Il XIX Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa tenutosi a
Bose (7-10 settembre 2011), col tema La parola di Dio nella vita spirituale, ha
messo subito in evidenza i temi sul tappeto, davanti a circa 250 attenti
partecipanti da tutte le parti del mondo, con la relazione del metropolita di
Messenia (Grecia), Chrysostomos. La Chiesa, ha precisato l’oratore, prima di
tutto è celebrazione e solo in un secondo tempo insegnamento e ordinamento
ecclesiastico. Esiste un rapporto dialettico tra Sacra Scrittura e culto divino,
che è da un lato esistenziale-esperienziale (per la pregustazione del regno di
Dio), e in secondo luogo eucaristico, quale evento ecclesiale. Questo conduce
non solo a una comprensione intellettuale della Scrittura stessa, ma anche alla
sua interpretazione secondo la fede e la vita della Chiesa. Tale concezione
dialettica (esperienziale ed escatologica) della Scrittura nell’ambito
dell’assemblea eucaristica viene applicata dai padri della Chiesa anche nel
contesto del simbolismo figurativo dell’adorazione divina.
Le vivaci reazioni dell’assemblea hanno subito posto in evidenza i punti critici
di questa lettura: in particolare la correlazione tra la Sacra Scrittura, la
Liturgia, la Tradizione dei Padri e i segni dei tempi. A detta di molti è qui il
nodo per un rinnovamento pastorale e spirituale del mondo ortodosso oggi. In
particolare su questo hanno dibattuto i fautori del tradizionale rapporto
“devozionale” col testo biblico e coloro che auspicano una maggiore attenzione
alle influenze del metodo storico-critico. Si è avvertita l’esigenza di non
perdere, per esempio, la ricchezza di una lettura filologica ma anche
contemplativa derivante da Giovani Crisostomo. Anche il messaggio del patriarca
di Mosca, Cirillo, sottolinea del resto come la conoscenza della Parola non è
racchiusa solo nel suo studio attento e continuo: «I santi Padri erano
profondamente convinti che la lettura della Sacra Scrittura dovesse rinvigorire
l’osservanza dei comandamenti del Signore e la sequela di Cristo», trasfigurando
le loro esistenze verso la santità.
Il mondo ortodosso a un crocevia
Su tutto ciò si sono innestate le tre direttrici del Convegno: le ermeneutiche
della Bibbia elaborate dai padri della Chiesa, con l’esame di problematiche
ancora molto attuali (significato dei diversi generi letterari; rapporto tra
esegesi, prassi ed esperienza spirituale; senso ecclesiale della Scrittura;
relazione viva tra fede e Parola); la dimensione ecclesiale della parola di Dio;
la realtà della presenza della Scrittura nelle diverse chiese, in particolare
nell’esperienza dei monaci cristiani.
L’attualità della discussione è stata confermata dai vari autorevoli messaggi
giunti durante i lavori. La Cei, tramite il suo segretario mons. Crociata, ha
ricordato che «la lettura della Scrittura (che la parola di Dio contiene) nella
tradizione orientale è sempre lettura nello Spirito» e che «l’oriente cristiano,
in maniera particolare, vive questo legame profondissimo tra la Scrittura e lo
Spirito Santo, che ne è anche il primo principio ermeneutico»; dopo il Vaticano
II «è stato possibile evidenziare la significativa convergenza, pur nella
diversità delle tradizioni, su questa realtà pneumatica della Scrittura».
Anche il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione
dell’unità dei cristiani, osservando lo smarrimento dinanzi alle sfide che la
cultura contemporanea pone ai cristiani, ribadisce che l’incontro con la parola
di Dio vivente può avere grande importanza poiché «l’impegno per il
ristabilimento della piena unità dei cristiani non si configura soltanto come
mero confronto dottrinale, ma come il ricomporsi dei credenti nella fede di
fronte alla Parola stessa di Dio, viva ed efficace». In fondo si chiede un
rinnovamento che, senza eliminare adorazione-contemplazione, dia voce a coloro
che chiedono una lettura meno allegorica e fantasiosa e una maggiore attenzione
alle domande che la storia pone alla Parola (incarnazione).
