Il segretario di mons. A.G. Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII, quando questi era Delegato apostolico in Turchia, racconta di essersi sfogato un giorno con il suo superiore per un episodio che lo aveva molto infastidito e irritato: un sacerdote era stato molto critico e poco rispettoso verso il Delegato. «Mons. Roncalli – scrive – senza turbarsi minimamente, mi lasciò dire e ridire. Se non che, a un certo punto, le risorse oratorie cominciarono a vacillare e, per esaurimento di carburante, il pallone si afflosciò e toccò terra. Allora egli sorridendo mi disse: “Ha terminato la sua perorazione?”. Confuso lo guardai con un certo stupore, balbettando un goffo, malinconico: “ma… veramente!”. Egli proseguì: “Ora sieda e abbia la bontà di ascoltare. Le voglio dare un consiglio che – lo spero – ricorderà sempre. Nella vita, caro monsignore, ci vuole molta pazienza, sempre molta pazienza, perché poca non basta. Molta pazienza, perché poca non basta!» .
È difficile non essere d’accordo con questa constatazione di papa Giovanni, ammettendo però nello stesso tempo tutta la fatica che l’esercizio di questa virtù richiede quotidianamente.
Le situazioni in cui esercitarla sono continue, dalle più banali alle più complesse e difficili, e non si finirebbe di enumerarle: una persona che ci annoia, un imprevisto spiacevole, problemi di salute, la perdita di cose care, un affare andato male, un treno perduto, un compito sgradito, le lungaggini della burocrazia…, senza dimenticare che anche con noi stessi dobbiamo avere pazienza . In queste e tante altre situazioni siamo tentati di spazientirci e perdere la calma, diventare aggressivi e nella confessione è assai frequente che ci accusiamo: “mi sono arrabbiato”.

Significato della pazienza

Secondo l’insegnamento teologico tradizionale, la pazienza è un necessario elemento integrante della virtù cardinale della fortezza: chi è forte è appunto per questo anche paziente. San Tommaso insegna che non è paziente semplicemente chi non fugge ciò che gli procura danno o disagio, ma chi si comporta in modo lodevole (laudabiliter) nel sopportare i disagi così da non lasciarsi trasportare per questo ad una tristezza disordinata . La pazienza è, dunque, cosa diversa da una supina accettazione di qualche disagio o di qualche male che non si possono evitare: essere pazienti significa piuttosto non lasciarsi togliere la serenità dell’anima a causa delle varie fatiche del vivere, conservare la pace e la letizia interiore, escludere la tristezza e lo smarrimento del cuore. Essa fa sì, sempre secondo s. Tommaso, che la tristezza non spezzi lo spirito dell’uomo e che egli non perda la sua grandezza .
La pazienza «è l’arte di convivere con l’imperfezione e l’inadeguatezza presenti in ogni uomo, negli altri, nella realtà» . Papa Giovanni fu un esempio straordinario di pazienza, aiutato in ciò sia dal suo naturale temperamento ma anche dall’impegno e dallo sforzo che quotidianamente metteva per esercitarla. Nelle sue Agende la parola “pazienza” ritorna con insistita frequenza, a volte quasi ogni giorno. Bastino due citazioni: “Pazienza e calma. Quando si riesce ad essere padroni di queste due qualità si è già molto ricchi” ; “L’esercizio della pazienza ad ogni costo è di tutti i giorni e talora più affliggente che mai. Il Signore benedica chi me la fa esercitare” .

