L'Eucaristia è un pane umile, ha un sapore eguale, ma non ci si stanca mai.
Siamo andati in cerca di un altro cibo, che è diventato ghianda nella parabola
del figliol prodigo. Il mistero eucaristico, nel pane di cui si veste, sta
appunto a rappresentare che il segreto del bene quaggiù è in questo sentirsi
nella casa del Padre.
Sulla mensa del cenacolo c'è il pane, che Gesù prende in mano, benedice, spezza
e distribuisce ai suoi.
Le mani del Signore conoscono il costo umano del pane. Sollevando il pane, nel
gesto eucaristico, è come se egli facesse riposare la fatica del contadino e
consacrasse le innumerevoli invisibili mani che lavorano col Padre nel campo.
Pochi benedicono quelle mani, ma ora che il Signore le ha benedette nel pane, le
cerco, come cerco le mani di un iniziale sacerdozio, il cui rito si compie ogni
giorno in comunione col Padre celeste, «che fa splendere il suo sole e piovere
le sue acque sui buoni e sui cattivi» senza un grazie, senza un lamento, senza
un pentimento.
Spezzando il pane, dopo averlo benedetto, Gesù traccia sul pane la regola del
pane, che è di ognuno dei suoi figlioli, e che nessuno deve accaparrare, se non
vuole offendere la legge della carità fraterna e cancellare l'amore paterno.
«Egli è il Pane vivo che scende dal cielo», ma è pure questo pane di ogni
giorno, che le sue creature cercano, e che egli prepara per esse «in tempo
opportuno», attraverso l'alterna vicenda delle stagioni, che obbediscono alla
sua carità.
Oggi, mentre dispongo il pane, posso dire che tu, o Signore, sei anche la mia
fame, il mio grido, il mio bisogno quotidiano.
Tu sei venuto anche per spezzare il pane, strappandolo alla nostra voracità, che
non fa posto al fratello.
Tu sei il pane, come sei la vita.
Il pane eucaristico non si conserva al di là del giorno, se non per i morenti.
Pane quotidiano anche l'Eucaristia: vero pane quotidiano, che si benedice ogni
giorno, che ogni giorno si rinnova, perché l'uomo avverta la continua presenza e
la inesausta carità del Signore. L'ostia è un pane che non s'accumula.
Ogni soverchia sollecitudine del domani è un affronto alla generosità del Padre,
una mancanza di fiducia, un'incomprensione eucaristica. Povere casseforti degli
uomini! Poveri sotterranei blindati delle grandi banche, vere cattedrali
dell'illusione! Non val la pena assalirvi: non custodite che cifre!
Il pane vero della vita è nel tuo amore, nella tua terra, nella tua pioggia, nel
tuo sole, e nelle mani degli uomini che lavorano con te, o Signore.
Offrendo il frutto della nostra terra riconosciamo il dono di Dio.
Voi staccate le primizie della terra per offrirle sull'altare. Così facevano per
istinto e per comando i primi uomini, i quali sentivano che è Dio che dà e
l'uomo è niente in questa misteriosa elaborazione della terra. Riconoscere così
Dio è rientrare nella verità e nella bontà: è dare un senso religioso alla
fatica, farvi sentire cooperatori con Dio. Questo atto di offerta è grandioso.
Anche l'uva diventa, in un certo senso, qualcosa che serve a Cristo per la sua
redenzione. Come il poco fango per guarire il cieco nato, come l'acqua nel
battesimo, come l'olio nei sacramenti della Confermazione e dell'Unzione. Che
meraviglia questo simbolismo degli elementi nell'opera della grazia! Allora la
terra, la fatica, il pane riprenderanno il loro vero volto e l'uomo, in piedi o
in ginocchio, con le labbra o con le braccia, tornerà a chiedere al Padre il suo
pane quotidiano.
Luigi Guglielmoni Fausto Negri
da “Per noi era come il pane”
Don Primo Mazzolari e l’Eucarestia
EDB, Bologna 2011