L’uomo è fatto per la gioia. Ma dove cercarla, dove trovarla? Il Salmo 37 risponde: “Cerca la gioia nel Signore” (v. 4), mentre l’orante del salmo 104 assicura: “La mia gioia è nel Signore”.
Per il credente è ovvio che la sua gioia è nel Signore. Ma, allettati dalla “gioie” di questo mondo, non tutti la pensano così.
Di qui l’interrogativo: Si può essere felici con Dio? Padre Piergiordano Cabra lo ha scelto come titolo di un suo recente libretto in cui si propone di dare una risposta attraverso una selezione di tredici brani o frasi tratti dalla Bibbia, proposti e meditati secondo il metodo della Lectio divina. Hanno contribuito a redigerlo anche le suore del monastero della Visitazione di Brescia, attingendo agli scritti di San Francesco di Sales, che della gioia (e della dolcezza) è stato un grande maestro e modello.
La domanda ha la sua ragion d’essere per il fatto che una prospettiva del genere è qua e là contestata da chi non ha fede e non è affatto convinto che “la nostra gioia è nel Signore”. Rovesciando allora l’interrogativo: Si può essere felici senza Dio? Padre Cabra ricorda un episodio emblematico dello scorso anno di cui hanno parlato anche i giornali: alcuni atei inglesi avevano promosso una campagna pubblicitaria sugli autobus in cui avevano apposto la scritta: “Probabilmente Dio non esiste. Smettila di preoccuparti e goditi la vita”.
Niente di nuovo poiché, già duemila anni fa, il poeta latino Orazio, in una sua celebre Ode sulla fuga del tempo, aveva scritto: Carpe diem, espressione che significa "Cogli l'attimo", o meglio "Vivi il presente" (non pensare al futuro, divertiti!).
Il titolo dell’opuscolo di p. Cabra – 120 paginette molto agili – è volutamente provocatorio «dal momento che la gioia, come scrive nella Premessa, non viene quando la ricerchi, ma quando la accogli come dono e la coniughi come tale».

La gioia dello stupore della riconoscenza e gratitudine

Ma quali sono le sorgenti da cui scaturisce nel cuore la gioia?
La prima, scrive p. Cabra, l’ammirazione e lo stupore di fronte all’immensità e alla bellezza della creazione che fanno esclamare al salmista O Signore, Signore nostro quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!...” (Sal 8). Infatti «contemplando le meraviglie del creato, l’uomo non può che essere rapito dall’ammirazione e dallo stupore… Tutto l’immenso creato, che acquista ogni giorno più proporzioni inimmaginabili e stupefacenti, è creato per la nostra gioia. Come non gioirne?». Commenta p. Cabra: «Il Creatore attraverso l’avvenenza data alle sue creature, strappa l’ammirazione dell’uomo: è la “provocazione” del bello”, che spinge l’uomo a orientarsi verso il Bello e ad amarlo».
E come non ricordare il Cantico delle creature di san Francesco d’Assisi, e gioire con lui delle cose che ci circondano, e amare la vita?
San Francesco di Sales, nel Trattato dell’Amor di Dio, scrive con l’intuito delle anime trasparenti: «Tutto ciò che esiste al mondo parla. Dio ha impresso infatti la sua orma, il suo segno, il suo marchio su tutte le cose create. Non c’è creatura che non proclami la lode dell’Altissimo. Ammira dunque la sua bellezza».
Dall’ammirazione deriva la gioia della gratitudine, come esclama il salmo 95: Venite cantiamo al Signore…è un salmo “invitatorio” per l’ingresso nel tempio da parte dei pellegrini, ed espressione di festa. Il servizio divino nel tempio infatti diventa manifestazione festiva della gioia del Signore e richiama a noi oggi la gioia delle feste cristiane. Infatti, osserva p. Cabra, «le grandi solennità della chiesa sprizzano di gioia» e una «celebrazione è gioiosa quando si canta», mentre «una celebrazione silenziosa può essere “devota” ma non è festa. Un’Eucaristia fredda è tutto fuorché un “rendimento di grazie”, un’azione entusiasta, lieta».
La gratitudine è la “memoria del cuore”: essa ci fa comprendere che «riconoscere e ringraziare è accettare la piccolezza e nello stesso tempo, collegandola con il resto, rendendola grande e permanente, quale nota di una sinfonia che parte da lontano e porta lontano, la sinfonia dell’inno dell’universo che ammira, loda, benedice, ringrazia l’autore di tutte le cose».
San Francesco di Sales già a suo tempo aveva scritto: «Quanto è amabile quel tempio nel quale tutto risuona a lode! Quanta dolcezza per coloro che vivono in quel sacro tempio dove si canta, in santa armonia d’amore, i cantici dell’eterna dolcezza!.

