«I nostri tassi di fecondità del tutto insufficienti a garantirci il ricambio
generazionale, così come il ribaltamento della cosiddetta piramide delle età
(molti nonni e pochi nipoti, anziché molti nipoti e pochi nonni), hanno e
avranno sicuramente anche problematici effetti sociali, ma il loro significato
più profondo è un altro: essi attestano soprattutto il pericoloso torpore che si
è impadronito poco a poco del nostro cuore, la diffusa indifferenza per la
novità e per la libertà e, in ultimo, la nostra malcelata, inquietante
complicità con la morte» (p. XVIII). Difficile sottovalutare un così severo
giudizio che viene da uno strumento del Comitato per il progetto culturale della
Conferenza episcopale italiana.
I demografi inascoltati
Ogni anno mancano all’Italia 150.000 nati. I circa 600.000 (benedetti!) che
arrivano (di cui 78.000 sono stranieri per il 2010) non sono sufficienti per il
ricambio delle generazioni. Così il tasso di fecondità delle donne (1,4) è ben
lontano da quello che sarebbe auspicabile e necessario (2,2). Ciò significa la
contrazione della forza lavoro e l’ingestibilità dello stato sociale. La crisi
economica e finanziaria in atto produce il resto.
Il problema è di quelli che partono da lontano e rimangono a lungo non
percepiti. La linea di confine fra natalità sufficiente e insufficiente è
iniziata nel ’77; è stata immediatamente percepita dai demografi, ma è rimasta
largamente ignota non solo al grande pubblico, ma anche alle classi dirigenti e
alla politica. Quest’ultima non ha interesse ad affrontare problemi che non sono
di immediata evidenza e che non producono consensi in voti.
Un primo segnale della percezione della questione è contenuto in una lettera dei
vescovi dell’Emilia Romagna del 1986, in cui si diceva: «Una particolare
riflessione, in ordine all’attitudine della nostra società ad affrontare il
futuro, sembra richiesta dall’andamento demografico: l’estrema scarsità delle
nascite e il conseguente invecchiamento della popolazione si tradurranno
fatalmente in stanchezza sociale e in poca capacità innovativa, proprio quando
tale capacità diventerà sempre più necessaria.
Analogalmente, l’indebolimento dei tessuti dei rapporti familiari costituisce
una grave minaccia in ordine alle possibilità di dare significati all’esistenza,
di compensare equilibri, di trovare motivi di impegno. Acquista qui una speciale
evidenza il legame intrinseco che unisce diversi aspetti della vita _ come
l’economia e la morale, lo sviluppo sociale e le convinzioni religiose _ che
troppo facilmente si è portati a separare» (cf. Regno-doc. 5,1986,159). Allora
si addebitava buona parte della responsabilità al potere locale (di sinistra)
tendente a «dilatare sistematicamente gli spazi del proprio intervento», ma il
consumismo, l’edonismo, la laicizzazione e la mancanza di trascendenza sono
arrivati nel paese da molte parti, comprese quelle che affermano verbalmente i
valori non negoziabili. Oggi il volume si mostra più consapevole della
complessità degli influssi che formano la mentalità della gente, ma anche
dell’urgenza non procrastinabile del problema.
