«Cari amici, ripartiamo da questa terra marchigiana con la forza dell’eucaristia in una costante osmosi tra il mistero che celebriamo e gli ambiti del nostro quotidiano. Non c’è nulla di autenticamente umano che non trovi nell’eucaristia la forma adeguata per essere vissuto in pienezza: la vita quotidiana diventi dunque luogo del culto spirituale, per vivere in tutte le circostanze il primato di Dio, all’interno del rapporto con Cristo e come offerta al Padre (cf. Sacramentum caritatis, 71)». Questo è uno dei passaggi più significativi dell’omelia di papa Benedetto XVI in occasione della messa conclusiva del 25° Congresso eucaristico nazionale (Ancona, 3-11 settembre). Il papa ha riproposto con forza il senso spirituale e il valore sociale dell’eucaristia, invitando a recuperare quella “dimensione verticale” della vita per poter pienamente riprendere quella “orizzontale”. «È anzitutto il primato di Dio – ha continuato il papa –che dobbiamo recuperare nel nostro mondo e nella nostra vita, perché è questo primato a permetterci di ritrovare la verità di ciò che siamo, ed è nel conoscere e seguire la volontà di Dio che troviamo il nostro vero bene».

Il tono “popolare” del congresso
Il 25° Congresso eucaristico ha riletto, a partire dall’eucaristia, alcuni ambiti della vita quotidiana, peraltro già proposti al convegno ecclesiale di Verona (2006) , e quindi a rivisitare i “luoghi” della testimonianza che il cristiano è chiamato a dare del Signore e del suo vangelo. Ecco anche spiegato il tema del Congresso Signore da chi andremo? L’eucaristia per la vita quotidiana che ha visto nel capoluogo marchigiano convenire migliaia di fedeli da tutte le diocesi italiane per una settimana in cui è stato dato spazio a momenti spirituali e celebrativi, riflessioni e testimonianze per continuare quella tradizione che dà un tono spiccatamente “popolare” alla celebrazione dei congressi eucaristici. Tale tema ha rivestito anche un significato sociale e culturale perché l’eucaristia è “pane del cammino” dentro la storia e fermento di novità in tutti gli aspetti della vita del vivere umano.
La caratteristica peculiare di questo congresso rispetto alle edizioni precedenti ha riguardato la pluralità delle sedi o diocesi – Ancona-Osimo, Fabriano, Jesi, Loreto, Senigallia – in cui sono state collocate le diverse tematiche e i vari momenti delle giornate eucaristiche congressuali, con il rischio – peraltro corso – della dispersività. L’intento di questa scelta “territoriale” era di coinvolgere l’intera metropolia, accompagnando le diverse diocesi che la compongono a “visibilizzare” la dimensione popolare dell’evento congressuale e, nello stesso tempo, a evidenziare il rapporto tra eucaristia e ambiti della vita quotidiana (la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità umana, la tradizione e la cittadinanza).
A proposito del legame con il precedente Congresso eucaristico di Bari, il papa ha sottolineato nell’omelia: «Bari e Ancona, due città affacciate sul mare Adriatico; due città ricche di storia e di vita cristiana; due città aperte all’Oriente, alla sua cultura e alla sua spiritualità; due città che i temi dei congressi eucaristici hanno contribuito ad avvicinare: a Bari abbiamo fatto memoria di come “senza la domenica non possiamo vivere”; oggi il nostro ritrovarci è all’insegna dell’“eucaristia per la vita quotidiana”».
Già l’arcivescovo di Ancona, Edoardo Menichelli, aveva manifestato alcune “sue” speranze riposte sul congresso: «Rinnovare la fede nell’eucaristia, rimotivare la missione della chiesa italiana, raccontare con letizia e coraggio l’amore per Cristo Signore, percorrere la via della santità che nell’eucaristia trae alimento e ragione, leggere l’eucaristia come un convivere sociale dove la giustizia e la fraterna solidarietà hanno cittadinanza senza paura alcuna».
