Dal 27 al 29 agosto 2011 si è svolto a Bergamo, presso il seminario vescovile, l’Incontro nazionale delle vergini consacrate delle diocesi che sono in Italia sul tema: “In ogni cosa rendete grazie” (1Ts 5,18): Ordo Virginum custode della speranza. L’Incontro, vissuto in preparazione al XXV Congresso eucaristico nazionale svoltosi ad Ancona dal 3 all’11 settembre scorso, ha visto la partecipazione di ben duecentotrenta donne. Tra queste, donne già consacrate (nel numero più cospicuo) – accompagnate anche da alcuni sacerdoti delegati dai propri vescovi a seguire il cammino dell’Ordo Virginum della loro chiesa locale – alcune in formazione, che si preparano alla consecratio, e altre interessate ad approfondire la conoscenza di questa speciale forma di consacrazione e dei suoi itinerari formativi. Preziosa e qualificante la presenza di alcuni vescovi che hanno presieduto le celebrazioni eucaristiche: mons. Diego Coletti, vescovo di Como, mons. Francesco Beschi, vescovo di Bergamo, e mons. Oscar Cantoni, vescovo di Crema e membro della Commissione Episcopale per il Clero e la Vita consacrata. All’Incontro è seguito un seminario di studio e di approfondimento, guidato dal liturgista p. Lamberto Crociani osm e incentrato sul confronto tra la “Preghiera Eucaristica” e la “Preghiera di Consacrazione”.
 

Un rendimento di grazie vivente

Il consueto appuntamento annuale dell’Ordo Virginum si è ispirato a un invito che l’Apostolo rivolge alla comunità di Tessalonica in quella “primizia” del Nuovo Testamento, che ha ancora il profumo e la freschezza sorgivi della chiesa delle origini, e che è la prima lettera ai Tessalonicesi. Paolo invita i credenti della prima generazione a «rendere grazie» (5,18), ad adottare cioè uno stile relazionale improntato alla gratitudine e allo stupore, che qualifichi il rapporto con il prossimo (nella promozione del bene vicendevole) e il rapporto con Dio (in una preghiera che non conosca rigidità di tempi o modi preconfezionati, ma che informi ogni azione quotidiana). Un tale atteggiamento libera l’uomo dalla tirannia dell’egoismo e schiude al cuore l’orizzonte delle “sorprese” della grazia, svelando il fascino della verginità consacrata. Vista spesso come “sottrazione di umanità”, essa invece è condizione favorevole per implementare la capacità di amare e di donarsi, proprie di ogni persona. Vergine infatti è chi, pur godendo della bellezza del creato, delle relazioni e delle movenze della ferialità, non consuma i doni, né si lascia dominare da questi ma, in quell’azione di restituzione (redditio) che è la lode, li offre – sull’“altare” della sua consacrazione a Cristo – a Colui che è la fonte di ogni dono e ne è il perfezionatore: Dio Padre. Ne consegue che verginità è sinonimo di gratuità: amore che si dona e non chiede contraccambio, amore che gioisce nel darsi incondizionatamente, amore che vive la propria grazia battesimale in una vita cruciforme, cioè “a braccia aperte”. Da qui il ritratto della consacrata ordo virginum: donna che testimonia la presenza dell’amore di Dio non solo nella Chiesa ma anche in ogni ambito della società dove le è chiesto di operare o solo di presenziare, investendo a pieno il “deposito” battesimale in uno stile teologale, rendendo cioè “sacro” ogni spazio con il profumo della sua fede, del suo amore e della sua speranza.
Mediante l’alternarsi dei vari momenti (interventi dei relatori, preghiera liturgica, condivisione, tempi di fraternità) l’esortazione paolina di 1Ts 5,18 ha permesso di valorizzare vari aspetti della consacrazione verginale: la sua radice eucaristica, l’esercizio del sacerdozio comune, il contatto vitale con la Parola e la grazia della consegna riconoscente di sé al Padre, in un gioioso e dinamico itinerario di sequela e di imitatio Christi.
 