Le ragioni di un cambiamento
In trent’anni l’Italia è passato da un paese ad alto tasso di fecondità al paese
più vecchio dell’intero continente (e secondo, a livello mondiale, solo al
Giappone), da paese di emigrazione a paese di immigrazione, da società in forte
sviluppo a paese in tendenziale declino. «Il nuovo volto della popolazione
italiana del XXI secolo trova ampio riscontro sia nella rarefazione di alcuni
eventi tradizionalmente basilari per la vitalità demografica, come le nascite
[…] e i matrimoni (scesi da oltre 400.000 annui a circa 220.000 stimati nel
2010), sia nell’affermazione di alcune novità avviate e/o consolidatesi in
questi ultimi decenni. Basti pensare all’allungamento dell’aspettativa di vita
alla nascita, con un incremento di oltre otto anni tra il 1974 e il 2008; alla
già ricordata immigrazione straniera, con la sua progressiva trasformazione da
“lavoratori” a “famiglie di lavoratori”; alla pratica del divorzio, introdotta
nel 1970 e affermatasi nel tempo sino a raggiungere gli oltre 50.000 casi nel
2008 e a qualificare lo stato civile di ben 1,1 milioni di residenti al primo
gennaio 2010 (con un peso relativo del 4% nell’ambito dei 40-59enni); al
fenomeno dell’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), legalizzata a partire
del 1978 e con una rapida espansione a più di 200.000 interventi annui, poi
ridottesi a 120-130.000 in epoca più recente. Senza peraltro dimenticare
ulteriori comportamenti e scelte che appartengono alla sfera del ciclo di vita
familiare, come la prolungata permanenza dei giovani adulti presso la famiglia
di origine, il crescente ricorso alla convivenza prematrimoniale, l’affermarsi
delle nascite naturali, il fenomeno dei nuclei ricostruiti e altri ancora» (p.
6-7).
La finestra della possibile fecondità si contrae. Ragioni oggettivi si assommano
a tendenze di natura personale: i processi formativi si allungano, l’entrata al
lavoro è sempre più tardiva, il lavoro è sempre più precario, i matrimoni
vengono rimandati, le case sono troppo care, l’impegno amoroso stabile non è
apprezzato, la fecondità non è sostenuta ecc. Con esiti problematici. Già oggi
«La popolazione degli ultrasessantacinquenni (i nonni) supera … di oltre mezzo
milione quella con meno di 20 anni (i nipoti), ma la 2031 potrebbe superarla di
ben 6 milioni; nel contempo persino il sorpasso numerico della popolazione
ultraottantenne (i bisnonni) sulla popolazione come meno di dieci anni (i
pronipoti) sembra prospettarsi in tempi relativamente brevi» (pp. 67-68). Le
cifre sono tali da lasciare intendere che nulla può rimanere immutato pena
l’esplosione dell’intera società ed economia italiana. Nel 2050 la popolazione
attiva non sarà in grado di sopportare il peso di quella non attiva.
Tre capitoli ricchi e articolati
I tre capitoli del volume sono particolarmente ricchi e articolati. Nel primo si
affrontano i cambiamenti demografici, in parte già accennati. Va aggiunto che la
drammatica curva negativa della fecondità contraddice i desideri delle coppie
italiane. «Se il modello della famiglia con un solo figlio è sempre più diffuso,
le intenzioni di fecondità espresse dalle madri italiane indicano invece come,
nella concezione dominante, il tipo di famiglia ideale sia quella con due figli:
il loro numero medio “desiderato”, pur essendo ridotto passando alle generazioni
più giovani, rimane infatti sempre superiore a due» (P. 16). Il secondo capitolo
si dedica agli approfondimenti tematici e ai nodi critici. E cioè: la sconfitta
della mortalità precoce e l’allungamento della vita, i cambiamenti nelle
stagioni vitali (allungamento dell’infanzia e giovinezza, ma anche della
vecchiaia); i numeri e i ruoli degli immigrati (che contengono la diminuzione
della natalità, pur non garantiscono per il futuro un analogo ruolo); il
passaggio sempre più complesso dalla stagione giovanile a quella adulta; il
popolo dei “non nati” (e cioè il ruolo dei bambini che l’aborto ha soppresso e
che ora sarebbero parte di una generazione adatta alla procreazione). Il terzo e
ultimo capitolo è dedicato alla demografia sostenibile e alla proposte per il
futuro.
