Sulla missione dello Spirito Santo la teologia cattolica non si è molto soffermata in passato, se si esclude l’epoca dei Padri della Chiesa, avendo quasi sempre privilegiato la riflessione sulla missione del Verbo e su quella da essa derivante della chiesa: si potrebbe dire, semplificando, la missione visibile rispetto a quella invisibile. Essa si è rinvigorita con il Concilio Vaticano II: il n. 2 dell’Ad gentes afferma che «la chiesa peregrinante è missionaria per sua natura, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo», mentre il n. 3 della Redemptoris missio di Giovanni Paolo II sostiene che lo Spirito Santo è protagonista della missione e il n. 28 lascia intravedere grandi implicazioni anche per la missio ad gentes.
La rivista di missiologia Ad gentes ha deciso di rilanciare questo tema, soprattutto in relazione alla fenomenologia religiosa che appare in pieno sviluppo (si pensi alla vistosa espansione del pentecostalismo, specie nelle Americhe e in Africa; ma anche a certi aspetti dei movimenti nella chiesa cattolica). Il tutto, però, non in contrapposizione alla missione del Figlio, ma in relazione feconda con essa, valorizzando l’attività dello Spirito in ordine alla missione evangelizzatrice, in particolare nella valutazione “delle iniziative di bene dell’umanità in cammino” (RM 28) e quindi della società, della storia, dei popoli, delle culture e delle religioni.
A questo proposito, è emblematica l’affermazione del missiologo statunitense Stephen Bevans: «Sostengo che la chiesa esprimerà degnamente con la sua vita la propria missione soltanto nella misura in cui si alleerà con la forza dello Spirito e ne risulterà trasformata».
In occasione di un seminario interno organizzato dalla stessa Ad gentes a Limone sul Garda, presso la casa natale di San Daniele Comboni (7-9 settembre 2011), le cui relazioni introduttive sono state tenute dal teologo don Giacomo Canobbio e dallo stesso Bevans, abbiamo intervistato quest’ultimo. Il cui libro più recente, scritto con Roger Schroeder, Teologia per la missione oggi. Costanti nel contesto (Queriniana, Brescia 2010), è stato salutato come un autentico avvenimento per la riflessione missiologica attuale. Scopo del seminario era porre le basi per un ulteriore momento di confronto, previsto a Pesaro per il settembre 2012, sempre organizzato dal semestrale della EMI di Bologna.
Padre Stephen Bevans, classe 1944, è missionario del Verbo Divino, docente di missiologia e cultura alla Catholic Theological Union di Chicago, ed è stato presidente dell’American Society of Missiology. Ha compiuto i suoi studi alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e alla Notre Dame University dell’Indiana, e svolto attività missionaria e docenza nelle Filippine. La tesi del monumentale volume, in estrema sintesi, è che «soltanto annunciando, servendo e testimoniando il regno di Dio in un dialogo profetico audace e umile, la chiesa missionaria sarà costante nel contesto di oggi»

D – Il vostro libro s’intitola “Teologia per la missione oggi. Costanti nel contesto”. Perché questo titolo?

R – Secondo noi la missione cristiana è sia ancorata alla fedeltà del passato sia sfidata alla fedeltà nel presente. Essa è chiamata a preservare, difendere e annunciare le costanti delle tradizioni della chiesa; allo stesso tempo, deve rispondere in maniera creativa e coraggiosa ai contesti in cui si viene a trovare. La storia cristiana è, principalmente, una storia della chiesa in missione: nei termini utilizzati in queste pagine, una vicenda di costanti nel contesto.

D – Il seminario di Ad gentes ha discusso di un tema cruciale ma anche poco frequentato, il rapporto fra Spirito e missione: da cosa partirebbe, professor Bevans, per articolare una riflessione al riguardo?