Gesti significativi del pastore marchigiano sono state le sue lacrime durante l’incontro commovente con i detenuti della casa circondariale di Monteacuto, nell’ascoltare le loro storie di dolore e di sofferenza, e l’inaugurazione – come “opera-segno” del congresso – del centro caritativo dedicato al beato Gabriele Ferretti, co-patrono della città dorica, che accoglierà italiani e stranieri senza fissa dimora e famiglie in difficoltà.

Eucaristia e gli ambiti di Verona

Fare la cronaca del congresso eucaristico risulterebbe alquanto dispersivo per le molteplici proposte all’interno delle giornate in cui è stato scandito. Giornate ricche di avvenimenti e di celebrazioni (ricordiamo la via crucis e la processione eucaristica alla quale hanno partecipato circa 10.000 persone). Mi limiterò a qualche “pennellata” per quanto riguarda il rapporto tra l’eucaristia e gli ambiti di Verona che hanno scansionato le cinque giornate del congresso, quasi a formare un “percorso eucaristico” dentro la vita quotidiana (la maggior parte degli eventi si è celebrata dentro la Fiera di Ancona, vicino al porto, là dove echeggiavano in contemporanea il rumore del lavoro dei portuali, che osservavano, tra l’indifferenza e la curiosità, il via vai dei congressisti).
Per quanto riguarda il legame dell’eucaristia con l’ambito dell’affettività, la teologa Ina Siviglia ha indicato una «correlazione tra eucaristia e affettività di carattere sacramentale: il pane e il vino, transustanziati nel corpo e sangue di Cristo, mostrano e realizzano una comunione d’amore, in cui il dono che il Crocifisso risorto fa di se stesso è anche il nucleo generatore che trasforma l’uomo e la Chiesa e li muove dall’interno ad amare Dio e gli altri uomini». Quindi, nell’eucaristia si vede concretamente la “passione” di Dio per l’uomo. Occorre essere consapevoli che «non c’è nulla di autenticamente umano – pensieri, affetti, parole e opere – che non trovi nel sacramento dell’eucaristia la forma adeguata per essere vissuto in pienezza». Vi è una tendenza nella Chiesa di «pensare che l’eucaristia sia per i sani», quando invece «le parole di Gesù dicono che non sono i sani che hanno bisogno del medico». E l’eucaristia è proprio «il cibo dei viandanti, dei deboli, dei malati, dei peccatori che aspirano alla santità».
L’affettività “ferita” chiama all’appello la fragilità e interpella i testimoni che hanno scolpito sulla loro pelle il “timbro” della malattia e che hanno trasformato la loro vita in un’esistenza eucaristica. In questo ambito sono stati scanditi i nomi di Nino Baglieri (completamente paralizzato dopo essere caduto da un’impalcatura), di Benedetta Bianchi Porro (una ragazza divenuta cieca, sorda e incapace di muoversi per una malattia degenerativa), di una donna affetta da osteogenesi imperfetta e costretta a vivere in un corpo di soli 58 centimetri, della cantante non vedente Annalisa Minetti, della scrittrice paraplegica Rita Coruzzi, in carrozzina dall’età di dieci anni, che ha imparato a fare della propria disabilità «un’autentica maestra di vita», di Paola Bignardi, già presidente nazionale dell’Azione cattolica. «La sofferenza – ha confessato – mi ha lasciato una persona diversa perché mi ha dato un altro punto di vista sulla vita».
Anche il tempo libero dev’essere abitato dall’eucaristia, dal momento che «gioco e trascendenza» possono convivere in maniera armonica: anche perché la spensieratezza del gioco e della festa non significa, anzitutto, negazione di serietà e di trascendenza. Se lo è chiesto il filosofo Francesco Giacchetta: «Il gioco potrebbe davvero parlarci di Dio se non avesse già inscritto nella propria intimità un segno della trascendenza?».