Sacramento del Cristo vivente

Significativa la relazione di mons. Antonio Donghi, dal titolo “Fate questo in memoria di me”. Ordo virginum: preghiera eucaristica e sacerdozio comune. Partendo dall’analisi del rito liturgico, visto come ricapitolazione della storia della salvezza ed espressione della relazione nella quale Dio incontra l’umanità compiendo le sue aspirazioni di vita piena, mons. Donghi si è soffermato sulla dimensione eucaristica della vita consacrata. Alle vergini consacrate egli ha presentato la celebrazione eucaristica come «la continua attualità del giorno della propria consacrazione, giorno che non è più un semplice passato, ma un approfondire se stesso nel Cristo eucaristico». Nel cuore di ogni celebrazione poi la consacrata tocca l’apice della preghiera cristiana con la preghiera eucaristica, dove riecheggia la lode gioiosa al Padre per il mondo redento nel suo Figlio Gesù. Essa aiuta a rendere dinamica la partecipazione alla Messa, attraverso l’esercizio della lode e del rendimento di grazie in vista di una comunione più profonda con Dio Trinità.
Questa partecipazione al mistero dell’amore trinitario avviene di certo nella celebrazione eucaristica, ma non si esaurisce in essa. Continua infatti nella vita, attraverso il culto spirituale (cfr. Rm 12,1), l’offerta del proprio corpo a Dio, della propria persona e di tutto ciò che le appartiene, attraverso la dedizione apostolica vissuta come «amore al quotidiano». Vivendo ogni gesto come “sacramento” della divina presenza e sperimentando il «gioioso tormento» della conversione permanente, la consacrata in comunione con tutta la Chiesa offre la propria povertà e quella del mondo al Padre che fa di questa offerta un’azione autenticamente “salvifica”.
L’immersione nella vita trinitaria che inizia nella celebrazione liturgica continua per la vergine nella sua trasformazione progressiva in un «vivente sacramento di Cristo che continua ad annunciare il vangelo». Questa cristificazione avviene attraverso la comprensione del dono della propria consacrazione, in un cammino di approfondimento che sia «un evento mistagogico di concentrazione cristologico-trinitaria nel vissuto ecclesiale… sottolineatura del primato del vissuto sulla semplice riflessione teoretica… costante docilità, duttilità, docibilità nelle mani creatrici dello Spirito Santo… una passione amorosa e instancabile per la vita di comunione». La celebrazione eucaristica è emersa quindi come sorgente e culmine della vita di una consacrata che fa del dono di sé, nel rapporto alla terra che abita, la “liturgia” di una consacrazione permanente a Dio e alla Sua infinita bellezza.
 