R – Credo opportuno basarsi, in primo luogo, su due affermazioni teologiche sullo Spirito Santo e sul suo ruolo nella missione di Dio condivisa dalla chiesa. La prima è di Paolo VI nell’Evangelii nuntiandi (n. 75), ripetuta da Giovanni Paolo II nella Redemptoris missio (nn. 21 e 30): lo Spirito Santo è l’agente principale dell’evangelizzazione-missione. La seconda affermazione è di Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury: la missione è «scoprire dove opera lo Spirito Santo e unirsi alla sua azione». Entrambe sono strettamente collegate all’idea che la missione è prima di tutto missio Dei, con l’ulteriore sfumatura che essa riceve il suo slancio dalla missio Spiritus. La missione di Dio è svolta dallo Spirito, inviato dal primo momento della creazione dal Padre; si concretizza nella missione del Figlio, Gesù, nella “pienezza dei tempi” (Gal 4,4) ed è “affidata a noi” (2Cor 5,19). Ma vi accosterei una terza affermazione teologica, dalla Redemptoris missio, benché compaia anche in documenti precedenti: parlando delle varie “vie della missione”, papa Wojtyla descrive la missione come “una realtà unitaria, ma complessa” (n. 41).

D – Alla luce di queste considerazioni di base, quali sono gli elementi chiave della missione?


R - Nel mio lavoro sono solito interpretare questo poliedrico significato della missione nei termini di sei elementi base. Bisogna tenere presente che la missione non può essere ridotta a uno qualunque di essi, e tuttavia ciascuno è costitutivo della missione stessa. Questi elementi sono: Testimonianza e annuncio; Liturgia, preghiera e contemplazione; Giustizia, pace e integrità del creato; Dialogo interreligioso e con la società laica; Inculturazione; Riconciliazione. Ritengo che questi sei elementi possono fornire un buon quadro di riferimento intorno al quale organizzare le idee. La missione di Dio attraverso la presenza misteriosa e dinamica dello Spirito, concretizzata in Gesù e condivisa dalla Chiesa, avviene attraverso tali elementi.

D – Prendiamo alcuni di questi punti, per capire fenomenologicamente di cosa stiamo realmente parlando. Ad esempio, “ testimonianza e annuncio”: è uno dei più delicati, e non di rado è messo in contrapposizione al dialogo…

R - Il giornalista statunitense J. Allen scrive che «le future storie del cristianesimo probabilmente presenteranno la fine del ventesimo secolo come l’‘era dell’esplosione pentecostale». risaputo che il pentecostalismo è il movimento religioso che cresce più velocemente nel mondo d’oggi, da meno del 6% negli anni Settanta del Novecento a circa il 20% nel primo decennio del XXI secolo. Secondo il documento scritto dai teologi asiatici nel 1997 sullo Spirito Santo, il movimento carismatico nelle Filippine coinvolge circa il 30% della popolazione, cioè 51 milioni di persone. E questo ormai quindici anni fa! Allen fornisce diverse plausibili ragioni sociologiche di questa crescita fenomenale, ma afferma che, dal punto di vista dei pentecostali e dei carismatici, la ragione è lo Spirito Santo. Mi sembra chiaro che la vitalità tanto evidente nelle comunità pentecostali e carismatiche è una prova dell’opera dello Spirito. Queste comunità testimoniano ciò che la fede in Cristo può essere: sono gioiose, offrono una buona assistenza pastorale, leggono e studiano la Bibbia insieme, manifestano un senso di responsabilizzazione del laicato e una crescita del ruolo delle donne nella chiesa. In India un sondaggio sul perché le persone sono attratte dalle chiese pentecostali ha concluso che esse vogliono integrarsi in una comunità calda e accogliente, e desiderano una maggiore cura pastorale per sostenere la loro vita spirituale. Lo Spirito opera per fare della comunità ecclesiale un testimone della potenza del vangelo. Spesso è la forza di attrazione di questa testimonianza a persuadere i cattolici a entrare nelle chiese pentecostali, com’è stato notato dalla Conferenza di Aparecida nel 2007 (n. 85). I cattolici, a mio parere, farebbero bene a unirsi all’opera dello Spirito Santo e a far sì che le loro comunità siano vivaci quanto le pentecostali! Una dedizione così appassionata all’annuncio del vangelo è rara al di fuori dei circoli pentecostali o evangelici, eppure è stata invocata da Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI; quest’ultimo ha poi istituito il Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione…

D – Altro tema delicato: il dialogo, appunto. Come lo legge la sua visione missiologica?

