I missionari della Consolata hanno di recente pubblicato gli Atti del loro XII capitolo generale, tenuto a Roma dal 9 maggio al 20 giugno. Recano la firma dei capitolari e delle capitolari e sono introdotti da una “presentazione” del nuovo superiore generale, p. P. Stefano Camerlengo, 55 anni, finora vice superiore generale, successo nella carica a p. Aquiléo Fiorentini.
La pubblicazione degli Atti rappresenta un momento molto importante. Rappresenta il passaggio da Capitolo al post-capitolo, alla fase di assimilazione delle linee maturate e dell’attuazione delle proposte formulate, alcune delle quali con il carattere di vere e proprie priorità.
Gli Atti devono perciò essere accolti con grande interesse e partecipazione. Padre Stefano, presentandoli, esorta «a evitare il commento superficiale, negativo per partito preso, espressione di una mancanza di volontà nel voler collaborare, con disponibilità e nella comunione, con il resto della comunità». Per questo, sottolinea, i documenti prodotti «prima che da leggere sono da pregare perché contengono un forte invito alla conversione e al cambiamento, condizione indispensabile per andare avanti».

In un’epoca di profondi cambiamenti


Sono stati cinque i temi fondamentali presi in esame dal capitolo: identità e carisma, la missione, la formazione, l’economia di comunione, l’organizzazione. Il superiore generale invita a ripartire «con gioia e determinazione» per recuperare, attraverso questi due atteggiamenti, «il sentiero dell’evangelizzazione, della missione ad gentes».
Il Capitolo ha cercato di lasciarsi interpellare dalla realtà e di leggere i segni dei tempi nei vari ambiti in cui l’Istituito è chiamato oggi a svolgere la sua missione: il mondo, la Chiesa e lo stesso Istituto, tenendo presente che la missione oggi è in continua evoluzione. Si tratta di cambiamenti anzitutto che avvengono nel mondo e riguardano la realtà politica, economica e religiosa, all’interno del fenomeno più ampio della globalizzazione; cambiamenti anche nella Chiesa, che si trova confrontata con una realtà mondiale dove i due terzi dell’umanità non conosce e non si identifica con Gesù Cristo, segnata dalla diffusione dell’ateismo, dell’agnosticismo e dell’indifferenza, dove «il dialogo interpersonale e interreligioso diventa impellente e parte della novità della missione presente».
Davanti alle nuove situazioni, inoltre, «si sente il bisogno di una riflessione teologica che definisca qual è esattamente il concetto di missione e ne indichi possibili applicazioni pratiche».
Ma anche l’Istituto è toccato molto da vicino dai cambiamenti in atto: da una realtà internazionale si sta passando a una nuova realtà multietnica e interculturale «che sta ridisegnando e arricchendo il volto delle comunità e la comprensione del carisma». Si constata inoltre un debole senso di appartenenza in diversi missionari, con l’emergere di atteggiamenti quali l’individualismo e l’affievolirsi dello spirito missionario, fenomeni che «rivelano la necessità di comunità locali con forza vitale e spirito di rinnovamento».
Rispetto al passato, sono cambiati anche i giovani che bussano alle porte delle comunità. Sono diversi per età, maturità umana, esperienza di Dio e formazione accademica. «Se da una parte questa è una ricchezza – si legge negli Atti, dall’altra diventa una sfida che ci obbliga a ripensare la nostra formazione, sia di base che continua».
Infine, il fenomeno della globalizzazione, con l’avvicinamento dei paesi e dei continenti, richiede all’Istituto «un ripensamento e una sua riorganizzazione come entità continentale che lo aiuti a vivere l’unità nella diversità».

