Fiducia è sinonimo di stima, affidamento; comporta la disponibilità a dare
credito a qualcuno o a qualcosa, nei confronti dei quali ci si sente sicuri. È
un atteggiamento interiore che si può vivere in rapporto a molteplici realtà. Si
parla, ad esempio, di fiducia in se stessi, nelle persone, in Dio, nel proprio
lavoro, nel futuro, nella giustizia, nella vita. Atteggiamenti contrari sono il
sospetto, la diffidenza, la paura, l’insicurezza. Ciascuno di noi si colloca
abitualmente in un punto relativamente stabile nel continuum che sta tra i due
poli: fiducia-sfiducia, anche se può avvicinarsi di più all’uno o all’altro polo
per quanto riguarda il suo atteggiamento nei riguardi di una specifica realtà.
La riflessione che segue analizza il tema della fiducia tra le persone, i
fattori che la determinano, le condizioni per sperimentarne i benefici.
Le basi della fiducia
La fiducia interpersonale è “una caratteristica della personalità relativa alla
visione che una persona ha della vita e degli altri. In particolare, la fiducia
è un’aspettativa, una convinzione e un sentimento” . È il sentimento di poter
contare sugli altri. Il fatto che le persone differiscano tra di loro, anche
notevolmente, nello sperimentare abitualmente sentimenti di fiducia o di
sfiducia nei confronti degli altri dipende da diversi fattori: in primo luogo le
relazioni vissute nei primi momenti della vita, gli insegnamenti ricevuti, la
frequentazione di determinati ambienti, i “modelli” incontrati nel corso
dell’educazione, particolari esperienze vissute nell’ambito relazionale.
Tra questi fattori merita di essere sottolineato in particolare quello relativo
alle esperienze relazionali vissute nei primi anni di vita. Un noto studioso del
comportamento umano, E. Erikson, attraverso i suoi studi di psicologia evolutiva
è pervenuto alla conclusione che ogni essere umano è chiamato a sviluppare
progressivamente diversi “atteggiamenti di base” nel corso della sua evoluzione
per poter arrivare a formarsi una personalità matura e l’acquisizione di tali
atteggiamenti è legata soprattutto alla qualità delle esperienze relazionali
vissute dal soggetto. Ora, è significativo che il primo “atteggiamento di base”
che il bambino deve sviluppare fin dal primo anno di vita è indicato da Erikson
come “senso di fiducia”, o fiducia di base. Le cose stanno pressappoco così: se
il bisogno di cibo, di calore, di rassicurazione viene soddisfatto prontamente e
adeguatamente, allora il bambino sul piano emotivo acquista un “senso di
fiducia”, che sarà la tonalità affettiva dominante della sua personalità. Il
bambino che prova l’esperienza gradevole di essere oggetto dell’amore e della
stima della mamma acquista la capacità di percepire se stesso (e la realtà in
genere) come buono, degno di fiducia e di amore. E viceversa. Lo sottolinea bene
il filosofo J. Guitton: “Chi sono io, se non ciò che credono che io sia coloro
che mi amano?” . Sviluppare un senso di fiducia in se stessi diventa a sua volta
un presupposto fondamentale per sviluppare sentimenti di fiducia verso gli altri
e la realtà.
Se è vero dunque, come afferma un proverbio popolare, che la vita è un po’ come
la si incomincia, allora non è certamente difficile cogliere quanto siano
determinanti, per il tema che stiamo considerando, le modalità con cui siamo
stati accolti al nostro ingresso in questo mondo, gli atteggiamenti personali
dei “modelli” (in primo luogo i genitori) con i quali abbiamo anzitutto
interagito mentre andavamo scoprendo la realtà circostante, come anche il
successo o l’ insuccesso nelle nostre prime esperienze a contatto con il mondo
circostante.
Naturalmente potranno avere poi un peso particolare anche determinate esperienze
vissute nel corso degli anni: l’aver sperimentato l’aiuto degli altri in un
momento di bisogno, l’aver incontrato persone dalle quali ci siamo sentiti
ascoltati e capiti o dalle quali ci siamo sentiti amati e che si sono prese cura
di noi. Al contrario, si può creare in noi un senso diffuso e permanente di
sfiducia se il nostro pianto non è stato consolato, se il nostro bisogno di
affetto non è stato corrisposto e il bisogno di comprensione frustrato, se un
segreto è stato tradito, se siamo stati vittima di raggiri e di imbrogli.