R - L’insegnamento cattolico pone coerentemente in rilievo che lo Spirito diffonde i semi del Verbo nelle culture del mondo, e ispira tutti “gli sforzi dell'attività umana tesi alla verità, al bene, a Dio” (RM 28). Nelle varie religioni del mondo è possibile discernere raggi della Verità che è pienamente rivelata in Cristo. La chiesa riconosce, sin dal Vaticano II, che chiunque segue sinceramente i dettami della coscienza può ricevere la salvezza. Infatti, lo Spirito Santo dà a tutti «a possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale» (Spirito Santo è l’agente principale dell’evangelizzazione-missione Gaudium et spes 22). È il riconoscimento dell’attività dello Spirito nelle religioni del mondo, e persino tra sinceri non credenti, a spingere i cristiani a cooperare con lo Spirito nelle varie forme di dialogo: di vita, di azione, di scambio teologico, di esperienze spirituali. Questo dialogo fa parte della missione evangelizzatrice della chiesa (RM 55). La FABC, la conferenza dei vescovi asiatici, ha condotto un’ampia riflessione sulla presenza dello Spirito nelle religioni asiatiche, incluse le cosiddette religioni primitive (primal religions), e definisce il dialogo “il lavoro dello Spirito”. I vescovi latinoamericani sostengono, con convinzione, dal canto loro, l’importanza del dialogo ecumenico e interreligioso nel documento finale della Conferenza di Aparecida (nn. 227-239). La grazia di Dio, scrivono, entra nel mondo attraverso il soffio dello Spirito Santo, e «spiegare e promuovere questa salvezza già all’opera nel mondo è uno dei compiti della chiesa riguardo alle parole del Signore: “Sarete miei testimoni ... fino ai confini della terra” (At 1,8)» (n. 236). L’Instrumentum laboris del primo Sinodo per l’Africa (1993) parla della presenza dello Spirito tra le religioni di tutti i popoli e pone la ricerca di quella presenza nelle altre religioni come parte integrante della missione della Chiesa.

D – Ennesimo tema delicato, soprattutto in un mondo largamente lacerato come quello attuale: la riconciliazione…

R - Nel mondo violento di oggi la riconciliazione va cercata a vari livelli, è chiaramente una priorità della missione evangelizzatrice della chiesa, perché la possibilità di riconciliarsi è davvero una buona notizia, spesso sorprendente. Lo Spirito può operare a livello individuale riconciliando mariti e mogli, o figli vittime di abusi e i loro genitori. Può anche operare a livello politico, portando la riconciliazione alle vittime di tortura o genocidio in paesi come il Sudafrica, l’Argentina o il Ruanda; o tra nazioni che si sono divise, come in passato la Germania o ancora oggi la Corea, separata tra Nord e Sud. Lo Spirito può operare anche a livello culturale, riconciliando i nativi americani nel Nordamerica, o gli aborigeni Maori in Nuova Zelanda. Infine, la missione può includere l’opera dello Spirito all’interno della Chiesa stessa, riconciliando le donne, che nel passato sono state sottovalutate, o le vittime di abusi sessuali in paesi come gli Stati Uniti, il Belgio e l’Irlanda. La teologa Kirsteen Kim immagina lo Spirito all’opera nella riconciliazione come una colomba colorata e forte. Spesso la colomba come rappresentazione dello Spirito diventa un’immagine sviante, che ricorda il tacchino ingrassato del consumismo o l’aquila dell’impero. Perché la colomba sia una vera rappresentazione dello Spirito, dobbiamo riconoscere che la riconciliazione, scrive ancora Kim, «ha luogo sotto le ali del dinamico e vigoroso Spirito di Dio, che aleggiava sulle acque per dare alla luce la creazione, e si libra in volo ancora oggi». Lo Spirito guida l’umanità nella vera lotta per la riconciliazione, che richiede forza e coraggio, e che unifica l’umanità in tutta la sua colorata varietà. La partecipazione a quest’opera dello Spirito è – a conti fatti - il compito principale della missione oggi.