La gioia della ricostruzione e quella del Salvatore


Dopo la gratitudine, la gioia della ricostruzione, dal salmo “Beato l’uomo che teme il Signore…” (112). Il riferimento è alla catastrofe di Gerusalemme, “la città della festa”, e alla provvisorietà di tutte le realtà umane. «Di qui la tradizionale riserva nei confronti di quell’atteggiamento che non pratica un certo distacco dalle cose, che trascura il dominio di sé , che pone l’aspirazione alla felicità in cose che non possono darla, per il fatto che sono poste nel mondo delle cose precarie, insicure, fugaci». È una considerazione che riguarda da vicino anche il nostro Occidente florido, ma in declino, poiché le cose nelle quali abbiamo posto le nostre speranze non sono assicurate nel futuro. Il cristianesimo ha proprio questo compito: di tenere desta nel cuore dell’uomo la nostalgia di un fondamento stabile e trascendente di tutte le cose e infondere la certezza che «Dio in ogni momento della vita, anche nei più drammatici, permette lo sbocciare della gioia cristiana, che è tanto distante dal nichilismo come dalla felicità dei progetti solo umani».
Già san Francesco di Sales scriveva in una lettera del 1619: «Quanto sono beati coloro che non ripongono la loro fiducia in una vita ingannevole e incerta come questa, e non ne tengono conto se non come una passerella che serve per passare alla vita celeste…». Infatti «tutto passa: dopo i pochi giorni di questa vita mortale che ci restano, verrà l’eternità infinita». Perciò, consiglia nell’ Introduzione alla vita devota, rivolto a Filotea: «Fa’ come i bambini che con una mano si aggrappano a quella del papà e con l’altra raccolgono le fragole e le more lungo le siepi; anche tu fa lo stesso: mentre con una mano raccogli e ti servi dei beni di questo mondo, con l’altra tienti aggrappata al Padre celeste, volgendoti ogni tanto verso di lui, per vedere se le tue occupazioni e i tuoi affari sono di suo gradimento. Fa’ attenzione a non lasciare la sua mano e la sua protezione così da raccogliere e accumulare di più. Se il Padre celeste ti lascia non farai più nemmeno un passo, ma finirai subito a terra…».
Un’altra sorgente di gioia è quella del Salvatore (cf. Lc 2,8-11): «Israele era inviato a gioire per i doni della creazione, dell’elezione e dell’alleanza, della particolare relazione con il Signore, ora è invitato a gioire perché il Signore si interessa personalmente della gioia personale e comunitaria, insegnandoci le vie della gioia, non dall’alto dei cieli, ma facendosi uno di noi. Dio si china su di noi, camminando con noi, precedendoci nel cammino della vita, per rassicurarci che Egli è l’Emmanuele, il Dio con noi, il Dio per noi…». Egli è il «Salvatore che viene a liberarci dalle nostre illusioni… viene a dirci: vi porto io alla gioia. Accoglietemi e io vi illuminerò».

La gioia di sentirsi amati

Oltre a ciò, la gioia di sentirsi amati, quella cantata da Maria nel Magnificat (cf. Lc 1,46-55). «Maria, commenta p. Cabra, dice la potenza dell’umiltà, che sta nel fare riferimento al Creatore per quello che si è, per quello che si ha, per quello che si vale: siamo opera delle sue mani, abbiamo ricevuto tutto da lui, valiamo in quanto siamo amati da lui, siamo qualche cosa perché lui si è ricordato di noi. Sentirsi amati da chi ci ha dato l’essere e l’esistenza, significa avvertire il senso positivo della propria umana avventura, che quindi vale la pena d’essere vissuta con gioia».
San Francesco di Sales cita, al riguardo, san Paolo dove dice “mi ha amato e si è donato a me” e nell’Introduzione alla vita devota commenta: «Questo, Filotea, deve essere impresso nella tua anima…». E in una lettera del 17 giugno 1606, così la esorta: «Vivi dunque gioiosa e coraggiosa perché Dio è il Dio della gioia. Il tuo cuore appartiene a Dio, vivi felice di avere una così buona dimora. Vivi gioiosa, sii generosa. Il Dio che amiamo e al quale siamo votati ci vuole così. Tieni il tuo cuore ben largo davanti a Dio, viviamo sempre con gioia alla sua presenza. Egli ci ama, ci ama teneramente, è tutto nostro».

