"Geremia, cosa vedi? Vedo un ramo di mandorlo" (Geremia 1,11)
In ebraico il mandorlo è chiamato 'colui che veglia', il primo risvegliato
dall'inverno, colui che ha gli occhi attenti, che fiorisce anche quando ancora
punge il gelo. Quello che vede Geremia non è un fiore del ramo nella bella
stagione, ma nel momento più duro dell'anno, quello delle gelate improvvise. In
questa stagione difficile dobbiamo avere occhi attenti ai segni che sono già
dentro l'inverno, saper cogliere ciò che nasce dal passaggio verso la primavera.
Papa Giovanni aprì il Concilio dicendo di non dare ascolto ai "profeti di
sventura", ma di prestare orecchio ai "segni dei tempi", di non intralciare il
loro divenire come la terra accompagna i germogli a primavera. Dobbiamo scorgere
i segni che posseggono la trasparenza dell'alba originale, la luminosità di una
tenerezza soprannaturale.
In tempi di crisi ci è chiesto di vivere i gesti di Geremia che, in anni di
esilio e di deportazione, invitava a piantare vigne, a costruire case. Vivere
non è solo una crescita continua, ma anche la capacità di aderire alla vita
nonostante ciò che la contraddice, le sue paure, le sue crisi, i suoi momenti di
apparente sterilità.
Ci sono attimi che rendono nuovo il mondo non tanto perché aggiungono qualcosa
di nuovo, ma perché sprofondano fino all'origine, lì dove la diversità è
armonia.
Il mondo si muove se noi ci muoviamo, si muta se noi mutiamo, si fa nuovo se
l'uomo si fa nuova creatura, si imbarbarisce se scateni il peggio in te.
Oggi la nostra vita è un continuo migrare verso un mondo perduto e disorientato
di frammenti che non sappiamo più utilizzare. Dio, invece, è sempre molto
attento ai frammenti: agli occhi, ai gesti, a come si fanno e si dicono le cose,
al granello di senape, alla pecora perduta, allo spicciolo della vedova.
In ogni momento di crisi Dio ci chiede di partire dai frammenti e dai dettagli
per riprendere il cammino e la nostra dignità. Ci chiede una vera partecipazione
al mistero della vita. Germi di novità sono nell'aria, ma scendono soltanto dove
trovano una terra fertile. I germi di novità sono la bellezza e la tenerezza, il
perdono e la fedeltà ad ogni giorno: fragili gesti che hanno la forza di
rimettere in piedi la nostra vita.
Fedeltà ad ogni giorno vuol dire esserci, stare dentro la concretezza della
vita. Occorrono oggi testimoni fedeli che vadano oltre la superficialità e
sappiano stare dentro la vita. Testimoni che non imprigionano Dio nel loro
concetto di onnipotenza, che non lo sfigurano erigendolo a giustiziere
implacabile, ma che coltivano pazienza e vigilanza.
Bella la fedeltà al cammino dell'uomo di Gesù risorto che si avvicina ai
discepoli di Emmaus, si fa compagno di viaggio, si interessa della loro vita, li
lascia liberi di scegliere fingendo di andare oltre, e solo alla fine spezza il
pane con loro.
Bella la fedeltà di Ruth verso Noemi quando dice: "Non insistere perché ti
abbandoni e torni indietro senza di te, perché dove andrai tu, andrò anch'io".(Rut
1,16)
La fedeltà a sé e all'altro è la capacità di "serbare e custodire", è amore che
ha bisogno di tempo per crescere, di promesse reciproche da mantenere, di scelte
che hanno il loro prezzo.
Anche quando le cose sembrano non cambiare, anche se tutto sembra continuare
come prima, chi è fedele scruta l'orizzonte, fiuta l'aria, getta il seme
affidandolo alla terra e il sogno di futuro è tutto dentro questa minuscola
occasione che può fare del lampo una chiarezza, della scintilla una luce.
Luigi Verdi
da Il domani avrà i tuoi occhi
Editrice Romena, Pratovecchio (AR) 2009