“Quale vita religiosa, oggi?”: è un interrogativo che continua a riproporsi e che rimbalza da un convegno all’altro sia qui in Europa che oltreoceano. La Conferenza dei religiosi del Cile (Conferre) l’ha scelto come tema dell’assemblea che ha tenuto a Santiago dal 19 al 21 maggio, con la partecipazione di 300 religiose e religiosi. L’obiettivo dell’incontro era di discernere, attraverso una riflessione corale, la missione della vita religiosa nell’attuale momento della Chiesa e della società.
Tra i relatori, Mercedes Navarro, una teologa spagnola che ha sviluppato i temi “Il presente della Chiesa e la sua missione nel mondo in una prospettiva biblica” e “La missione della vita religiosa nella Chiesa attuale”; e il padre Victor Codina, gesuita spagnolo, residente in Bolivia dal 1982, che ha intrattenuto i partecipanti su “La Chiesa in America latina” e “la vita religiosa in America latina oggi”.
Dall’interrogativo posto al centro del convegno ne derivava un secondo di vitale importanza, e cioè: “quale vita religiosa ha futuro?”, tema su cui oggi, si può dire, non c’è istituto che non si fermi a riflettere.
Cogliendo qui alcuni aspetti emersi nell’assemblea, relativi alla vita religiosa, è da segnalare molto sinteticamente ciò che hanno detto Mercedes Navarro e p. Victor Codina. A suo parere, oggi la vita religiosa si è allontanata “mentalmente” dalla realtà, e considera il mondo come un luogo diverso da sé (e più negativo), e pertanto non è aperta al ri-crearsi che le può venire dalla vita. In altre parole, mentre la vita va avanti e cambia senza chiederci il permesso, la vita religiosa rimane impacciata, e cerca di aggrapparsi a qualcosa di predeterminato e di fisso. Dalla gente, noi non siamo percepiti come Buona notizia, ha sottolineato la Navarro, e questo probabilmente è dovuto a qualcosa di strutturalmente equivoco che c’è in noi. La vita religiosa sembra soffocare la sua dimensione profetica-sapienziale che invece è così presente nel progetto di Gesù.

Siamo di fronte a un vero “tsunami”

Victor Codina, da parte sua, ha attirato l’attenzione sull’enorme cambiamento culturale della nostra società in tutte le sue dimensioni. Si tratta, ha detto, di un vero e proprio tsunami. E questo fenomeno ha delle forti ripercussioni nel campo religioso, dove si assiste a un processo irreversibile di secolarizzazione. Accennando in maniera più specifica all’ambito ecclesiale, ha affermato che la cristianità è ormai in agonia e viviamo in tempi di malessere e di inverno ecclesiale, dopo la primavera del Concilio.
Guardando al futuro, ha sottolineato che sarebbe un errore fare affidamento su isole di cristianità, su un modo di essere Chiesa che lotta per sopravvivere, ma che è residuale. Piuttosto bisogna optare per dei gruppi che, essendo critici, credono che è possibile un altro mondo e un’altra Chiesa, in modo da costruire una comunità sulle orme di Gesù di Nazaret; una Chiesa dalle porte aperte, in cui convivono differenti stili e ritmi di fede e di religiosità, ma che cerca di essere una Chiesa di cristiani convinti, sapendo che la cosa definitiva non è la Chiesa, ma il regno di Dio.
Riferendosi più specificamente alla vita religiosa, Codina ne ha proposto una rilettura storica e teologica. Dal punto di vista storico, ha affermato, la vita religiosa è sorta e ha dato risposte di impegno evangelico e profetico proprio nel momento in cui la Chiesa accresceva il suo potere e la sua centralizzazione. Ha risposto andando nel deserto, nel sec. IV, con una vita alternativa; andando nelle periferie delle città, in mezzo ai mendicanti; e andando nelle frontiere per e rispondere alle nuove sfide della modernità con le congregazioni moderne. Ma questa spinta profetica è diminuita. La vita religiosa si è come seduta, tendendo a collocarsi nel centro del potere ecclesiastico e civile. Ora bisogna che si situi in un contesto diverso della cristianità e lasci morire una determinata figura se si vuole che nasca un nuovo stile di vita religiosa.
Nella rilettura teologica, Codina ha ricordato che la vita religiosa è sempre stata ed è chiamata ad essere un dono e una presenza viva profetica dello Spirito che vuole rinnovare la Chiesa. Ma attualmente si constata un deficit pneumatologico la cui conseguenza è stata una forte istituzionalizzazione interna, un iperattivismo apostolico, un indebolimento contemplativo e un’eccessiva fiducia economica e di potere. In questo modo la vita religiosa ha perso la sua forza mistica, profetica e sapienziale. Bisogna perciò riscoprire la sua dimensione pneumatologia, traducendo per il nostro tempo il legame tra vita religiosa e il deserto (recuperare la dimensione dell’esperienza spirituale), con la periferia (recuperare la centralità dei poveri) e con la frontiera (il dialogo sapienziale con il mondo per far nascere una nuova società). Tutto questo, tra le altre cose, suppone che si attribuisca significato più all’essere che al fare, venga rafforzata la vita comunitaria e siano sottoposte a verifica le stesse istituzioni.