Le sfide poste all’identità e al carisma

Su questo sfondo, sono descritte le sfide che si pongono prima di tutto oggi all’identità e al carisma. Assieme all’ambito della “missione” è questo il punto essenziale da cui partire per trovare le risposte che riguardano il futuro dell’Istituto e la sua capacità di trovare vie nuove, nella speranza e nella “gioia”, come ha detto il padre generale.
Ciò sarà possibile solo attraverso «un cammino serio di conversione» che aiuti «a uscire dal torpore e dalla mediocrità».
Ecco allora le sfide in concreto a cui rispondere: far nascere nelle comunità locali un nuovo stile di missione in linea col carisma. Per questo nei prossimi sei anni gli sforzi saranno concentrati sulla comunità locale, poiché «sembra essere questo il punto decisivo, il tasto su cui premere per far scattare il movimento di conversione e di risveglio, che avrà certamente effetti positivi a catena….
Una seconda sfida riguarda l’approfondimento della spiritualità dell’istituto, che «deve diventare la base solida del nostro zelo missionario». Dovrà conservare il carattere semplice (non semplicistico) impresso dal Fondatore ed essere «un cammino di vita ordinaria vissuta in modo straordinario, fatto di lavoro, fatica, fedeltà, donazione di sé, esperienza di Dio scoperto nella trama quotidiana della missione». In altre parole hanno detto i capitolari, bisogna essere «santi per essere missionari!».
Un’ulteriore sfida è quella della formazione nel suo insieme: che sappia presentare a tutti e con chiarezza, lungo l’intero cammino della vita del missionario, le radicali esigenze poste dal carisma e dalla vita religiosa». Occorreranno, a questo scopo, «formatori che sappiano guidare i giovani in un cammino di umanizzazione, accoglienza e personalizzazione del carisma, di ricerca di un’autentica vita spirituale, di generosità nel pagare il prezzo che tutto questo esige».
La formazione dovrà anche aiutare a lasciare certi atteggiamenti negativi che finiscono col bloccare o rendere vano il cammino e che sono: l’individualismo, la superficialità, il pessimismo, il cinismo, la pigrizia e, soprattutto, la mediocrità di una vita vissuta senza passione, un stile di vita borghese e l’atteggiamento critico che solo tende a distruggere e mai a costruire. Piuttosto, è sottolineato, «abbandonare un certo pessimismo generalizzato e credere invece nella speranza».

Ripensare la missione alla luce dei cambiamenti


La seconda area, oggetto di approfondita riflessione da parte del Capitolo, è quella della missione, da ripensare alla luce dei fenomeni culturali e sociali del’epoca moderna. Fondamentale sarà il punto raggiunto oggi dalla riflessione teologica e missiologica secondo cui, al concetto di missione ad gentes, occorre associare quello di missione inter gentes. Quest’ultimo, sottolineano gli Atti, non deve essere considerato in alternativa all’ad gentes, ma come un concetto che lo ridefinisce e lo espande, adattandolo ai nuovi contesti di missione e ampliandone l’interesse a tutte le gente, indipendentemente dal luogo in cui si trovano e dalla fede che professano. Lo stile da adottare, pur senza rinunciare all’annuncio, dovrà essere quello che valorizza l’amicizia e la fiducia, le relazioni e il dialogo, la solidarietà e l’armonia, come elementi costitutivi della missione.
Decisivo inoltre è passare dal protagonismo alla sussidiarietà e al lavoro in rete. Come diceva anche il Fondatore, citato negli Atti, «è importante sentirsi tutti responsabili di tutti».
Un altro aspetto decisivo per la missione consiste nel passare «dalla stabilità della casa alla provvisorietà della tenda». Ciò significa «agilità e disponibilità a seguire il movimento missionario in direzioni sempre nuove, lasciandosi condurre dallo Spirito». Si tratta di una «conversione che comporta l’abbandono delle strutture più pesanti e ingombranti, tanto mentali che materiali, che non agevolano l’itineranza del missionario e ne ostacolano l’efficacia evangelizzatrice», senza tuttavia ignorare che «l’eccessiva mobilità è un ostacolo alla missione».
Infine occorre passare «attivismo alla contemplazione, intesa sia come preghiera, meditazione e adorazione del Mistero di Dio, sia come considerazione del mondo, guardato profeticamente con gli occhi e il cure di Dio».
Tra gli orientamenti e le proposte il Capitolo ribadisce che la missione ad gentes ossia quella tra i non cristiani rimane “il fine specifico” della missione dell’Istituto e invita a lavorare alla stesura di un “Progetto missionario contestualizzato nel continente, seguendo la metodologia del discernimento. Si suggerisce anche di favorire il lavoro con e nei mezzi di comunicazione «come strumento e luogo di missione ad gentes».

