Per colui che qui scrive, parlare della speranza nel contesto della vita
religiosa latinoamericana è come chiedere a una madre di parlare del suo figlio
prediletto. Speranza… energia creatrice… fede in cammino… Per noi religiosi è un
invito ad abbandonare il rifugio nella mitica nostalgia di un passato d’ oro,
per inoltrarci e camminare nel complesso orizzonte di un futuro da costruire.
Viviamo un passato ripetitivamente attuale, un presente di passaggio e un futuro
incerto e anticipato nella speranza, da dove deriva la fecondità creatrice di
chi attende pieno di speranza .
La vita consacrata in America latina si sente chiamata oggi a scoprire Gesù in
due momenti: come il Gesù di Nazaret nell’esperienza storica del suo ministero
pubblico, testimoniato nei vangeli, e come il Gesù risorto che opera mediante il
suo Spirito nella comunità e nella storia dei popoli, e testimoniato in tanti
segni di vita e di speranza. È l’azione dello Spirito che semina segni nuovi di
speranza nella storia dei popoli, nella Chiesa e nella vita religiosa. A ciò
risponde il desiderio di Paolo: “Il Dio della speranza vi riempia, nel credere,
di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello
Spirito Santo” (Rm 15,13).
Scoprire segni di speranza vuol dire alludere alla forza della vita, al soffio
di Gesù che ricrea, al vento dello Spirito che fa nuove tutte le cose. Ci
sentiamo invitati a guardare in faccia alla realtà della vita religiosa e a
chiamarla col suo nome. Benché sia negativa, non possiamo attribuirle la
categoria di chi paralizza la speranza. Il soggetto e colui stimola è sempre lo
Spirito.
Un atteggiamento radicale di speranza
Non è facile volgere uno sguardo profondo che penetri nelle viscere della
società e della nostra vita religiosa incarnata in essa. Addentrarsi nel
contesto pieno di labirinti di questa situazione complessa e frammentaria
richiede la bussola del navigante e una sensibilità in bilico. Di fronte al
compito… uno sente la necessità di fare sua l’invocazione del cieco di Gerico:
«Signore, che io veda”.
Siamo davanti a una sicura crisi di orientamento. Vi sono molti che mancano di
riferimenti basilari nella loro vita; non sanno verso quali opinioni
fondamentali devono orientare le piccole e le grandi opzioni quotidiane, e
nemmeno che preferenze seguire, quali priorità stabilire. I vecchi ideali
utopistici, le loro istanze e tradizioni orientative servono sempre di meno.
Respiriamo una cultura della noia che ci sta umanamente contagiando e ci porta a
vivere in maniera superficiale. Vivere è lasciar vivere, lasciarsi trasportare
dalla marea, traendo il massimo profitto del momento. Ci viene riempita la testa
di idee e inaridito il cuore. Ci viene insegnato a competere, non a convivere; a
consumare, non a vivere; a contare, non a creare. Lo stordimento consumista,
addormenta. Si cercano la comodità, la sicurezza, il piacere… Il nostro spirito…
senza fede ed entusiasmo; vive nello scetticismo e nella disillusione. Quando ci
manca il dinamismo dell’amore, la capacità di sacrificio, l’entusiasmo della
generosità… portiamo dentro il virus della mancanza di speranza.
Le nostre istituzioni religiose lasciano intravedere sintomi di stanchezza, di
paura. Guadiamo più al passato; viviamo sulla difensiva; ci chiudiamo nei nostri
quartieri d’inverno, l’utopia inaridisce. Siamo preda della routine, tomba
dell’entusiasmo. È un grande pericolo per vivere l’autenticità del nostro
essere. La routine soffoca il meglio dello Spirito in noi: la passione per Dio e
per i fratelli, la generosità nel servizio, la sensibilità davanti alla persona
che soffre, la capacità di amare senza aspettarsi niente in contraccambio.
Ci adagiamo nella mediocrità e abbiano paura della novità. Mediocre è colui che
ha rinunciato a vivere in profondità. Ci sposiamo con i nostri egoismi e
divorziamo dalla generosità. Ci adattiamo all’ambiente, abbiamo paura di essere
diversi. Ci integriamo nel sistema e facciamo tacere la profezia. Andiamo avanti
con la paura di perdere prestigio e con il desiderio di raggiungere successi
quantitativi. Fino a incarnare un razionalismo autosufficiente, rivestito di
equilibrio umano e di personalità matura: con una sottile aggressività verso
tutto ciò che sa di freschezza e semplicità evangelica. Il meglio del nostro
stile di vita si è trasformato in una fortezza inespugnabile di persone che non
rischiano nulla in ordine all’utopia.
