Gli istituti missionari stanno ormai da diversi anni riflettendo sull’importanza e il significato della loro vocazione, caratterizzata dall’invio ad gentes. Contrariamente a quanto si sente a volte ripetere qua e là, si tratta di una missione che conserva intatta la sua attualità, anche se oggi richiede modalità diverse da quelle di un tempo. La Chiesa lo ha ribadito ancora una volta anche Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata mondiale del 23 ottobre: «Questo compito non ha perso la sua urgenza», anzi «la missione di Cristo redentore, affidata alla Chiesa, è ancora ben lontana dal suo compimento… Uno sguardo d’insieme all’umanità dimostra che tale missione è ancora agli inizi e che dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio (Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris missio, 1). Non possiamo rimanere tranquilli al pensiero che, dopo duemila anni, ci sono ancora popoli che non conoscono Cristo e non hanno ancora ascoltato il suo Messaggio di salvezza».
Per gli istituti missionari affermazioni del genere sono di grande incoraggiamento e conforto. Ecco perché in ognuno di essi si nota un forte impegno a ridare slancio alla loro azione missionaria, attingendo alla grazia delle origini, per confrontarsi con le mutate realtà nella Chiesa e nel mondo d’oggi.
Per quanto riguarda i comboniani, per esempio, è interessante la riflessione apparsa nel bollettino Familia Comboniana (settembre 2011) a firma di p. Joseph Mumbere Musanga, mccj, il quale sottolinea come gli elementi ispiratori della missione ad gentes dell’istituto trovano il loro punto di riferimento nello stesso Comboni, e come devono oggi essere ripensati alla luce della nuova realtà ecclesiale e mondiale.
Secondo p. Musanga sono tre gli elementi che caratterizzano la loro identità spirituale comboniana: la missione, san Daniele Comboni e il Cuore di Gesù. Di questi tre, due, ossia la missione e il Cuore di Gesù sono condivisi con tutta la Chiesa, mentre ciò che è specificamente proprio è il modo con cui il Comboni ha saputo unificare nella sua spiritualità in modo personale e unico la missione e il Cuore di Gesù. «Ciò che è peculiare, a noi come suoi eredi, scrive p. Musanga, è la sua esperienza missionaria e il suo specifico vissuto della spiritualità del Cuore di Gesù nella Chiesa». La missione dei comboniani deve pertanto «rivelare il Cuore e la Croce di Gesù come fondamento spirituale delle nostre azioni».
Anzitutto il Cuore considerato «come amore – passione per gli ultimi, e in secondo luogo «la Croce come amore e causa comune con i sofferenti del mondo». Infatti «Cuore e croce sono inseparabili nella spiritualità di Comboni».
Sono due elementi che se accolti possono infondere un fervore sempre nuovo slancio a chiunque è chiamato a vivere la vocazione missionaria nella Chiesa.