Un nuovo genere di formazione


Un’attenzione particolare occupa negli Atti il problema della formazione quale fattore essenziale per rispondere alle nuove esigenze della missione. È raccomandata «una formazione che porti all’incontro personale con Gesù Cristo, appassioni e prepari alla missione secondo lo specifico del nostro carisma, capace di coinvolgere tutti i missionari nel rispetto delle tappe formative della vita di ognuno, e di riqualificare sia le persone che la missione».
Ci saranno da «affrontare diversi ostacoli», e per questo viene sottolineata la necessità di preparare formatori consapevoli dei «cambiamenti d’epoca e di missione», in grado di inserire nell’iter formativo la formazione nell’orizzonte della missione. Si insiste sull’esigenza di una formazione e contestualizzata «in una chiara dimensione interculturale per saper cogliere l’alterità e avere missionari capaci di collaborare nell’unità, salvaguardando, valorizzando e rispettando le legittime diversità».
Il vero apostolo dovrà essere anche in possesso della scienza, attraverso uno studio, considerato in vista della missione. «Non basta – è precisato – una preparazione intellettuale mediocre, ma occorre una vera scienza. Il missionario ignorante, come diceva il Fondatore, è un idolo di tristezza e amarezza».
Inoltre, il processo di formazione per la missione, anche se ha tempi privilegiati, dovrà durare tutta la vita, tenendo sempre presente come criterio fondamentale l’evangelizzazione delle genti.
Si consiglia anche che i giovani, al termine del noviziato, siano orientati allo studio e al lavoro nel continente a cui verranno possibilmente destinati, salvo il diritto dei superiori di destinarli anche altrove.

Economia e ristrutturazione


Gli ultimi due ambiti riguardano l’economia che deve essere di comunione per la missione e l’organizzazione/ristrutturazione. Nella gestione dei beni è vivamente raccomandata la correttezza, la trasparenza contabile e la preparazione degli amministratori.
Seguendo un orientamento ormai consolidato, si esorta affinché le strutture e i progetti iniziati con fondi stranieri, «riescano a mantenersi con risorse locali». Si raccomandano «strutture semplici» per favorire anche il passaggio delle opere/attività alla chiesa locale, e l’adozione di uno stile di vita “sobrio e austero” che sia una vera testimonianza del voto di povertà e di solidarietà con i poveri. Inoltre, è sottolineato, se fidarsi della Provvidenza rimane un atteggiamento fondamentale, esso tuttavia «non ci esenta dal nostro impegno produttivo».
Tra i punti su cui è necessaria la “conversione” si chiede di: abbandonare l’individualismo, l’autoreferenziarsi e il protagonismo in campo amministrativo; eliminare l’atteggiamento del “tutto mi è dovuto” rifugiandosi in una distorta interpretazione dello spirito di famiglia; fuggire dallo stereotipo del “missionario costruttore”; utilizzare il più possibile risorse locali; ridurre il numero dei viaggi, soprattutto quando risultano di poca utilità e sono costosi e facendo un maggior uso dei nuovi mezzi di comunicazione offerti dall’era dell’internet, quando lo si ritenga conveniente.
La quinta area riguarda l’organizzazione, ossia la “ristrutturazione” . Il Capitolo esorta a entrare in questa nuova visione e a non aver paura del nuovo, uscendo quindi da una «inamovibile visione di missione, da mancanza di coraggio, da schemi vecchi e metodi inefficaci»; ad abbandonare «le situazioni stagnanti e di grigiore»; a non lasciarsi prendere dalla «tentazione del “tutto subito” ma a procedere con pazienza, accompagnando il rinnovamento con un cammino di formazione che sia rispettoso dei tempi di ognuno» e a non aver «paura di osare altri passi più consoni alla nostra vocazione specifica, nell’equilibrio tra il giuridico e la creatività profetica».

I missionari e le missionarie della Consolata hanno ora davanti sei anni di intenso lavoro per attuare questo programma in cui forse il compito più urgente sarà quello di promuovere una vera e propria “conversione” nei membri dell’Istituto, quale condizione per un cammino più sicuro e profetico nel domani della missione.