Conosciamo molte strade nella vita, ma non sappiamo quale è quella della
salvezza: quella che ci libera dalle nostre angustie, quella che ci rende liberi
e solidali, quella che ci aiuta a crescere come persone, che ci illumina di
fronte agli interrogativi profondi, quella che ci svela la sorgente della gioia.
La società chiede un cambiamento globale di tale ampiezza che è facile cadere in
atteggiamenti vitali paralizzanti: lo scoraggiamento, la perdita della speranza
o l’evasione; guardare con una commiserazione piena di ironia ai piccoli
cambiamenti o il messianismo redentore.
Dobbiamo assumere più razionalità – quella della speranza e della fede in
cammino verso il futuro – e meno demagogia. La speranza risponde sempre. Ci
permette di affrontare situazioni che contagiano il nostro stile di vita e lo
trasformano in grembo fecondo di una nuova creatura che con realismo utopistico
sogniamo. La nostra vita consacrata mostra oggi nuovi segni di speranza. C’è in
essa un orizzonte di futuro pregno di promesse. Il meglio del presente non è la
sua realtà visibile, ma la semente che porta dentro. Il meglio del fiore è che
si prepara a dare frutto. L’oggi nella vita religiosa è un fiore fecondato da
segni di speranza.
Speranza, ingrediente necessario di fronte ai problemi
Il grido di rinnovamento della vita religiosa suppone un tempo di sereno
entusiasmo e di speranza attiva. Parlare di rinnovamento o di rifondazione
richiede coraggio e creatività dello Spirito. Si tratta di rivivere
creativamente la storia della fondazione delle origini. Ci suggestiona il
compito di riorganizzare la speranza, alimentare l’utopia, ciò che nella
speranza crediamo realtà, per non cadere nei precipizi: la falsa sicurezza dei
nostri fondamentalismi, dogmatismi o la semplice routine, l’apatia, la
mediocrità e l’indifferenza.
La speranza suscita la fede e l’amore, trasmettendo loro il dinamismo
dell’andare oltre. È un soffio che spinge in avanti, la vitamina che fa crescere
la nostra vicinanza a Dio. Fede e amore che pellegrinano, fede e amore che
camminano verso mete rinnovate, per strade nuove, con un dinamismo e un
superamento costante. La speranza è la fede posta in tensione, che si esercita
nella crescita; è la fede in cammino. È l’amore che sviluppa e allarga il
proprio orizzonte e la sua intensità. Fede e amore in quanto crescono, in
movimento, alla ricerca di pienezza.
Religiosi, religiose… uomini e donne di speranza che vivono rivolti un futuro da
costruire. Uno non sta mai solo: o si rimane nostalgici del passato oppure con
la speranza di un sogno che si realizza. La speranza non guarda all’indietro se
non per tener vivi i ricordi. La speranza ci sveglia dalla nostra routine,
dall’apatia, dalla mediocrità e dall’indifferenza. Distrugge i germi di
rassegnazione nel nostro stile di vita e combatte l’atrofia spirituale di chi è
soddisfatto. Speranza e fiducia vanno a braccetto. Chi spera confida nella vita,
nelle persone, nel corso della storia, in Dio. Sperare con fiducia vuol dire
procedere nella notte, nel timore, nell’angustia.
Il nostro aiuto viene dal Signore. Il Salvatore giunge alla nostra vita come
seme di speranza e fa dei salvati dei salvatori. Se viviamo in una perdita di
motivazioni, allora si diluiscono gli obiettivi, si paralizzano gli stimoli, non
ci sono delle mete… manca la voglia di camminare. E la speranza è proprio
questo: il dinamismo di chi cammina, la fede in cammino, il desiderio di andare
avanti. È il sole che illumina e riscalda l’esistenza. Colui che spera, riempie
la sua vita di gioia ed entusiasmo. Abbiamo le beatitudini. Siamo figli del
detto: la felicità ci appartiene. Ci offre rifugio il Regno. Quando la speranza
appassisce, tutto si tinge di grigiore. Perdere la speranza vuol dire morire di
tristezza. La speranza è gioiosa, per il bene che si spera e la gioia con cui si
spera.