È la posizione dell’accademia di studio greca “Volos”, guidata dal teologico
laico dr. Kalaitzidis, il quale ci comunica in un’intervista che il mondo
ortodosso si trova a un crocevia multiculturale, dopo una storia segnata da
stili autoritari e da fermenti nostalgici: «l’ortodossia è ancora troppo legata
al passato e noi vogliamo costruire uno spazio dove prevalga una visione più
escatologica… ogni aspetto della modernità va confrontato con il Cristo che
viene e vive oggi nel mondo. Anche i grandi padri della tradizione in fondo
hanno lavorato per far incontrare Gesù con la cultura del loro tempo. Oggi
l’ortodossia è fortunatamente attraversata da una certa pluralità, anche se il
fondamentalismo sembra prendere una certa forza contando sulla paura di essere
troppo inglobati, anche nell’approccio biblico, in una mentalità occidentale di
tipo protestante o cattolico. Proprio sulla sorgente della parola di Dio si
giocano questi contrasti: c’è paura che la Parola sia troppo sovversiva e che
vada controllato bene come dare il testo nelle mani della gente. Uno stereotipo
da vincere è che la lettura protestante o cattolica sia troppo individualista o
razionalista, mentre quella ortodossa garantisce una maggiore ecclesialità!
Invece oggi la gente chiede traduzioni più comprensibili, meno fondamentalismo e
una maggiore comunione tra laici e monaci-clero».
La spiritualità non è un forma di nirvana
Si è avuto modo dunque di constatare che vari sono gli orientamenti circa il
modo di accostarsi al testo biblico. Del resto la pluralità degli approcci è
alla base delle più antiche differenziazioni teologiche all’interno della Chiesa
(cf. le scuole di Alessandria e Antiochia). Ma ciò non pregiudica assolutamente
la convinzione, più volte ribadita, che la Scrittura resta comunque la fonte
prima della vita spirituale di ogni cristiano. Come ha ribadito Sabino Chialà di
Bose, «ogni volta che le Chiese hanno avuto paura della Scrittura, e hanno
voluto sottrarsi al rischio dell’interpretazione, hanno poi dovuto constatare di
aver pagato a caro prezzo una tale rinuncia. Ecco dunque una acquisizione chiave
di questi nostri giorni: la Scrittura permea tutta la vita della Chiesa».
Abbiamo avuto modo di constatarlo confrontandoci con la liturgia, osservando
come la Scrittura è l’anima della celebrazione eucaristica e dell’anno
liturgico. Tutto nella celebrazione raffigura l’evento di cui la Scrittura è
narrazione. Di qui la convinzione che la Parola proclamata venga compresa dal
popolo di Dio, mediante un’adeguata esplicazione, a conferma che la liturgia è
luogo privilegiato in cui la fede è non solo celebrata ma anche trasmessa e
approfondita.
Questa centralità della Scrittura nella vita spirituale ci è stata ri-percorsa
sulla scia di alcuni padri: Giovanni Crisostomo, Efrem il Siro, i padri del
deserto, Gregorio Magno e Teofane il Recluso (dunque il mondo greco, siriaco,
egiziano, latino e russo). Ciascuno di questi autori ci ha ricordato
l’imprescindibilità della meditazione delle Scritture. Il metropolita di Bursa,
Elpidophoros, del Patriarcato di Costantinopoli, all’inizio della sua relazione
ha chiaramente confermato che la spiritualità ortodossa «non consiste soltanto
in belle idee, sublimi pensieri e gradevoli riflessioni; è piuttosto un ethos
ecclesiale equilibrato e autentico, uno stile di vita puro, un comportamento
retto, un atteggiamento e una condotta di vita precisi».
Questo ci è stato confermato da Giovanni Crisostomo, convinto di un rapporto
personale e quotidiano di ogni credente con la Scrittura. Così egli scrive:
Qualcuno dirà: “Io non sono né religioso, né anacoreta: ho moglie e figli e mi
prendo cura della famiglia”. Ecco la grande piaga dei nostri tempi: credere che
la lettura del Vangelo sia riservata solo ai religiosi o ai monaci, mentre siete
voi, più di loro, ad averne maggiormente bisogno. Quelli che sono al cuore della
mischia e ogni giorno ricevono nuove ferite hanno più di tutti necessità di
essere curati. È un grande male non leggere i libri che recano la parola di Dio,
ma ve n’è uno peggiore: credere che questa lettura sia inutile (“Commento a
Matteo” 2,5).
E, su questa linea, Efrem il Siro afferma che se, nell’incarnazione il Logos si
è vestito di carne umana, nella Scrittura egli si è rivestito di parole umane.
