittime e più
danni. Le autorità dei nostri paesi sono consapevoli di questa forza e non
stanno certo abdicando alla responsabilità. Siamo consapevoli del fatto che solo
con gli sforzi dello stato non ce la faremmo mai. Abbiamo bisogno che le nostre
società siano pronte a impegnarsi e a dare un loro contributo».
Presentate varie esperienze
Nel corso dei lavori sono state presentate anche alcune concrete esperienze e
problematiche. Secondo Gianpietro Cavazza, presidente del Centro culturale
Francesco Luigi Ferrari di Padova, le organizzazioni di volontariato europee,
tra cui alcune Caritas nazionali, derivano la loro fonte di finanziamento, per
il 37% da donazioni, per il 26% da fondi pubblici e per il 12,8% dalle tariffe
dei servizi erogati. «Tra le motivazioni espresse dai volontari che li spingono
all’azione – ha rilevato Cavazza – le prevalenti sono l’essere solidali e la
scelta di fede». L’esperto ha poi sottolineato come le relazioni con le chiese
locali e le istituzioni sono «efficaci, costanti e collaborative» anche se, con
queste ultime, in misura minore. Nel rapporto con entrambe vengono invece
penalizzate l’“innovazione”, la “relazione tra organizzazione di volontariato” e
la “formazione di giovani volontari”.
Per Cavazza la prima, soprattutto, è una criticità da colmare, perché, ad
esempio, con un nuovo modello di organizzazione «si potrebbero costruire
occasioni di lavoro». Un’altra esperienza presentata è stata quella dell’Arche,
con l’intervento di Veronika Ottrubay. L’Arche è una realtà costituita da 150
comunità di vita in cui ci sono sette persone con disabilità gravi che vivono
insieme a degli “assistenti” e volontari, molti giovani, che si impegnano per un
minimo di nove mesi. Le comunità sono diffuse in 36 paesi, 30 solo in Francia e
accolgono in totale circa 4.000 persone con handicap mentali gravi. «Molti dei
giovani volontari che arrivano da noi, di lingua, cultura e religioni diverse –
ha raccontato Ottrubay – vogliono impegnarsi per un mondo più buono e più
giusto. Nella nostra esperienza abbiamo visto che il rapporto con le persone più
umiliate e deboli, cambia la vita delle persone e opera una trasformazione
interiore. Noi vogliamo essere un piccolo anello nella catena dell’evoluzione
dell’umanità» e lottare «contro l’ingiustizia di un mondo che disprezza e scarta
questo tipo di persone».
Volontariato servizio di carità
Incontrando i 150 partecipanti al convegno, l’11 novembre, Benedetto XVI ha
riconosciuto che il volontariato cattolico non può rispondere a tutte le
necessità, «ma questo non ci scoraggia». «Né – ha avvertito – dovremmo lasciarci
sedurre da quelle ideologie che vogliono cambiare il mondo sulla base di una
visione puramente umana». Quel poco che riusciamo a fare per portare sollievo ai
bisognosi, ha rilevato, «può essere visto come un seme buono che crescerà e
porterà molto frutto». È «un segno della presenza e dell’amore di Cristo».
Questa, è stato il suo incoraggiamento, «è la natura della testimonianza che
voi», con umiltà e convinzione, «offrite alla società civile». Se – ha
proseguito – «è dovere dell’autorità pubblica di riconoscere e apprezzare questo
contributo senza distorcerlo», il vostro ruolo come cristiani «è di partecipare
attivamente alla vita della società, cercando di renderla sempre più umana,
sempre più contraddistinta da autentica libertà, giustizia e solidarietà».
Oggigiorno, è stata così la riflessione del papa, il volontariato, “come
servizio di carità” è divenuto «un elemento della nostra cultura moderna,
universalmente riconosciuto». E tuttavia, le sue origini vanno viste «nella
particolare attenzione cristiana per la salvaguardia, senza discriminazioni,
della dignità della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio».
Non a caso l’incontro con il Papa si è svolto l’11 novembre, nel giorno in cui
la Chiesa fa memoria di san Martino di Tours che papa Benedetto descrive nella
Deus caritas est come «un'icona che mostra il valore insostituibile della
testimonianza individuale della carità».
«San Martino – ha notato il cardinale Sarah – è un santo europeo della carità,
spesso raffigurato mentre condivide il suo mantello con un povero. Il fenomeno
del volontariato ha varcato la soglia del mondo ecclesiale ed è diventato un
patrimonio comune della cultura moderna. Ciononostante, la sua origine cristiana
è evidente soprattutto per quanto riguarda la salvaguardia della dignità della
persona umana, senza discriminazioni di ceto o razza, in quanto creata a
immagine e somiglianza di Dio».
Proprio a san Martino, nel 2007, Benedetto XVI dedicò un intero Angelus, l’11
novembre. «Attraverso le fibre del mantello di Martino che in parte finiscono
sulle spalle di un mendicante – notò il papa – si intravedono con chiarezza le
fibre che costituiscono il tessuto della carità cristiana: il dono, la gratuità,
la condivisione, la scelta preferenziale dei poveri, la presenza di Gesù in
loro. In un rapido gesto di generosità si è cristallizzato per sempre il meglio
di ciò che può fare un uomo per il suo simile, soprattutto se sorretto dalla
fede. Perché questo già era, sotto le fibre del suo mantello, il soldato Martino
quando incrociò quel povero: un uomo prossimo al Battesimo».
Davvero un soldato singolare, Martino: nemico della violenza, allergico
all’arroganza, che se sguainava la spada lo faceva per un atto di giustizia
piuttosto che per fare il giustiziere. Finché, corazza e gladio lasciano il
posto al saio e al crocifisso. Martino si congeda e segue il cuore. Si fa monaco
in Francia – siamo attorno al 360 – e nel 371 i cittadini di Tours lo acclamano
vescovo. Muore l’8 novembre 397 e l’11 viene sepolto
Non muore il suo ricordo e diventa una reliquia il suo mantello che continua ad
essere appoggiato sulle spalle del mondo, come conforto per tutti coloro – ha
detto il papa – «impegnati a rispondere alla grande sfida» del nostro tempo. La
sfida «di costruire un mondo di pace e di giustizia, in cui ogni uomo possa
vivere con dignità. Questo può avvenire se prevale un modello mondiale di
autentica solidarietà, in grado di assicurare a tutti gli abitanti del pianeta
il cibo, l’acqua, le cure mediche necessarie, ma anche il lavoro e le risorse
energetiche, come pure i beni culturali, il sapere scientifico e tecnologico».