La speranza moltiplica le forze per superare gli ostacoli. L’uomo di speranza è
un vincitore. Chi non ha speranza è già sconfitto. È fonte di energia. Ha in sé
una forza misteriosa, un soffio creatore, uno stimolo spirituale, un ardore di
superamento che induce a guardare tutto con fede e ottimismo. L’uomo di speranza
è portatore di quell’energia che rende possibili le grandi opere, ma dal di
dentro, e anima i successi, senza chiedere fatture di riconoscimento. Chi vive
nella speranza sostiene e raddoppia le energie e moltiplica il dinamismo
creatore. La speranza è sforzo per tradurre in realtà i sogni. Lubrifica tutte
le capacità e mette in movimento lo sforzo fiducioso. Chi vive nella speranza
lavora come se tutto dipendesse da lui, e attende come se tutto dipendesse da
Dio. La speranza rende feconda la preghiera, e questa, più che muovere il cuore
di Dio, muove il cuore di chi ha speranza. L’uomo di grandi speranze e di buoni
desideri prega e la sua preghiera feconda le speranze e i buoni desideri.
Per le vie della fede e dell’amore al soffio dello Spirito
La vita religiosa latinoamericana accoglie il dinamismo della speranza. Viviamo
il presente, a partire dalle radici del nostro passato e orientati al futuro per
riorganizzare la speranza e alimentare l’utopia. Vediamo alcuni segni di
speranza nell’oggi della vita religiosa. Sono segni che, come desideri
alimentati dalla speranza, accompagnano la nostra vita, e si fanno strada
nell’insieme vitale delle nostre incoerenze, desideri di maggiore coerenza e
riflessi di coerenza nella realtà vissuta.
1. Esodo dal centro alla periferia
La nostra vita religiosa sente di essere caratterizzata dal desiderio di andare
oltre, alle frontiere; di stare più vicina alla gente, ai suoi problemi e alle
sue speranze; di scendere più in basso, all’incontro con i bisognosi; di andare
più al largo, con la compassione di Dio per i suoi figli. Vale a dire, i
religiosi e le religiose negli ultimi decenni hanno compiuto spostamenti
affettivi e geografici che li avvicinano al mondo dei poveri. Il corpo mistico
di Cristo si rende presente dove è stato il corpo storico di Gesù. La vita
religiosa in America Latina si è fatta popolo, sta nel popolo e con il popolo.
Oggi si moltiplicano nuove presenze di esodo verso le frontiere tra gli
indigeni, i migranti, i carcerati, i contadini, i giovani, i bambini feriti, le
donne… La vita religiosa mostra di essere più di frontiera. Un segno di speranza
per il nostro stile di vita, per le religiose e i religiosi che lo incarnano
perché qui viene alimentata la loro speranza. Sono moltiplicatori di un contagio
salvifico, poiché la povertà unisce ciò che la ricchezza separa.
2. La intercogregazionalità
La persona umana si realizza nell’essere in relazione. La fede pratica nella
relazione è diventata urgenza storica. Per i religiosi conta sempre di più
l’inter. La intercongregazionalità sta moltiplicando cammini di incontro,
condividendo carismi tra loro, con il risultato di un arricchimento, poiché
nella vita cristiana ciò che si condivide cresce e si arricchisce.
Arricchente in modo particolare è la pratica delle relazioni tra religiosi e
religiose. Si moltiplicano gli incontri intercongregazionali in Conferenze
miste, organizzazioni, nell’ONG, in assemblee congiunte, istituti e seminari di
formazione iniziale e permanente; in riunioni di riflessione, di pianificazione
e valutazione di programmi di vita e di lavoro in diverse aree, nei compiti
educativi, amministrativi, di giustizia e pace…in incontri di preghiera, ritiri
comuni, esperienze solidali, case per anziani per varie famiglie religiose… Sono
tante le esperienze di interrelazione che rendono impossibile vivere chiusi nel
proprio carisma.
Queste esperienze mostrano che prima del carisma particolare c’è il carisma
globale di appartenere tutti e tutte alla stessa vita consacrata. Siamo
religiosi prima di essere gesuiti, salesiani, domenicani o francescani.
L’esperienza della intercongregazionalità si sente probabilmente rafforzata con
l’assumere nella vita religiosa la fragilità come valore. C’è infatti una
rinuncia implicita all’autosufficienza, che ci autoalimenta, ci distanzia e non
ci permette di conoscerci tra di noi. Al contrario, l’essere fragili ci spinge a
incontrarci, a lavorare insieme, ad apprezzare gli altri. Ci obbliga ad avere
bisogno gli uni degli altri.