Di qui dunque lo statuto dell’esegeta che non chiude il testo, ma lo apre
facendo intuire i molteplici sensi che esso nasconde. La testimonianza di papa
Gregorio Magno ha richiamato infine come la lectio divina fosse la sua
esperienza quotidiana dello Spirito Santo. Il Verbo di Dio si sviluppa nella
Chiesa, dove ciascuno è raggiunto da una parola indirizzatagli in un modo
speciale, come una lettera che Dio stesso gli invia, col fine di rivelargli il
suo cuore. E ciò è particolarmente necessario per chi ha un ruolo di guida
ecclesiale: la sua autorità gli viene solo da un’assidua frequentazione delle
Scritture.
Incarnazione tra fede e storia
Alla luce di quanto detto, ci sembra anche che si sia stemperata l’opposizione
tra “lettura patristica della Scrittura” e “metodo storico critico”. Il Libro
dei cristiani non è “caduto dal cielo” (non possiamo definirci “religione del
libro”): lo Spirito santo ha illuminato, ha ispirato degli uomini che hanno
scritto essendo proprio uomini. Come il Figlio, nella sua incarnazione, è
entrato in una storia concreta e definita, così anche la Scrittura nasce in un
contesto storico di cui porta i segni. Questo per evitare qualsiasi tipo di
interpretazione letteralistica e fondamentalistica della Scrittura, che non
appartiene alla grande tradizione cristiana.
Gli stessi Padri furono contemporanei delle culture del loro tempo e seppero
parlare ai loro contemporanei, utilizzando un linguaggio che non ne umiliasse
l’intelligenza. Ma anche perché seppero utilizzare una pluralità di approcci
esegetici (per es. ad Alessandria prevalse l’allegoria e ad Antiochia la
lettera). Un padre siriaco del VII secolo (che attesta una contrapposizione tra
“esegesi di scuola” ed “esegesi spirituale”, tra Atene e Gerusalemme) conferma
infatti che tale contrapposizione non fa loro giustizia. Egli distingue infatti
tre approcci ermeneutici che devono fecondarsi reciprocamente: a) l’esegesi
“storica” praticata nelle scuole; b) l’esegesi “omiletica” (alla maniera di
Basilio e Giovanni Crisostomo) praticata nelle chiese di villaggi e città; c)
un’esegesi “spirituale” praticata dai solitari (con le tre modalità: sinassi
comunitaria del fine settimana, vita in cella e colloqui con gli anziani
spirituali). Il contesto della lettura deve determinarne l’orientamento, che
tuttavia deve sempre restare in dialogo con le altre letture ugualmente
legittime.
Molte conferme di queste indicazioni sono venute dalla tavole rotonde dedicate
al confronto con l’oggi delle chiese e dei monasteri. Qui abbiamo avuto modo di
ascoltare ricchezze e povertà della presenza della Scrittura nei vari contesti
d’oriente e d’occidente. Dalla Grecia alla Russia, dalla Serbia alla Bulgaria,
dal Medio Oriente agli Stati Uniti, la Bibbia è percepita come nutrimento
essenziale delle comunità cristiane e monastiche, nonostante le infedeltà nel
custodirla come tesoro prezioso e come strumento missionario.
Ci sembra importante concludere, a proposito del rapporto prezioso tra Parola e
testimonianza laica, con alcune parole del rappresentante ortodosso del Concilio
mondiale delle Chiese, il libanese dr. Michel Nseir, che ha illustrato il suo
impegno per il dialogo ecumenico in Medio Oriente. «Lo sforzo delle Chiese
ortodosse (oltre che di altre denominazioni) è quello oggi di dire una parola
comune pur nelle diversità… Ciò che oggi sta accadendo e che viene chiamato
“primavera araba” consiste in una serie di segnali promettenti, ove si colgono
elementi comuni ma anche molte differenze. Comune denominatore (a partire dalla
matrice di tutto: il conflitto israelo-palestinese!) è il fatto che in molti di
quei paesi c’è stata di fatto poca democrazia e tutti hanno approfittato in modo
ipocrita della situazione per i propri interessi. Questo sta cambiando
rapidamente: ovviamente in questo c’è spazio per ogni tipo di estremismo e non
solo islamico, come invece si vuol far credere. Si tende così a creare
un’atmosfera di paura attivando la sindrome del “nemico”. Noi cristiani dobbiamo
invece opporci allo “scontro delle civiltà” per annunciare le differenze delle
culture e delle religioni, con il loro potenziale di vivere insieme nel rispetto
reciproco. Questo è il ruolo delle Chiesa: creare una contro-cultura,
promuovendo le diversità e la comprensione reciproca. E portare questo stesso
spirito anche in Europa dove assistiamo alla fuga-migrazione di tanti
mediorientali».