Prima di arrivare a questo sottolineo il ruolo dei media nel trasmettere le
concezioni e i valori relativi alla famiglia, alla nascita e alle stagioni della
vita. I media costituiscono oggi una fonte non sostituibile di conoscenza e di
formazione. L’attenzione, peraltro limitata, che dedicano alla demografia è
prevalentemente motiva dall’allarme per la tenuta del sistema di benessere
sociale, dai pericoli che derivano per i processi produttivi, e dai possibili
conflitti sociali che possono nascere o dalla presenza massiccia degli immigrati
(oltre cinque milioni) o dalla ribellione delle generazioni più giovani che si
trovano gravate da un debito pubblico e dal peso degli anziani che non sono in
grado di portare. È soprattutto la televisione che seleziona i modelli culturali
e interviene nel confermarne alcuni e sconfermarne altri. Basti pensare al
crescente peso degli anziani nelle fiction che rispondono al grande numero di
anziani utenti televisivi e alla disponibilità economica delle loro pensioni, ma
anche al ruolo dei bambini. Da un lato si dà fiato a un puerocentrismo
ossessivo, dall’altro scompare la disponibilità reale alla loro presenza. La
nostra società è sempre meno a misura di bambino. «Se i bambini non sono
scomparsi dai media e dalla pubblicità, è vero però che è scomparsa l’infanzia,
intesa come “condizione” con proprie esigenze che gli adulti devono riconoscere,
difendere e coltivare» (p. 120-121). È inesistente la programmazione specifica
per i bambini e la loro presenza sui media è sempre più uno scimiottamento degli
adulti (dai vestiti agli spettacoli). Ampio spazio viene dato alle «nuove
famiglie»: divorziati, risposati, con tutti i legami precedenti e nuovi. Una
esigenza narrativa che forza i dati di realtà, come nel caso delle coppie miste
(italiani-stranieri) o delle coppie omosessuali.
L’immagine e la realtà
La sovra-rappresentazione di alcuni modelli familiari e di stagioni della vita è
guidata da alcune tendenze culturali di fondo come l’accentuazione acritica
della realizzazione personale (l’ideale femminile non è legato alla maternità,
ma al successo, ad esempio) e il sistematico privilegio concesso alle forme
eccentriche o eccezionali della vita familiare. Dal punto di vista temporale si
assolutizza il presente e conseguentemente si penalizza tutto ciò che richiede
tempo, fatica e verifiche lente (dai processi di nascita a quelli della
formazione, alla stabilizzazione delle relazioni). Si potrebbe forse parlare
della «difficoltà a concepire i bambini come figli, cioè a sostenerne e
accompagnarne il processo di crescita, coi tempi e le esigenze che esso
richiese» (p. 131).
Per ripartire con una più generosa apertura alla vita è necessario un lavoro di
grande lena sulla mentalità e la cultura diffusa, come anche un radicale
mutamento in ordine agli indirizzi di progettualità economica e civile. È
necessaria insomma una grande alleanza trasversale a favore della famiglia, una
sorte di piano nazionale capace di scandire nei tempi lunghi disposizioni
amministrative e legislazioni favorevoli. Sapendo che «un possibile eccesso di
capacità produttiva viene rapidamente corretto se la popolazione si espande,
mentre _ all’opposto _ la propensione all’investimento diminuisce se la
popolazione si contrae, e ciò ha come conseguenza un graduale allungamento dei
tempi di incorporazione dell’innovazione tecnologica di processo» (p. 144). Una
correzione di rotta si può pensare solo rafforzando il sistema famiglia, la
forma prevalente che essa ha nella società italiana, favorendo il trasferimento
di risorse dalle generazioni più vecchie a quelle giovani. E questo si può
ottenere attraverso quattro elementi fondamentali: l’equità nell’imposizione
tributaria e nelle politiche tariffarie, la conciliazione delle esigenze del
lavoro e della famiglia, il favore concesso si contratti relazionali (che
recepiscono le esigenze familiari), sino alle politiche abitative a misura della
famiglia. Il momento è propizio per dare una nuova centralità alla famiglia, per
ridurre i danni crescenti di una impostazione individualista e per ripensare in
forma creativa un nuovo welfare che abbia i caratteri della relazionalità, della
sussidiarietà e della socialità.