Anche la fiducia in Dio – fattore determinante per realizzare una determinata
concezione generale della vita e della realtà – è condizionata da particolari
esperienze nel corso dell’educazione. «È decisivo – si afferma nel Catechismo
dei bambini – che il primo incontro col nome di Gesù avvenga sotto il segno
della vita e sia associato alla gioia e all’amore. Quando ciò avviene, tutti i
successivi incontri saranno più facili, perché evocano una presenza di bene. Al
contrario, se questo primo incontro avviene sotto il segno della paura e della
morte o rimane associato alla tristezza di una minaccia e di un ricatto
affettivo, viene compromessa ogni successiva apertura fiduciosa al mistero di
Gesù. Anzi i bambini possono manifestare insofferenza e rigetto per qualsiasi
discorso su Gesù o gesto di preghiera a cui vengono sollecitati» . Avranno poi
il loro peso anche altre circostanze della vita in cui si è potuto sperimentare
o meno un Dio soccorrevole e buono.
Dare e ricevere fiducia
Sentire la fiducia da parte degli altri ha un’eco particolarmente piacevole e
positiva in ciascuno di noi: ci fa sentire degni di stima e incoraggiati,
migliora l’immagine che abbiamo di noi, ci rende più sicuri e ci aiuta a tirar
fuori il meglio da noi stessi. È ancora J. Guitton a fare una constatazione
importante, che si applica soprattutto nei primi anni della vita ma che non
perde il suo valore anche in seguito: «Ciascuno di noi agisce, realizza, persino
esiste, in proporzione di ciò di cui lo crede capace colui che l’ama. Il segreto
dell’educazione consiste nell’immaginare ogni creatura un po’ migliore di quella
che è realmente» .
Questa constatazione è sufficiente per auspicare che ciascuno di noi sia aperto
verso gli altri e disponibile ad accordare abitualmente fiducia. Una fiducia
reciproca: tra genitori e figli, educatore ed educandi, superiore e “sudditi”,
sacerdote e laici, uomo e donna, adulti e giovani.
Aver fiducia nelle persone significa non aver paura della loro libertà, “pensar
bene” di loro (“a giudicar bene si indovina sempre almeno in qualche cosa” –
annotò un giorno A.G. Roncalli in una sua Agenda ), credere che siano
abitualmente in grado di fare ciò che è meglio per loro in un determinato
momento, non rimanere prigionieri di stereotipi ma essere capaci di “aggiornare”
la percezione che abbiamo degli altri in base a dati di realtà che si
evidenziano di volta in volta,
Più concretamente. Aver fiducia nelle persone fa sì che l’educatore (il
genitore) non adotti uno stile di guida autoritario e basato su un controllo
soffocante (considerando l’educando – come dice Guitton – un po’ migliore di
quello che è); accetti il fatto che “educare è un rischio” e sia disponibile a
correrlo senza troppa ansia, tenendo conto tra l’altro che Dio è continuamente
all’opera nelle persone; sia più pronto ad ascoltare e comprendere che non a
dare consigli e fare raccomandazioni.
Un superiore manifesta fiducia nelle persone a lui affidate quando evita ogni
forma di paternalismo/maternalismo e le responsabilizza, come pure non è
ossessionato dalla segretezza, ma rende facile l’accesso alle informazioni che
le riguardano; si «preoccupa di creare un ambiente di fiducia, promovendo il
riconoscimento delle capacità e delle sensibilità dei singoli» ; non è dominato
dall’ansia di accentrare su di sé ogni responsabilità, ma è pronto a delegare
quando si presenta la necessità o l’opportunità – attenendosi al “programma per
lo sviluppo della vita di perfezione, e criterio fondamentale: fare: lasciar
fare: dar da fare: e far fare» .
In una comunità religiosa c’è fiducia reciproca quando la comunicazione è
aperta; ognuno sente di poter contare sull’aiuto e l’accoglienza reciproca; non
si formano gruppi chiusi; non si è gelosi dei talenti e dei successi di
confratelli/consorelle (forse è relativamente più facile seguire l’ammonimento
paolino di soffrire con chi soffre che godere con chi gode…); non ci sono
rivalità e ci sono manifestazioni concrete di apprezzamento. San Paolo ammonisce
ad avere fiducia gli uni degli altri quando scrive: “Non fate nulla per spirito
di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri
gli altri superiori a se stesso” – cosa non facile da praticare, se si condivide
(anche solo parzialmente) l’affermazione piuttosto tagliente di M. Twain: «La
buona educazione consiste nel nascondere quanto bene pensiamo di noi stessi e
quanto male degli altri».
I rischi della fiducia
Dare fiducia alle persone ci procura benevolenza e riconoscenza, gli altri ci
percepiscono come persone positive e stimolanti nei loro confronti – in una
parola: ci facciamo amare. È però facile immaginare come possa sorgere spontanea
la domanda: non si corre il rischio, mentre si vuole accordare fiducia alle
persone, di essere ingenui, di cadere vittima di imbrogli, di andare incontro a
delusioni, di indurre le persone ad approfittarsene?