Cuore di Gesù buon pastore

Come è noto, nella prospettiva del Comboni, il Cuore di Gesù è considerato sotto il profilo del Buon Pastore. Perciò, come scrivono gli atti del Capitolo generale del 2009, citati da p. Musanga «come Comboniani scopriamo nel mistero del Cuore del Buon Pastore la ragione che ci anima a una donazione totale e ci spinge verso i poveri e abbandonati». «È da Comboni, prosegue, che abbiamo ereditato questo mistero del Cuore del Buon Pastore. È contemplando la sua vita missionaria e il suo matrimonio con il Cuore di Gesù che possiamo comprendere il significato concreto del Cuore del Buon Pastore. Ogni comboniano interpreta a modo suo questo mistero del Cuore di Gesù che lo anima per una donazione totale ai più poveri e abbandonati. È questo che fa la ricchezza della nostra spiritualità, una spiritualità viva, appassionata, che ci mette sempre in movimento verso l'altro, soprattutto gli ultimi delle nostre società».
È forse superfluo sottolineare la grande attualità per il mondo d’oggi di questa visione della missione, come lo era al tempo di Comboni. Infatti, osserva p. Musanga, «Ecco il mistero del Cuore del Buon Pastore che ha animato Comboni per donarsi totalmente agli africani. Il suo unico obiettivo missionario fu quello di preparare, accompagnare e promuovere le nozze tra il Dio di Gesù e gli africani, dicendo loro che hanno valore agli occhi di Dio mentre non contavano niente agli occhi del mondo. Così, quando contemplo l'Amore-passione di Comboni per gli africani, fino ad annunciare loro solennemente che "il più felice de' miei giorni sarà quello in cui potrò dare la vita per voi", capisco perché l'inizio dei segni di Gesù nel vangelo di Giovanni è quello delle nozze di Cana... Presentando il primo segno di Gesù come quello compiuto durante le nozze, Giovanni ci dice che la missione di Gesù ci mette in cammino per le nozze tra Dio e il suo popolo. E con Comboni, queste nozze sono state celebrate da noi in terra d'Africa»
Padre Musanga commenta: «Questo amore appassionato tuttavia non poteva mai essere disgiunto dalla Croce». Per il Comboni infatti, «il luogo della realizzazione di questo Amore-passione di Gesù è ai piedi del Calvario, perché è là che "le grandi Opere di Dio nascono e crescono". È ai piedi del Calvario che si realizzano le nozze della Croce, cui prendono parte Maria, la madre di Gesù, Maria Maddalena, il buon ladrone, il discepolo amato e tutto il popolo dei sofferenti. L'alleanza, le nozze sono dello sposo crocefisso con i poveri».
Ecco perché per Comboni il mistero del Cuore di Gesù non si capisce che contemplando la croce. Egli invita ogni comboniano a questa contemplazione e ad acquisire questa disposizione essenziale «col tener sempre fissi gli occhi in Gesù Cristo, amandolo teneramente, e procurando d'intendere ognor meglio cosa voglia dire un Dio morto in Croce per lo salvezza dell'anime; e rinnovando spesso l'offerta intera di sé medesimi a Dio»

Un modo “missionario” di vivere i voti

Il riferimento alla Croce si riflette in maniera diretta anche sul modo di vivere i voti e la stessa vita di comunità e trova in essi una continua applicazione. Tutta la missione ne viene di conseguenza spiritualmente arricchita.
Nella suo scritto parlando dei votio, p. Musanga cita una riflessione che definisce «molto pertinente» di un suo confratello, P. Justin Kakule Muvawa, missionario congolese in Egitto. A partire anzitutto dall’obbedienza in quanto Croce, come era intesa dal Comboni, ossia come rinuncia e limite dell'iniziativa personale, e di tutto se stesso per gettarsi in braccio dell'obbedienza e di Dio. Perciò, «ogni missionario in missione, caratterizzato da questa obbedienza filiale per amore di Dio, lavora fiducioso nella Parola di Dio e in quella dei suoi rappresentanti "come docile strumento della sua adorabile volontà».
Così per la castità: «Nella spiritualità di Comboni, il significato della croce e del voto di castità è più manifesto nell'accettare la solitudine che deriva dalla vita di castità. Comboni esigeva dai candidati all'apostolato nel Vicariato dell'Africa Centrale una castità ben provata. E ciò non è possibile che con la grazia di Dio, la sola capace di aiutare a rimanere saldi nella castità. È in questo senso che va capita l'idea secondo cui: "Avendo scelto Cristo, (il missionario) rifugge da tutto ciò che può mettere in pericolo la propria scelta, e non trascura quelle norme ascetiche che sono garantite dall'esperienza della Chiesa"».
In terzo luogo, per la povertà che «unita alla croce forgia a poco a poco il missionario a una cultura della comunione, che è frutto di un’apertura all’interculturalità, e all’educazione alla sobrietà, alla semplicità volontaria, all’etica del limite... Fare causa comune con i più poveri e abbandonati, accettare e vivere così, ecco cosa significa accettare la croce».
Padre Musanga, tenendo presente anche la lettera che i tre Consigli generale, hanno scritto in occasione della canonizzazione del Comboni, in cui è sottolineata la relazione tra i consigli evangelici con il mistero della croce, rileva: «Si può dire che il comboniano accetta dall'esperienza lo scandalo della croce, sapendo che le opere di Dio nascono e crescono attraverso difficoltà e sofferenze di ogni genere. Mettendo al centro della propria vita il Signore crocifisso, il comboniano accetta con coraggio la croce a livello personale, comunitario e missionario».