Vari suggerimenti dai gruppi di studio

Vari suggerimenti sono venuti anche dai gruppi di studio. Alla domanda su come approfondire la riflessione per giungere a vivere meglio oggi la vocazione e la missione, sono stati sottolineati – schematicamente – i seguenti aspetti: l’esigenza della spiritualità e dell’esperienza di Dio, in sintonia con le ricerche spirituali dell’umanità; la centralità di Gesù e la necessità di tornare di frequente a lui; l’approfondimento della dimensione pneumatologica della vita religiosa; porre l’accento sulla nostra identità di seguaci di Cristo, in dialogo circolare con i laici; la vita comunitaria come spazio di umanizzazione e il carattere profetico e testimoniale di una vita religiosa attenta alle urgenze della giustizia in solidarietà con i poveri; la revisione delle nostre strutture; il rapporto tra la vita religiosa e la donna; l’approfondimento della formazione come religiosi e religiose.
Inoltre l’esigenza di un cammino di intercongregazionalità, così espresso: creare spazi di incontro e di riflessione; offrire risposte alle sfide che si pongono; favorire esperienze di vita comunitaria e di missione; discernere e agire congiuntamente davanti alle tematiche di attualità sociale presenti nel paese, specialmente le sfide che vengono dai poveri e dalla giustizia; compiere un cammino congiunto in relazione al ruolo della donna nella vita religiosa, nella Chiesa e nella società; favore il contributo delle nuove generazioni di religiosi e religiose.

Una vita religiosa che abbia futuro

Oltre a queste indicazioni dell’assemblea ci sembrano interessanti le affermazioni rilasciate dal p. Codina in un’intervista sulle nuove generazioni e su una vita religiosa che abbia futuro.
Gli è stato chiesto anzitutto: Che futuro vede per la vita religiosa in America latina? Si tratta – ha risposto – di una grande domanda. Si tratta di sapere quale tipo di vita religiosa ha una futuro, e, per converso, quale non avrebbe futuro? Credo, ha detto, che non abbia futuro un tipo di vita religiosa che voglia mantenere le strutture anteriori al Concilio o dello stesso Concilio, ma senza aprirsi alle nuove sfide. E la prova ne sarà che i giovani non guarderanno a questo tipo di vita. Ha significato invece una vita religiosa realmente aperta ai bisogni e ai problemi e a ciò che oggi la interpella, ai segni dei tempi, e nel medesimo tempo, profondamente radicata nelle dimensioni mistiche, profetiche, della sequela di Gesù e del Vangelo.
Credo – ha aggiunto – che in ogni istituto, in tutti i paesi, ci siano gruppi che stanno cercando, a volte sul piano più personale o più comunitario, questo tipo di vita religiosa. Ciò che pesa è forse l’armamentario complessivo delle istituzioni, delle forme ufficiali, anche se questo non appare tanto. Credo che dappertutto ci siano dei semi. Forse, ha sottolineato, a me pare che molte volte in questo le donne siano molto più libere, più creative e piene di fantasia, più coraggiose degli stessi maschi.

Gli è stato chiesto ancora: come dovrebbe essere questa vita religiosa per diventare un’opzione di vita per i giovani d’oggi?
Dovrebbe chiederlo loro – ha risposto. Vale a dire, questi giovani sono nati in un’altra cultura, dopo lo tsunami che ha scosso non solo la società, ma anche la Chiesa e la vita religiosa. Sono persone con un’altra sensibilità, con altri valori. A volte questi possono essere anche ambigui perché non c’è nulla che sia del tutto puro. Credo che da una parte bisognerebbe presentare ad essi la vita religiosa nella sua dimensione più profonda, più radicale, più mistica, più autentica, più evangelica. E dall’altra, una vita religiosa che sia aperta e in sintonia con i problemi e i bisogni del mondo d’oggi. A volte chi fa ingresso nelle case di certe congregazioni ha l’impressione di entrare nel secolo scorso. Compresi i dipinti e tutto lo stile di vita... e uno dice “Dio mio, questo non ha senso oggi!”.
Penso comunque che sia molto difficile rispondere a questa domanda. Bisognerebbe dialogare molto con i giovani, avere molto contatto con loro per conoscere un po’ quali sono i loro bisogni, le loro aspirazioni, quello che cercano.

Ma, qual è il pericolo che la vita religiosa deve evitare se vuole avere futuro?
Il primo è quello di guardare indietro. Soprattutto da parte dei più anziani. Credo che oggi ci sia il grande rischio di avere nostalgia del passato: noviziati pieni, province religiose numerose, con molte opere, con sufficiente prestigio, e anche potere, responsabilità, onorabilità sociale. Penso che si debba evitare questa specie di sogno nostalgico e guardare al presente e al futuro. Guardare al presente, in questa situazione di caos, e vedere quali germi di vita stanno spuntando.
Ritengo che di fronte a ciò che sta accadendo sul piano politico in Africa, e ora anche in Europa, i giovani non cerchino questo tipo di società che non è quella del benessere, ma del malessere. I cambiamenti energetici, il foro sociale mondiale, sono tutti sintomi che c’è un mondo che non va più di sé. La crisi di energia, il pericolo delle centrali atomiche; l’ecologia, il sistema economico che emargina; credo che ci sia qualcosa che non funziona e perciò bisogna guardare a germi di qualcosa di nuovo che sta nascendo.
Qui entrerebbe nel discorso anche il problema delle donne, vale a dire quello di un mondo tanto patriarcale, in cui c’è un grande disprezzo verso le donne, e tutto il mondo occidentale in America latina che ha disprezzato quello indigeno che è stato lasciato ai margini per secoli, senza voce, in cui le persone sono state considerate come cittadini di seconda categoria: tutto questo grida al cielo. Allora, una vita religiosa che parta di qui, che veda questo e voglia orientarlo nella prospettiva evangelica del regno: penso che questa abbia futuro. Voler conservare cose che forse un tempo erano giustificate, ma che per lo meno oggi risultano molto ambigue e molte volte praticamente irrealizzabili, mi sembra invece un compito che non ha futuro. (A.D.)