Il rischio esiste. Si possono comunque fare due considerazioni. In primo luogo,
il dare fiducia alle persone non deve essere disgiunto dalla prudenza. Questa
virtù, la prima delle quattro virtù cardinali, ci ricorda che la realizzazione
del bene (e accordare fiducia è un’azione buona) presuppone sempre la conoscenza
della realtà: un agire buono è sempre prudente in quanto si basa sulla
preesistenza di conoscenze vere, obiettive. Il prudente è aperto alla realtà, sa
cogliere gli aspetti positivi presenti in ogni persona, senza negare aspetti
problematici e rischi possibili. La fiducia accordata alle persone non ha nulla
che contraddica la prudenza, e viceversa. La fiducia è amore per le persone; la
prudenza, pensiero: l’amore si dona, l’intelligenza vigila.
In secondo luogo, la fiducia, espressione di bontà e di semplicità, deve
accettare di correre qualche rischio, quel rischio al quale appunto va incontro
a volte la persona che vuole essere buona: può dunque suscitare non diciamo
disprezzo, ma minore considerazione, può essere considerata ingenua e remissiva,
una che non sa come vanno le cose in questo mondo. È un possibile prezzo da
pagare. È importante allora che la persona che vuole accordare fiducia agli
altri non si lasci scoraggiare o deviare o perda la serenità dell’animo per
qualunque contegno che gli altri tengano con lei. Ce ne dà un esempio A.G.
Roncalli, il quale in una sua Agenda annota: «Rientrando fui preso in mezzo dai
poveri, devo essere misericordioso e paziente: una volta e l’altra restare anche
vittima del loro circonvenirmi: ma ciò non deve diventare regola» .
Imparare a dare fiducia
Si può imparare a dare fiducia alle persone? La risposta è: sì.
Se si tiene conto che, come precedentemente richiamato, la fiducia in noi stessi
(che è amore e accettazione di sé) è un presupposto fondamentale per essere
capaci di dare fiducia agli altri, ecco allora una prima indicazione: occorre
lavorare pazientemente per migliorare la conoscenza di noi stessi e la nostra
immagine, accrescere la fiducia nelle nostre possibilità esercitandoci ad
affrontare anche situazioni che abbiamo sempre ritenuto “impossibili” per noi,
sottoporre a verifica la fondatezza di certe nostre paure o sospetti, ricordare
gli effetti particolarmente benéfici che la fiducia procura alle persone. L’uomo
interiormente buono, fiducioso in se stesso, ha un occhio buono anche verso gli
altri, e viceversa. È spesso il nostro occhio “maligno” (in senso psicologico)
che ci fa vedere negativamente le persone.
In secondo luogo, anche dagli altri può venire un aiuto. Quando, ad esempio,
qualcuno ci fa notare che da parte nostra non sente fiducia nei suoi confronti,
anziché porsi in atteggiamento difensivo è utile disporsi ad ascoltare e cercare
di capire, servendoci di domande come le seguenti: che cosa ti fa dire che io ho
poca fiducia nei tuoi riguardi?; hai spesso questa sensazione?; puoi fare un
esempio concreto di una situazione nella quale in modo particolare hai avvertito
la mancanza di fiducia da parte mia?. Se c’è un reale desiderio di capire, non
sarà difficile farsi dare dall’altro informazioni preziose sul nostro modo di
agire, le quali ci possono far prendere coscienza di atteggiamenti più o meno
inconsci che interferiscono nel nostro rapporto con le persone.
In definitiva, dato che la fiducia è un ramo della carità, esercitarsi
nell’accordarla è un esercizio di carità, è il “gareggiare nello stimarsi a
vicenda” , è lo sforzo di guardare al nostro prossimo con gli occhi di Dio, il
quale più di tutti noi ha “rischiato” la fiducia nell’uomo.
Qualcuno ha affermato che “se la fiducia in Dio è il principio della saggezza,
quella negli uomini ne è la fine”. Anche se a volte siamo tentati di pensare
così – tentazione a cui non è sfuggito il salmista, che si sfoga dicendo: “ogni
uomo è inganno” – si deve dire che questa affermazione nasce da una visione
profondamente scettica delle relazioni umane, una visione non realistica e
comunque non ispirata a carità e all’agire di Dio nei nostri confronti. Una
convivenza serena e tranquilla è possibile solo se tra le persone ci si impegna
a crescere nella mutua accoglienza e fiducia, atteggiamenti che favoriscono
l’apertura di sé e la cooperazione.
Raissa Maritain ha scritto nel suo Diario: «Sotto il tuo sguardo provo un
indicibile senso di fiducia, Dio mio, non perché il mio cuore sia puro! Ma
perché il tuo sguardo è buono» .
Così è anche tra le persone: è quando ci sentiamo guardati con uno “sguardo
buono” che si mettono in moto in noi sentimenti di fiducia.