La Croce vissuta nel quotidiano

L’accettazione della croce avviene in tre livelli diversi del vissuto quotidiano: personale, comunitario e missionario.
A livello personale, scrive p. Musanga, «ognuno di noi ha la sua croce personale, i suoi propri limiti psicofisici, morali e spirituali che lo accompagnano, la malattia o la vecchiaia che ci impedisce di agire come vorremmo, il peccato che esige lotta e conversione continua. Il missionario porta il peso di tutto ciò ogni giorno, come pure quello dei tre voti per il perfezionamento dei quali deve sempre combattere. A uno pesa di più la solitudine, a un altro la condivisione dei beni. Per un altro la dipendenza assoluta dalla comunità sottopone a ostacoli ciò che gli appare come il meglio di se stesso e lo mantiene in una sorta d'inazione. Ogni comboniano incontra una di queste croci o un'altra ancora e deve portarsela da solo con Dio. In tutto ciò, impara a rinunciare ancora di più a se stesso per amore di Cristo, per essergli configurato e per assomigliare al suo santo fondatore. Per Daniele Comboni, infatti, "una missione sì ardua e laboriosa ( ... ) non può vivere di patina, e di soggetti dal collo storto pieni di egoismo e di se stessi" ».
A livello comunitario: «I confratelli rappresentano la nostra gioia ma anche il nostro tormento. La differenza di età, di condizione sociale, di nazionalità e di cultura sono ricchezze e nessuno ne dubita. Nella vita comunitaria quotidiana, tuttavia, queste differenze possono costituire altrettante lance che ci lacerano il cuore. La vita comunitaria non va da sola. Essa esige un grande spirito di adattamento e condivisione, una lotta senza quartiere contro l'individualismo e il narcisismo e una capacità illimitata di perdonare e accogliere il perdono dell'altro. Questa esigenza dell'amore resta la condizione sine qua non per vivere la solidarietà e gustare la comunione fraterna».
A livello missionario: «un'ultima dimensione è legata al carattere provvisorio del nostro essere missionari che Comboni chiama ad essere "servi inutili" (Lc 17,10). Infatti, la nostra vita è caratterizzata dall'esodo e dalla kénosi. Essere sempre pronti a partire. Soffrire a causa del distacco dalla famiglia, che diventa problematico in certe culture quando i genitori invecchiano o se si è figli unici. La missione comboniana è non soltanto ad gentes, ma anche ad extra e ad vitam. Che difficoltà ad uscire dal proprio ambiente socioculturale ed ecclesiale per stabilirsi in una terra sconosciuta in cui è obbligatorio, secondo Giovanni Paolo Il, "un radicale cambiamento di mentalità" (Redemptoris Missio, 49) e "un superamento dei condizionamenti del proprio ambiente d'origine" ( 53); l’esodo non è forse sempre una croce? ... Nella stessa prospettiva, molte volte bisogna dimenticare l'esperienza acquisita altrove e ridiventare un bambino che balbetta per imparare una lingua diversa dalla propria. Nelle Chiese locali, dobbiamo addirittura "dipendere dalle autorità locali, che forse nel nostro campo specifico, ne sanno meno di noi" (F. Pierli, Come eredi) Senza vero amore, senza accettare la croce come il Figlio dell’uomo questa kenosi sembra impossibile».
Padre Musanga conclude: «diciamo con l'apostolo Paolo che il linguaggio del Cuore e della croce è sempre "follia" (1Co 1,18), perché è il linguaggio dell'amore folle, cieco addirittura. Solo i semplici, i poveri lo capiscono (Salmi 118; 130) perché lo vivono. E Comboni ha capito questo linguaggio... ha capito il Vangelo del Cuore e della croce scorgendovi il luogo dove Dio si dice e si dona in Gesù come un "Ti amo di un amore infinito ed eterno". La Croce è il luogo comune di ogni discepolo per amare come Dio. E amare come Dio non è una cosa scontata da quando c'è il peccato la cui origine ci coinvolge talmente che l'amore umano è quasi sempre egoista e narcisista. L'amore di Dio, invece, si riassume in un segno, in un disegno che Comboni ci ha trasmesso: un Cuore e una croce. Diventare comboniano significa prendere su di sé questo disegno, questo segno di appartenenza a Cristo e a Comboni».
Questi descritti sono valori che non tramontano mai e che saranno sempre, in qualsiasi epoca, ambiente e cultura, l’anima della vera missione ad gentes.