L’origine dei sentimenti

Comunemente si sentono espressioni del tipo: “quella persona mi fa perdere la pazienza”; “quando le cose non vanno come vorrei perdo la pazienza e mi arrabbio”; “i figli ti fanno perdere spesso la pazienza”. Ciò mostra che molti sono dell’avviso che la causa dei sentimenti che proviamo (rabbia, delusione, fastidio…) sia da attribuire agli altri o comunque a certi eventi esteriori. Ma questo modo di vedere non è giustificato: il genere di sentimenti che proviamo dipende essenzialmente da noi, la nostra sensibilità dipende essenzialmente da come valutiamo l’ambiente che ci circonda. Pensavano così già nell’antichità. Nel Manuale del filosofo greco Epitteto, ad esempio, si sottolinea che a turbare l’uomo non sono propriamente le cose, ma le rappresentazioni che le persone hanno delle cose: «Quando tu ti senti montar la collera contro uno, pensa che la tua propria immaginazione è quella che ti sprona all’ira, e non altri» .
Ad una attenta analisi psicologica è facile constatare che le cose stanno pressappoco come segue. Solitamente la “lettura” (interpretazione) che noi facciamo di un determinato stimolo – cioè il comportamento di una persona, un contrattempo, un qualche disagio – avviene in modo inconscio ed è legato sia all’immagine che abbiamo di noi stessi sia a esperienze di vita pregresse. Ora, come appena accennato, anche nel caso dei sentimenti di impazienza, la reazione emotiva che sperimentiamo è direttamente legata alla interpretazione, generalmente non immediatamente conscia, dello stimolo stesso. Se poi è vero, come è vero, che i sentimenti che proviamo dipendono essenzialmente “non dalle cose, ma da come noi interpretiamo le cose stesse”, allora ne consegue che non è saggio né realistico immaginare che staremmo più calmi e sereni se si riuscisse a modificare la realtà che ci crea disagio – ammesso e non concesso che si possa sempre modificare la realtà…– mentre è più utile ed efficace lavorare su noi stessi.
Questo può significare – in concreto – che, anziché sforzarci semplicemente di nascondere (?) o reprimere i propri sentimenti di impazienza e irritazione – non raramente in questi casi “parla” il corpo, attraverso manifestazioni psicosomatiche: mal di stomaco, tensioni muscolari…– ci si dovrebbe impegnare in due direzioni.
– Anzitutto, sottoporre a verifica le nostre letture automatiche della realtà, il nostro modo di valutare le varie situazioni che ci fanno perdere la calma, per vedere se sono corretti. Naturalmente, non in ogni occasione di impazienza sarà possibile fare questo esercizio; questo però dovrebbe essere tentato almeno qualche volta, quando ad esempio si è in presenza di una situazione che è per noi motivo di intensi e continui sentimenti di impazienza. In casi simili, soprattutto, potrebbe essere utile porsi queste domande: che prove ci sono a favore della mia interpretazione? Che prove ci sono contro la mia interpretazione? Dalle azioni che quella determinata persona compie consegue “logicamente” che i motivi che attribuisco al suo modo di comportarsi sono fondati? C’è qualche spiegazione alternativa per il suo modo di agire?
– In secondo luogo, provare a leggere in modo diverso la situazione-stimolo che provoca impazienza. Sarà capitato senz’altro a ognuno di noi di dover riconoscere che una situazione, la quale in passato ci aveva indotto a provare sentimenti di impazienza e irritazione, alla luce di una conoscenza più approfondita e oggettiva riporta a sperimentare emozioni diverse e più positive. Gli esempi non mancano. Una persona, che fino a ieri ci irritava per la sua insistenza nel chiederci consigli o rassicurazioni, a un certo punto ci ispira compassione perché la “vediamo” come una persona che soffre e tribola a causa della sua insicurezza. Chi ci infastidiva perché tentava di metterci in cattiva luce, ad un certo punto arriviamo a guardarlo con occhi diversi quando veniamo a conoscere la sofferenza che nasce in lui a causa di un forte complesso di inferiorità. Una persona che causa disagio in comunità e mette a dura prova la pazienza dei confratelli/consorelle, io la posso considerare come una croce voluta dal Signore per mortificarmi e farmi crescere in umiltà e – sull’esempio del papa Giovanni – “benedire” chi mi fa esercitare la pazienza. San Francesco confidava a frate Leone che per lui sarebbe stato motivo di perfetta letizia arrivare di notte a s. Maria degli Angeli, chiedere di essere accolto e sentirsi cacciato via in malo modo: «Se avrò avuto pazienza e non mi sarò inquietato, in questo è vera letizia e vera virtù e la salvezza dell’anima» . Pazienza è anche questo: quando non si ha quello che si ama, si può cercare di amare quello che si ha.
Per comprendere ancora meglio il senso di quanto appena richiamato, è bene sottolineare che non si tratta semplicemente di colpevolizzare più se stessi e meno gli altri: non è un problema morale, ma psicologico. Si tratta di capire e guardare alla realtà in modo aperto, critico, flessibile e intelligente.
Rigidità mentale, scarsa conoscenza di sé, dipendenza da stereotipi, grettezza d’animo, distorsioni cognitive, scarsa apertura al reale sono ostacoli che possono rendere assai difficile, se non impossibile, l’esercizio della pazienza. Non si insisterà, dunque, mai abbastanza sulla necessità di lavorare su se stessi, cioè sulla necessità di quella ascesi che rende possibile l’esercizio di una carità autentica. Oltre a ciò, tenendo conto che la pazienza è «una magra parola, una parola amara, per chi non crede» , è facile cogliere l’importanza di saper guardare con occhi di fede alla realtà, così da leggere con gli occhi e il cuore di Dio persone, cose, avvenimenti della vita.