La gioia del tesoro trovato e di sentirsi cercati

Un successivo capitoletto descrive la gioia del buon affare: è un commento alla parabola evangelica del tesoro nascosto nel campo (Mt 13,44) e dell’episodio del giovane ricco il quale se ne andò triste, quando Gesù gli propose di vendere tutto, di darlo ai poveri e di seguirlo (Mt 19,16-22). C’è un contrasto radicale tra i due episodi. Nel primo caso è descritta la gioia di chi trova il tesoro nel campo; nel secondo, c’è la tristezza del giovane che preferisce le sue effimere ricchezze all’invito di Gesù, a dimostrazione che «l’attaccamento alle cose di questa vita che passa può dare l’illusione di potere molto», ma «può impedire di gustare le gioia che viene dall’appartenenza a colui che ha ed è Tutto».
E ancora Francesco di Sales che commenta: «Ti piace vivere vicino lui (Gesù)? Le api sono contente quando possono stare intorno al miele… Allo stesso modo le anime buone provano la loro gioia intorno a Gesù Cristo e provano una profonda dolcezza di amore nei suoi confronti, i cattivi invece sono contenti solo delle vanità (Introduzione alla vita devota).
Fonte di grande gioia è anche di sapere di essere cercati e attesi. Il riferimento è all’episodio di Gesù che, attraversando Gerico, va in casa di Zaccheo, ed egli lo “accolse pieno di gioia” (Lc 19,1-10). In questo episodio, rileva p. Cabra, «la gioia di chi ritrova chi è perduto è il riflesso della gioia che si fa in cielo per questo ritrovamento», dove «la gioia di chi cerca e di chi è cercato si fondono… La gioia di Gesù sui fonde con la gioia di Zaccheo».
«Ancora una volta tutto è dono. Anche il tuo ritorno a casa, anche la tua conversione, anche il tuo pentimento, perché è lui che ti cerca e ti comunica la gioia d’averti trovato. Lui, tuo pastore, ti cerca e ti colloca sulle spalle. Lui tuo Padre, ti attende e spia il tuo ritorno. Lui tuo medico ti guarda e si invita a casa tua. Lui a cui stai a cuore, esulta e ti dice che è felice del tuo ritorno e non bada a quello che dicono gli altri, non ti parla del tuo passato, ti comunica semplicemente la sua gioia di averti trovato».
San Francesco di Sales, in una lettera del 1 novembre 1604, scrive: «Ama dunque la tua condizione, rallegrati di non essere niente e siine felice, poiché la tua miseria serve di oggetto alla bontà di Dio per esercitare la sua misericordia: i più miserabili infatti sono nella migliore condizione, perché la misericordia di Dio li guarda volentieri».

La gioia dell’attesa

“Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera”, scrive Paolo ai Romani (Rm 12, 12). Ecco l’altra ragione della gioia: quella dell’attesa. L’anima di questa gioia è la speranza che, sottolinea p. Cabra, è paragonabile alla gioia della madre che attende un figlio e affronta le difficoltà della gravidanza perché sa che ha in sé il dono della vita e ciò le fa pregustare la gioia di dare alla luce un figlio: «così il cristiano, che porta con sé l’uomo nuovo, è destinato a godere dell’eredità dei figli di Dio».
Qualunque cosa accada, scrive, a sua volta, san Francesco di Sales, in una lettera del 17 giugno 1606, «tieni il tuo cuore pronto davanti a Dio… e andiamo sempre gioiosamente alla sua presenza. Egli ci ama, ci ha cari. Egli è tutto nostro, questo dolce Gesù; siamo semplicemente tutti suoi, amiamolo, vogliamogli bene, e anche se le tenebre, le tempeste ci circondano e siamo con le acque dell’amarezza fino al collo, finché lui ci tiene per il mantello, non c’è niente da temere».

Seguono altri cinque capitoletti che sono come altrettante perle preziose: la gioia del servizio con al cuore l’affermazione “Dio ama chi dona con gioia”; la gioia della Pasqua, che rende possibile la gioia anche in mezzo alla tribolazione perché «con Gesù tutto porta alla salvezza, anche il dolore e la sconfitta, perché Dio è con Lui, come lo ha manifestato risuscitandolo dai morti»; la gioia di essere cristiani e «il cristiano è un uomo che semina gioia, perché è abitato dallo Spirito Santo»; la gioia della fraternità, che è frutto dello Spirito così che «dove si pratica il comandamento nuovo, si sprigiona quella letizia che sorprende, attira, conquista». Senza dubbio, sottolinea p. Cabra, «la fraternità in questa vita sarà sempre incompleta, ma sufficiente per ricevere la rugiada della benedizione della gioia. Anzi, spesso è proprio la rugiada della gioia che costruisce la fraternità».-
Infine la gioia della patria celeste. Perciò «vivi nella gioia. Diffondi la gioia
Ricorda che ti attende la gioia».

Le meditazioni si erano aperte con l’interrogativo Si può essere felici con Dio?. Ora, giunti al termine, la risposta non può essere che una: “Solo in Dio riposa l’anima mia, da lui la mia salvezza” (Sal 61,2) e “Il Signore è mia parte di eredità e mio calice nelle sue mani è la mia vita” (Sal 15,5), mentre “Se vedi un uomo arricchirsi, non temere,se aumenta la gloria della sua casa. Quando muore, con sé non porta nulla né scende con lui la sua gloria” (Sal 48,16-17).