Così come il lavoro, perché – a detta di don Angelo Casile, direttore dell’ufficio Cei per i problemi sociali e del lavoro – «nell’eucaristia, oltre alle gioie della preghiera e al nostro essere fratelli, portiamo all’altare anche le fatiche di ogni giorno, a riguardo del tempo del lavoro e della festa, pensiamo a disgregazione familiare, precarietà, morti bianche, disoccupazione, reinserimento lavorativo, consumismo, svago senza fine, crescita indiscriminata del lavoro festivo, sfruttamento dei minori, delle donne e degli immigrati».
Cosa può dire oggi l’eucaristia nell’ambito della cittadinanza? Lorenzo Ornaghi, rettore della Cattolica di Milano, ha sottolineato che «l’eucaristia, aiutando a coltivare il “senso” perenne e più profondo dell’appartenenza a una “città”, consente di mettere in campo – quale risorsa inesauribile a cui la vita pubblica e politica delle democrazie può attingere di continuo – quelle “energie morali e religiose” che il card. J. Ratzinger già richiamava vent’anni fa come elementi necessari di una politica eticamente responsabile. E permette, al tempo stesso, di lavorare con fiducia, intelligenza e coraggio, alla quotidiana costruzione di quel “bene comune”, senza il quale la società si frammenta e ogni sistema politico inevitabilmente si decompone».

I religiosi e l’eucaristia
La vita consacrata è «un dono di bellezza che Dio fa alla Chiesa e al mondo… e la condizione perché ciò avvenga è che i religiosi e le religiose mettano al centro della loro vita l’eucaristia». Con queste parole l’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte si è rivolto ai religiosi e alle religiose nel contesto del rapporto tra eucaristia e tradizione. Egli ha sottolineato che la «vita bella dei religiosi irradia bellezza se coniuga fedeltà al cielo e alla terra, a Dio e agli uomini». Da qui l’invito a coloro che sono stati chiamati «a radicalizzare il dono del battesimo» ad essere «segno e profezia per tutti del dono dell’unità in Cristo. Il consacrato è solo con Dio per essere in comunione con tutti e servire la communio nel suo respiro più ampio e cattolico. Ecco perché l’eucaristia fa della persona consacrata un servitore appassionato della causa ecumenica». Infine, l’eucaristia stimola «a vivere in costante riforma, a non fermarsi mai nella seduzione del compimento e del possesso. In definitiva a mantenersi giovani… ma non di una gioventù esteriore, quanto invece quella che più conta: la capacità di vivere della speranza che è Gesù».
Abbiamo bisogno di eucaristie che “parlino” al mondo di oggi e di presbiteri che siano “appassionati” nel celebrarle: lancia quest’appello il vescovo di Brescia, Luciano Monari, ai preti e ai seminaristi Tutto questo nella consapevolezza che il prete deve leggere il suo ministero come un “tesoro in vasi di creta”: tale coscienza impedisce una presidenza “arrogante” e orienta verso uno stile autenticamente di servizio, che armonizza la grandezza del ministero di presidenza con la piccolezza dei propri limiti. Questo equilibrio permette al presbitero una maggiore libertà anche interiore, per entrare nella logica che, per essere “ministri”, occorre prima di tutto essere “discepoli”.
Difficile fare un bilancio di un congresso eucaristico vissuto tra incontri e celebrazioni, in cui il concorso di un popolo “pellegrino” risulta l’aspetto prevalente: certamente la scelta di coniugare l’eucaristia dentro gli ambiti di Verona ha permesso di non “ripartire da zero”. Il convegno ecclesiale di Verona aveva aperto un “metodo” nella pastorale e il 25° Congresso eucaristico di Ancona ha applicato questo “metodo” all’eucaristia, la quale rischia sempre di essere vissuta in chiave privatistica e devozionale, anziché “vita per il mondo”.