Un’esegesi vivente della parola di Dio

Momento di vibrante commozione è stata la tavola rotonda che ha visto le consacrate di alcune diocesi (Brindisi-Ostuni, Milano e Nuoro), impegnate in una sorta di lettura deuteronomica della loro storia, volta a ripercorrere il cammino di questi ordo particolari in rapporto alle caratteristiche, alle ricchezze e ai bisogni delle proprie chiese locali e ai volti delle singole consacrate. Le modalità della lettura sono state varie: il racconto-testimonianza oppure la realizzazione di una presentazione in PowerPoint. Si è trattato di un’occasione per elevare la lode a Dio per le meraviglie da Lui compiute attraverso la grazia della chiamata, il radicamento e la fedeltà a un terreno ecclesiale particolare (quello della propria chiesa diocesana) e la sfida della comunione con le altre consacrate dello stesso ordo – diverse per consuetudini di vita e di lavoro, sensibilità, temperamenti e percorsi ecclesiali – e con le altre realtà diocesane.
Altra tappa significativa è stato il tempo di profonda “immersione” nelle Scritture, in ossequio all’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini. Invitando le realtà antiche e nuove di speciale consacrazione a essere «vere scuole di vita spirituale in cui leggere le Scritture secondo lo Spirito Santo nella Chiesa», essa ricorda che la vita consacrata «nasce dall’ascolto della parola di Dio e accoglie il Vangelo come sua norma di vita» ed è pertanto chiamata a farsi «“esegesi” vivente della Parola di Dio».
Il momento di ascolto è stato guidato da Caterina Ostinelli, consacrata ordo virginum della diocesi di Como e biblista, con un intervento dal tema Eucaristia e consacrazione sponsale, all’interno del quale la relatrice ha proposto una Lectio divina sulla pagina biblica di Gv 13,1-20. Questo contatto con la Parola è stato scandito dalle tappe della lectio e della meditatio (offerte dalla Ostinelli), della oratio (che ha visto ciascuna impegnata in un rapporto personale con il testo) e della collatio (che si è svolta in un clima di risonanza e condivisione della Parola spezzata). La relatrice ha proposto di rileggere il gesto simbolico della lavanda dei piedi sotto una luce nuova: quella sponsale appunto. L’ultima cena è stata presentata come quel momento di speciale intimità che Cristo Sposo ha riservato alla sua sposa, prima di donarsi a lei completamente sul “talamo” della Croce. È il momento in cui Cristo lava i suoi discepoli e in cui i discepoli sono invitati a lavarsi i piedi gli uni gli altri. Momento di comunione tra Gesù e ciascuno dei suoi discepoli, ma anche momento di comunione tra i discepoli, perché il Signore Gesù invita i suoi a leggere il suo gesto come un esempio da seguire: «vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15).
I discepoli sono invitati ad andare “oltre”: oltre le simpatie, oltre i meriti, oltre tutto… sull’esempio di Gesù. Maneggiare i piedi di un altro è il gesto che ripugna chiunque, tranne chi ha un cuore grande: una madre. Questa sfumatura ha permesso di sottolineare la particolare propensione femminile a chinarsi sull’altro e a prendersene cura, assumendo il suo bisogno di attenzione e la sua sete di amore e comunione. Presentare poi il catino della lavanda dei piedi come una sorta di “reliquia della passione di Cristo” è stato uno stimolo a rileggere la propria consacrazione nell’ottica della passione per i piccoli e gli umili.
 

Una speranza vivente,di una «nuova creazione»
 

La ricchezza dei vari momenti vissuti a Bergamo ha mostrato che un incontro nazionale non è mai solo un momento di formazione, ma anche un’occasione particolarmente propizia per gli scambi e la conoscenza reciproca, un vero kairòs per sperimentare la bellezza della fraternità e dell’amicizia, non solo nei momenti destinati a tale finalità (come la serata di festa, il concerto con musiche di evangelizzazione e la visita delle bellezze artistiche del luogo), ma in ogni tappa del programma.
L’Incontro nazionale ricorda e rende attuale infatti la ricchezza e la forza della comunione che trasforma ogni nostro stare insieme in un evento di grazia che sa di nuovo e produce cose nuove, perché è lo Sposo stesso che si manifesta e parla al cuore (cfr. Mt 18,20). Per noi tutte quindi è stata un’occasione di rinnovamento: del dono ricevuto, della grazia della comunione fraterna e della crescita nell’amore alla Chiesa. Tutto questo in un clima di profonda speranza: quella di una «creazione nuova» nella propria storia vocazionale, segnata dalla sponsalità con Cristo e dalla maternità spirituale, realtà che si innestano entrambe nel mistero stesso della Chiesa vergine e madre. Sì, perché è attraverso le storie di salvezza particolari che la salvezza di Cristo si “impianta” nella storia universale, rendendo la vergine consacrata “ponte” tra Chiesa e mondo, “santuario” anche in mezzo ai rumori e al traffico di città, battito del cuore di Cristo che irradia ovunque misericordia, riconciliazione e tenerezza.