3. Vita consacrata… più vita e più consacrata
Ci interessano la vita religiosa come vita, il dinamismo di conversione
all’essenziale, l’essere e non tanto i modi di vita, le strutture, i compiti, il
fare. Apprezziamo ciò che genera vita. L’essere è vita e felicità. Quando
avvertiamo la vita interiore che cresce, quando viviamo nell’amore, quando
condividiamo la vita con i poveri…, sentiamo la gioia di vivere. Quante
religiose e religiosi danno testimonianza di vivere nella gioia la loro
vocazione.
Dio rende dinamica la nostra esistenza e pone in noi un principio di
rinnovamento. Egli ci ha creati creatori e ci ha fatto il dono della speranza:
energia creatrice. Iniziamo a creare noi stessi, ad essere uomini nuovi, a non
concentrarci in programmi e stili organizzativi-operativi senza essere toccati
nella profondità del proprio io. Se l’uomo di scienza crea e l’artista ricrea,
la ragion d’essere del religioso sta nel ricrearsi nel compito di ricreare
questo mondo nel Regno di Dio.
Chi si lascia pervadere dallo Spirito si apre a una nuova vita. Questo è grazia,
e il peccato consiste nel chiudersi alla grazia, nel resistere a una vita sempre
nuova: nell’impegnarsi nel fare le cose di sempre, a pensare e sentire come
sempre, impedendo la linfa dello Spirito. Si tratta di trasformarci, di
prepararci a ricevere il lievito nuovo. A vino nuovo otri nuovi. Bisogna
staccarsi dall’antico. Non solo correggere difetti e compiere un numero maggiore
di opere buone. Bisogna nascere di nuovo. Accogliere il battesimo nello Spirito,
Signore e datore di vita… Vita in quantità di libertà, in numero di ideali, come
peso e misura dell’amore. Vita in pienezza: essere più, crescere di più, sperare
di più, donarsi di più, amare di più….
4. Gesù Cristo ragione della consacrazione
Oggi si coglie nella vita religiosa una ripresa di vitalità della preghiera. Si
vive una esperienza di preghiera personale con l’urgenza vitale dell’aria che si
respira. Le piccole comunità intensificano la preghiera comunitaria condividendo
l’espressione della fede, in momenti gratuiti e imprescindibili per il
discernimento comunitario. C’è un ardente desiderio di autenticità nella
preghiera che porta a superare le pratiche e le devozioni per giungere
all’incontro con il Signore. Si dedica tempo a preparare gli incontri comunitari
di preghiera. L’eucaristia comunitaria ha perso il ritualismo di routine
diventando un’esperienza vissuta di incontro con Gesù. Molte comunità danno
testimonianza della pratica periodica di un giorno di ritiro per stare soli col
Signore e celebrarlo in comunità, alimentando così la propria consacrazione. Non
dimentichiamo che la preghiera è il fiore e il frutto della speranza. Si colloca
in maniera connaturale nel vuoto che c’è tra l’ottimismo presuntuoso e il
pessimismo disperato.
La vita religiosa dell’America Latina sta riscoprendo nella vita quotidiana
l’incontro con Gesù Cristo, come ragion d’essere per la sua vita. Un incontro
che alimenta quello con i fratelli. Quanti religiosi e religiose, con semplicità
e profondità si sentono e si siedono oggi a tu per tu col Signore, vicino ai
fratelli per alimentare l’incontro. La mistica e la profezia – presenti dove la
vita lo chiede – sono oggi le due chiavi della CLAR come sintesi del dinamismo
da seguire nella vita consacrata.
5. Pratica della Lectio divina
La presenza della vita religiosa in piccole comunità di base ha favorito anche
il diffondersi della pratica della lettura pregata della Bibbia. Le comunità di
base ci stanno aiutando a portar fuori la parola di Dio dal tempio e dalla
liturgia per applicarla alla vita quotidiana. Molte comunità religiose stanno
recuperando la pratica della lectio divina e fanno il discernimento comunitario
a partire dalla Parola. Oggi scopriamo l’incontro con il Signore nella sua
Parola e nei poveri. Sono i due cardini della nostra trasformazione. La parola
di Dio possiede una forza trasformante. Se ci lasciamo toccare da essa, ci
trasformeremo e andremo al mondo dei poveri.
