«La vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede». Così il papa Benedetto XVI dichiarava a Friburgo, durante la sua ultima visita in Germania (22-25 settembre 2011). A distanza di qualche settimana, il pontefice ha indetto l’Anno della fede, per il periodo che va dall’11 ottobre 2012 al 24 novembre 2013, pubblicando il motu proprio Porta fidei, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II e nel ventesimo della pubblicazione del Catechismo della Chiesa cattolica. Questo anno, ha affermato, sarà «un momento di grazia e di impegno per una sempre più piena conversione a Dio, per rafforzare la nostra fede in lui e per annunciarlo con gioia all’uomo del nostro tempo».
Il motu proprio, reso noto lo scorso 17 ottobre, è stato scritto «per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole e a rinvigorire la loro adesione al Vangelo, soprattutto in un momento di profondo cambiamento come quello che l’umanità sta vivendo». Con questa affermazione il papa vuole riportare l’attenzione dei cristiani alla radice profonda del loro impegno, la fede, come fondamento delle loro scelte di vita. Anche tanti dibattiti a cui assistiamo oggi sul ruolo dei cattolici in politica o davanti ai problemi posti dalle tecnoscienze, il cristiano li deve affrontare ispirandosi alla propria fede. Secondo il papa, infatti, «capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. Ora, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato». Negato non solo come atto volontario del cuore e della mente, quando non si accetta di credere, ma anche come presupposto culturale che informa la vita del credente: «Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone».

A 50 anni dall’apertura del Concilio

La data scelta per avviare questa riflessione sulla fede è l’anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II, dal momento che – afferma Benedetto XVI – questo anno deve essere considerato una «conseguenza ed esigenza postconciliare». Nelle intenzioni del pontefice infatti la coincidenza con l’anniversario dell’inaugurazione dell’assise ecumenica rappresenta “un’occasione propizia” per riaffermare che i testi dei padri conciliari «non perdono il loro valore e il loro smalto», come scrisse Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte.
Non a caso Benedetto XVI ribadisce nel motu proprio quanto egli stesso affermò a proposito del Vaticano II il 22 dicembre 2005: se interpretato nella giusta luce – disse durante l’udienza alla curia romana – «esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa». In un periodo nel quale sembrano riaprirsi le polemiche sull’interpretazione del concilio, il papa fa capire come l’unica interpretazione possibile sta proprio nel cuore stesso dell’essere cristiano, piuttosto che in tante possibili declinazioni.
Il papa sottolinea come il concilio non sia solo opera degli uomini, ma un momento in cui la rivelazione ha continuato a manifestarsi, come è avvenuto sempre nel corso della storia della Chiesa: «Sento più che mai il dovere di additare il concilio come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre». In questa prospettiva, il documento lascia intendere che il concilio, letto alla luce della fede, deve “unificare” i credenti e non “dividerli”.
La “porta della fede è un’immagine suggestiva tratta dagli Atti degli apostoli (cf. At 14,27), di cui il papa ha voluto servirsi per aprire e intitolare il motu proprio: la “porta” è quella che Dio aprì ai pagani al tempo dell’imperatore Claudio e delle missioni di Paolo e, da allora, a tutti i popoli fino ad oggi. Per il papa teologo, che cita s. Agostino, «l’importanza del credere e la verità della fede permangono fino ai nostri giorni come un patrimonio di ricchezza ineguagliabile e consentono ancora a tante persone in ricerca di Dio di trovare il giusto percorso per accedere alla “porta della fede”». Dunque anche oggi «è possibile oltrepassare quella soglia quando la parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma»: infatti «solo credendo – afferma il papa – la fede cresce e si rafforza; non c’è altra possibilità per possedere certezza sulla propria vita se non abbandonarsi in un crescendo continuo, nelle mani di un amore che si sperimenta sempre più grande perché ha la sua origine in Dio».
Il documento è quasi una “piccola enciclica”, imbevuta di riferimenti biblici e percorsa da un’attenzione spiccata per il nostro tempo. Significativa la data dell’11 ottobre 2012, che segna anche il ventesimo anniversario della pubblicazione del Catechismo della Chiesa cattolica, frutto dottrinale del Vaticano II. Si tratterà di un anno analogo a quello voluto da Paolo VI, il quale affermava l’8 marzo 1967:«Se il concilio non tratta espressamente della fede, ne parla ad ogni pagina». E il 29 giugno, diciannovesimo centenario degli apostoli Pietro e Paolo, aprì l’anno della fede, che egli stesso concluse il 30 giugno 1968 proclamando il celebre Credo.
Nel motu proprio Benedetto XVI ricorda che il suo immediato predecessore aveva definito nel 2001 il Vaticano II «la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX». Il papa rivendica di avere richiamato, sin dall’inizio del suo ministero come successore dell’apostolo Pietro, «l’esigenza di riscoprire il cammino della fede», dal momento che, in un contesto dove spesso è venuto meno «un tessuto culturale unitario» ispirato alla fede cristiana, non si deve accettare che «il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta». Di fronte alla sete di Dio che donne e uomini del nostro tempo esperimentano nei deserti di questo mondo, il discepolo di Cristo deve far brillare, attraverso il continuo rinnovamento personale, la testimonianza dell’unica luce che illumina il mondo «in un cammino che dura tutta la vita».