Per facilitare l’esercizio della pazienza

Oltre alle considerazioni fatte, è utile richiamare alcuni “accorgimenti” o attenzioni particolari che possono facilitare l’esercizio della pazienza.
– Imparare a vedere noi stessi meno negativamente e avere più fiducia in noi stessi; vigilare per non incorrere in distorsioni cognitive pericolose, come ad esempio la “personalizzazione” – credere abitualmente che le azioni degli altri siano dirette contro di noi – la “lettura del pensiero” – la convinzione che sia possibile sapere ciò che l’altro sta pensando e quindi attribuire facilmente all’altro determinati pensieri e motivazioni – l’inferenza arbitraria; si è talmente prevenuti che si danno giudizi sfavorevoli assolutamente privi di fondamento.
– Aver cura della propria salute psichica, evitando condizioni di vita che aumentano la tensione e ci espongono più facilmente al rischio di “perdere la pazienza”. Ciò può significare, ad esempio, programmare in modo equilibrato e saggio il tempo e le attività: stabilire priorità, prevedere del tempo per le necessità personali, saper rigenerare le nostre energie con pause rilassanti nelle nostre attività, evitare i tempi ristretti che provocano affanno e tensione, stabilire ciò che nella nostra vita è più essenziale, nelle cose che passano vedere il lato meno triste, dedicarsi ad esperienze e attività positive e coltivare sentimenti di gratitudine.
– Imparare a dominare l’aggressività e la collera. Ciò è possibile, ad esempio: accettando onestamente i propri sentimenti di aggressività senza negarli o sentirsi in colpa per il semplice fatto di provarli; imparando a esprimere i sentimenti di fastidio o di rabbia senza giudicare gli altri, ma ricorrendo ai cosiddetti “messaggi-io”. Anziché sbottare dicendo: “smettila di annoiarmi e darmi fastidio”, si può dire: “io provo molto disagio e rabbia quando…”; ricorrendo a motivazioni religiose e richiamando l’insegnamento della parola di Dio circa la mitezza e l’umiltà; riducendo stress e tensioni; correggendo teorie inadeguate sull’aggressività come:“solo così posso dimostrare chi sono e far valere la mia autorità…”.
– Nei casi nei quali ci è particolarmente difficile esercitare la pazienza e sperimentiamo quindi una forte e ricorrente irritazione può essere utile rientrare in noi stessi e chiederci, ad esempio: che cosa realmente mi ferisce e mi minaccia? Da che cosa realmente dipendono i miei sentimenti di rabbia e fastidio? Che cosa c’entra in realtà quella determinata persona con quanto io sto provando? In che cosa consistono le mie difficoltà? Scopriremo facilmente che tali sentimenti provengono da noi, dal nostro sentirci ignorati, messi in ridicolo, non amati; sono dunque io stesso a ferirmi e mi rendo conto che occorre forza morale, ricerca della verità, conoscenza di sé per evitare la violenza ed esercitare calma e pazienza.

Pazienza, virtù attiva

Pazienza non è semplicemente mollezza o rinuncia a lottare, ma senso del reale: è virtù attiva. «Per la pazienza occorre forza, molta forza. La pazienza più eccelsa si fonda sull’onnipotenza. Proprio perché Dio è l’onnipotente, può aver pazienza con il mondo. Solo l’uomo forte può esercitare una pazienza davvero viva: può riprendere e portare sempre di nuovo ciò che è e di continuo ricominciare. La pazienza senza la forza è pura passività, supina subordinazione, abitudinarietà “cosificata”» .
La pazienza è meno facile in gioventù e ha più il volto della persona anziana, la quale può imparare dall’esperienza, far tesoro di quell’accresciuta conoscenza delle persone, della vita e della realtà in genere che si acquisisce con il passare degli anni, sviluppando una disposizione più notevole a capire e a compatire. Gli ammaestramenti dell’età utili per apprendere la pazienza sono diversi e preziosi. Impariamo che:
– «la premessa di ogni proposito morale veramente efficace… è l’accettazione di ciò che è, l’accettazione della realtà: della realtà tua, delle persone che ti stanno intorno, del tempo in cui tu vivi» ;
– l’unica persona che abbia il potere di cambiare siamo noi stessi;
– di fronte ai difetti degli altri abbiamo due possibilità: o cercare di levarglieli – e in questo caso rendiamo migliori gli altri – oppure imparare ad accettarli, e in questo caso rendiamo migliori noi stessi;
– per elevarsi alla condizione d’uomo servono fatica e pazienza, come è necessaria la pazienza per attendere che maturi il grano e arrivi il tempo della mietitura.
Dopo tutto, però, non si deve dimenticare che frutto dolce e delizioso della pazienza è la gioia e la pace, proprio come insegna s. Ambrogio: “ubi patientia, ibi laetitia” (dove c’è pazienza, là c’è letizia).