La lettura pregata della Bibbia rafforza i dinamismi del cuore della vita
religiosa: diastole, esodo verso la periferia, verso il mondo dei poveri: il
luogo del corpo storico di Gesù. E sistole, ritorno dalla periferia alla
comunità, trasformata nel corpo mistico di Cristo, con la forza per costruire il
suo Regno. La trasformazione della vita religiosa avviene soltanto coltivando
l’incontro con Cristo nella sua Parola e nei poveri. Dare vita a partire dalla
Parola a coloro che non hanno vita. Quanti testimoni di una vita religiosa
semplice confermano nella pratica quotidiana una spiritualità incarnata e
liberatrice che scaturisce dalla Parola di Dio e dal contatto con i poveri.
6. Discepoli… imparando a situarci come religiosi nella società
Una sfida macroscopica: collocarci come religiosi nella società di oggi.. Si
tratta di un processo, e l’importante nei processi vitali è il dinamismo del
progresso. Vogliamo situarci nella società con lo sguardo rivolto a Gesù, al suo
progetto, al Regno, alle sue urgenze. Assumiamo le chiavi che scopriamo nella
prassi vissuta di Gesù:
– L’umano: desideriamo diventare più umani. Abbiamo un messaggio di umanità,
come arte e spiritualità, e sapienza di vita. Di qui l’interesse e lo sforzo per
conoscere i desideri e le speranze degli uomini e delle donne di oggi per andare
ad essi con un messaggio di umanità crescente.
– Contatto con il divino: il religioso, con i piedi per terra e gli occhi
rivolti al cielo, desidera arrivare a Dio. Si tratta di essere specialisti in
ciò che è nostro: non in compiti, ma nell’atteggiamento. Uomini e donne che
attraversano la vita cercando Dio. Essere testimoni più che maestri. Testimone è
colui che parla di ciò che ha visto e udito. Di qui l’importanza che i religiosi
si siedano ai piedi del Signore per vedere, udire, e poter essere testimoni
davanti a tanti esseri umani aperti alla medesima ricerca di Dio.
– I deboli, urgenza del Regno: la passione del religioso per il Signore si
traduce in compassione per coloro che soffrono. La gloria di Dio è che l’uomo
viva. Dio vuole la vita in abbondanza e la vita in qualità. Gesù guarisce gli
infermi, nutre gli affamati, risuscita i morti. Cerca la vita del perdono,
l’amicizia, la gioia condivisa, la libertà profonda, l’amore totale:
partecipazione alla vita di Dio.
Ci sentiamo rafforzati nella pratica della formazione permanente, per superare
la routine, la stanchezza, la mediocrità con gli strumenti necessari per
rispondere meglio al desiderio di collocarci come religiosi nella società
attuale. Oggi si moltiplicano le istanze di formazione permanente
intercongregazionali oppure all’interno di ciascuna famiglia religiosa.
7. Nutrendo la passione per la missione
Vita religiosa… uomini e donne di speranza attiva nella costruzione di un mondo
più giusto, riconoscendo il dono di Dio nella vocazione alla missione, per poter
fare di questo mondo il Regno di Dio. La vita religiosa accoglie oggi il
documento di Aparecida che ci aiuta a sentirci coinvolti nella missione.
Discepoli e missionari: discepolo è colui che prolunga la missione. Il contenuto
della missione è Gesù Cristo, il suo progetto, il Regno… la vita per tutti: Sono
venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza (Gv 10,10).
La ragion d’essere della nostra missione sono gli altri, la vita, la sua
qualità, non tanto la verità. Missione al servizio del Regno, al servizio della
vita dei poveri. Il nostro stile di vita è un progetto verso Gerusalemme, la
consegna totale. La missione della vita consacrata si riassume nell’approccio
samaritano e nella presenza profetica nella vita di tanti testimoni che
incarnano una appassionata generosità di servizio e di dedizione.
La missione appare oggi come dialogo, che cerca l’incontro per rendere possibile
la comunione. Dialogo con i lontani, i diversi. Vogliamo andare incontro,
avvicinarci all’altro, non per convincerlo o conquistarlo, ma con rispetto e
umiltà per ascoltarlo, dialogare e arricchirci a vicenda. Il diverso come
destinatario della missione sarà differente in ogni contesto umano. Per il
ricco, il diverso è il povero; per il credente, l’indifferente; per il
cattolico, l’evangelico; per il cristiano, il musulmano; per l’occidentale,
l’indigeno… Ma non dialoghiamo da una posizione neutrale bensì a partire dalla
propria identità. Dialogando con il diverso fortifichiamo la nostra identità.