Una proposta anche per chi ancora non crede

Questo “Anno della fede” non è rivolto soltanto ai credenti in una rinnovata attenzione alla liturgia e alla testimonianza personale e pubblica, ma si rivolge anche a coloro, che, pur non credendo ancora, cercano un senso nella vita, perché «questa ricerca è un autentico preambolo» alla fede, dal momento che essa muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio. La stessa ragione dell’uomo, infatti, porta insita l’esigenza di «ciò che vale e permane sempre».
Una particolare attenzione è stata sempre riservata dal papa alle persone che cercano e a coloro che vorrebbero incontrare la verità: «Non possiamo dimenticare che nel nostro contesto culturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo». Da qui l’importanza della testimonianza dei credenti: «Ciò di cui il mondo oggi ha particolarmente bisogno è la testimonianza credibile di quanti, illuminati nella mente e nel cuore dalla parola del Signore, sono capaci di aprire il cuore e la mente a tanti nel desiderio di Dio e della vita vera, quella che non ha mai fine».
A questo scopo – scrive il papa – è centrale il Catechismo della Chiesa cattolica, «vero strumento a sostegno della fede, soprattutto per quanti hanno a cuore la formazione dei cristiani, così determinante nel nostro contesto culturale», in cui la fede «si trova ad essere sottoposta più che nel passato a una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che riduce l’ambito delle certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche». In questa prospettiva, la Chiesa – sottolinea il motu proprio – «non ha mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla verità».
È necessario «riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia e il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo». Ammonisce Benedetto XVI: i credenti oggi ancora di più sono chiamati a «ritrovare il gusto di nutrirsi della parola di Dio» e ad essere consapevoli che «credere in Gesù è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza». L’Anno della fede è «un invito a un’autentica e rinnovata conversione del Signore, unico Salvatore del mondo»: per questo anche oggi «è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione, per riscoprire la gioia di credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede».

“Cercare la fede” e rafforzare la carità

Il motu proprio ricorda che «per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le età hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù là dove venivano chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella professione, nella vita pubblica, nell’esercizio dei carismi e ministeri ai quali furono chiamati».
Benedetto XVI invita ciascun credente a fare propria la richiesta dell’apostolo Paolo al discepolo Timoteo (2Tm 2,22): “Cercare la fede” con la stessa costanza di quando era giovane, «perché nessuno diventi pigro nella fede, compagna di vita che permette di percepire con sguardo sempre nuovo le meraviglie che Dio compie per noi».
Questo “Anno” costituirà inoltre l’opportunità di «confessare la fede nel Signore risorto nelle nostre cattedrali e nelle chiese di tutto il mondo; nelle nostre case e nelle nostre famiglie, perché ognuno senta forte l’esigenza di conoscere meglio e di trasmettere alle generazioni future la fede di sempre». E ciò risulta possibile perché «la “porta della fede” che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi».
Quest’anno sarà anche «un’occasione propizia per intensificare la testimonianza della carità», perché «la fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balìa costante del dubbio».
Benedetto XVI ricorda, infine, che anche molti santi hanno provato il “silenzio di Dio”, quella solitudine che sembra amplificare la sofferenza e cancellare tutto: «Quanti credenti anche ai nostri giorni sono provati dal silenzio di Dio mentre vorrebbero ascoltare la sua voce consolante!». Ma la fede ci dà la certezza che «il Signore Gesù ha sconfitto il male e la morte».
Il motu proprio si inserisce e illumina una proposta più ampia che la Chiesa intende lanciare al mondo contemporaneo e che passa attraverso l’iniziativa del Cortile dei gentili e si inserisce nel contesto della preparazione al prossimo Sinodo sulla nuova evangelizzazione (ottobre 2012): il tema della fede e della sua “porta” di ingresso dice la volontà della Chiesa di dialogare ancora di più con la società in termini di fecondità reciproca.