Concepiamo perciò la missione non come estensione ma come comunicazione e
arricchimento reciproco. Tutti siamo messaggeri e destinatari della buona
notizia. Il missionario fa missione nella misura in cui è oggetto di missione.
In pratica stiamo correggendo il concetto unidirezionale della missione.
8. Il carisma congregazionale… una tenda estesa ai laici
Negli ultimi decenni le congregazioni religiose hanno compiuto uno sforzo per
conoscere meglio e rivitalizzare la figura dei loro fondatori e adattare i loro
carismi alla società in cui viviamo. Si è trattato di un dinamismo molto
arricchente per il rafforzamento della propria identità congregazionale. Ogni
famiglia religiosa conosce oggi meglio le proprie origini, valorizza di più i
suoi fondatori e si identifica in maniera più decisa con il proprio carisma.
Le nostre congregazioni conoscono meglio quello che sono e cercano di rispondere
ad esso nella vita e nelle opere. Abbiamo rafforzato la nostra identità. Si
tratta di un processo aperto, dal momento che esiste sempre il pericolo di
vivere in funzione di noi stessi e di dimenticarci del Regno e delle sua
urgenze.
Ogni carisma è un dono dello Spirito alla Chiesa, ed è bene condividerlo con i
laici. Ciò che si condivide si arricchisce e ci arricchisce. Abbiamo arricchito
i nostri carismi e la vita religiosa si arricchisce nella apertura ai laici,
partecipando più attivamente alla vita comune del popolo di Dio. Con essi
condividiamo la spiritualità e la missione, considerandoli non solo
collaboratori, ma compagni di vita e di missione della comunità religiosa.
Alcune famiglie religiose hanno compiuto un cammino più significativo, giungendo
a rendere partecipi i laici nelle assemblee e strutture di governo. È un
processo senza ritorno che caratterizza in maniera sempre più chiara la vita
consacrata del continente.
9. Semplicità nella vita fraterna
L’esperienza di vita comunitaria, basata sulle relazioni fraterne, comporta un
grido vitale anzitutto nei giovani del continente. Oggi si opta per comunità
piccole con il denominatore comune della semplicità nelle forme di vita, nelle
strutture al servizio della fraternità, nelle pratiche di governo
corresponsabili e circolari; nell’austerità e apertura ai laici. Inoltre,
appaiono segni di forme diverse di vita comunitaria: tra uomini e donne, persone
di differenti famiglie religiose, celibi con laici sposati… Si mette in risalto
il valore della comunità-laboratorio. Si tratta di piccole cellule vive nel
popolo di Dio che stanno sperimentando un altro stile di vita.
Dall’altra parte, la vita religiosa ha una voce profetica all’interno della
comunità cristiana. Chiede una nuova ecclesialità, a partire dalla stessa
esperienza di vita comunitaria, e sollecita pratiche che rispondano a un governo
circolare nella Chiesa, sollecitando in esso la partecipazione della donna. A
volte bisogna mettere in conto la sofferenza implicita nella incomprensione di
certi strati ecclesiali.
Rendere reale la nostra nostalgia di futuro
I segni di speranza descritti qui sommariamente suppongono una riserva di
calorosa biosfera nel contesto della nostra vita religiosa. Sono una carica di
energia creatrice che ci porta alla convinzione che il sogno che la vita
consacrata nutre possiede oggi le migliori possibilità di realizzazione. Per
questo optiamo per la potatura e non per il disboscamento, per veder crescere il
germoglio. Si tratta di coltivare e di costruire germi di vita, sapendo che
costruire vuol dire rendere reale la nostra nostalgia del futuro.
Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse (Is 11,1). Il rinnovamento è possibile
perché i venti dello Spirito soffiano sul vecchio tronco che fiorisce. È
successo in Israele e succede oggi con il tronco invecchiato della vita
religiosa. I venti dello Spirito continuano a soffiare con forza e dinamismo.
Nelle faccende di ogni giorno, segnate dal dolore e dalla gioia, ci sentiamo
invitati, vicini alla croce, a soffrire e contemplare con quella speranza che si
traduce nell’attesa che venga partorito il nuovo. Di fronte all’indicazione di
questi segni di speranza riaffermiamo la nostra fede nell’azione feconda dello
Spirito che opera per mezzo di religiose e religiosi inquieti, attivi,
entusiasti, sentinelle di speranza.
Carlos Del Valle, SVD,
direttore di Testimonio