Il volontariato è un fenomeno molto ampio e ramificato, e può essere
considerato sotto vari punti di vista. Ma la prospettiva che qui ci interessa è
di considerarlo dal punto di vista cristiano, ossia come vocazione. È in questa
ottica infatti che possiamo coglierne l’anima più profonda, ossia quella di un
servizio sentito e vissuto a partire dalla fede, come deve essere quello
cristiano. Ci domandiamo allora quali sono le sfide che ci pone un volontariato
inteso e vissuto come vocazione?
Non è un passatempo
La prima è che non è un passatempo, né un modo di occupare il tempo libero e
nemmeno di essere semplicemente utili e di fare qualcosa per gli altri, ma è
perché ci siamo sentiti chiamati a questo servizio in forza della nostra
identità e del nostro impegno cristiano.
Siamo stati chiamati da un Dio che ha viscere di amore. Questa è la radice del
volontariato cristiano. Questo significa vocazione…
Parlare di vocazione è avvertire che Dio ti è passato accanto, ti ha guardato
con amore, ha pronunciato io tuo nome e ti ha chiamato a vivere e a dare vita, a
sentirti profondamente amato e a dare amore. E parlare di vocazione è parlare di
risposta. È riconoscere che hai tenuto occhi aperti per vedere, orecchi attenti
per ascoltare e un cuore generoso per rispondere.
La storia personale di questa vocazione potrà essere molto diversa. Può darsi
che Dio l’abbia fatto in maniera shoccante, come nel caso del buon samaritano,
attraverso un volto percosso e umiliato che gridava alla tua coscienza. Può
darsi che lo abbia fatto in maniera soave, mediante una brezza leggera come nel
caso di Elia, attraverso una esperienza che ti ha tirato fuori dal tuo guscio e
ti ha fatto sentire di essere tanto amato, tanto sostenuto, tanto fortunato di
accorgerti di coloro che non potevi sentire, poiché anche la tua vita poteva
essere per i poveri un dono, un segno di questo amore di Dio da cui ti senti
amato. Può darsi anche che semplicemente un giorno qualcuno ti abbia parlato
della sua esperienza, come ha fatto Andrea con Pietro, ti abbia raccontato il
suo servizio, e ciò che vi ha trovato, e ti abbia invitato in tutta semplicità:
“Perché non vieni, conosci e partecipi?”.
Ma chi legge la propria vita alla luce della fede sa che dietro ad ogni
avvenimento e specialmente dietro a ogni povero, c’è un Dio che esce al suo
incontro, gli parla e lo chiama. Un Dio che un giorno ti ha chiamato e continua
a chiamarti ogni giorno per fare della tua vita una “pro-esistenza”, una vita
per gli altri, seguendo le orme di Gesù.
Dietro al volontariato c’è una moltitudine di uomini e donne cristiani che hanno
sentito un giorno la voce del Signore che diceva “chi manderò, e chi andrà per
noi”, che come Isaia hanno risposto generosamente “Eccomi manda me!” (Is 6,8), e
sono disposti, come scrive Benedetto XVI, a «essere strumenti della grazia per
diffondere la carità di Dio. Strumenti di un Dio che assume la causa e il posto
del povero, compiendo il loro servizio in una comunità che vuole essere serva
dei poveri e a immagine di Gesù, con il radicalismo e la gratuità dell’amore.
Gioie del volontariato vissuto come vocazione
Quando si comprende e si vive il volontariato come vocazione si trovano in esso
molti motivi di soddisfazione e di gioia. È sicuro che operiamo mossi dalla
radicalità e dalla gratuità dell’amore, senza attendere ricompense. No, non
cerchiamo noi stessi. Ciò che ci interessa è il bene e lo sviluppo del povero,
ma questo non significa che non abbiamo delle gioie nel nostro volontariato. Ce
ne sono e molte. Voglio indicarne alcune delle più profonde.
La gioia della chiamata: il primo motivo per vivere con gioia il volontariato
sta nella stessa chiamata. La chiamata è un’elezione. Dio ha posto su di te gli
occhi e il cuore. Ti ha guardato con amore, ti ha chiamato e inviato a rendere
presenti tra i poveri i segni del suo amore e della sua misericordia. Un
volontario cristiano è colui che fa sua l’esperienza di Gesù e si sente
consacrato e inviato dallo Spirito dal giorno del suo battesimo in modo che in
tutta verità possiamo fare nostre le parole del Signore Gesù: “Lo Spirito del
Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato e mi ha mandato a portare ai
poveri il lieto annuncio” (Lc 4,18).
La gioia della chiamata a essere e a rendere felici: il Signore ci chiama a
essere felici e a contribuire alla felicità degli altri. Non ci chiama a vivere
nell’angoscia, interiormente spezzati. Non ci chiama perché la povertà e la
sofferenza facciano di noi delle persone amareggiate. Ci chiama perché
esperimentiamo che piangere con chi piange, lavorare per la giustizia e la pace,
avere viscere di misericordia, manifestare tenerezza verso i poveri e i deboli
ci rende profondamente felici, perché ci fa esperimentare la verità delle
beatitudini del Regno: “Beati i poveri perché vostro è il regno di Dio. Beati…”.
La gioia della gratuità: la dinamica della carità implica la gratuità. La carità
è dono, afferma Benedetto XVI, «è amore ricevuto e offerto. È “grazia” (cháris).
La sua origine è l’amore che scaturisce dal Padre per il Figlio, nello Spirito
Santo». Il nostro servizio ai poveri nasce dall’esperienza del dono ricevuto,
dall’esperienza di esserci sentiti amati gratuitamente da Dio. Questa esperienza
ci fa vivere la gioia di dare gratuitamente ciò che gratuitamente abbiamo
ricevuto e di sentire che la nostra vita può essere un dono per gli altri.
La gioia di scoprire che il povero è il volto del Signore: Noi cristiani ogni
giorno cerchiamo il volto del Signore e la sua presenza e nella Caritas
esperimentiamo quotidianamente la gioia di scoprire il suo volto nel volto del
povero. Guardare il volto del povero vuol dire incontrarsi col volto del
Signore, così come voltare le spalle al povero significa perdere Dio stesso. Lo
dice a chiare lettere Tobia: “Non distogliere lo sguardo da ogni povero e Dio
non distoglierà da te il suo” (Tb 4,7).
La gioia di sentirmi inviato da una comunità: i vescovi della Commissione
episcopale (spagnola)della pastorale sociale, nel messaggio di quest’anno per il
giorno della carità hanno scritto ai volontari: «Sentitevi chiamati e inviati
dal Signore in seno alla comunità cristiana per essere una manifestazione e una
testimonianza dell’amore di Dio. Sentite che il vostro servizio è un vero
ministero della carità degno e necessario quanto il ministero di un catechista».
Il nostro servizio non è un compito solo individuale. Siamo chiamati a vivere la
gioia di sentirci coinvolti nella comunità cristiana, inviati e sostenuti da
essa.
La gioia di poter offrire amore, l’unico che salva. La persona umana è redenta
dall’amore. Questo è il grande motore che dinamizza e dà significato a tutta la
nostra azione caritativa e sociale. E questo deve essere il significato ultimo
di tutta la nostra azione: che il povero si senta amato e redento dall’amore.
«L’attuazione pratica – afferma Benedetto XVI – è insufficiente se in essa non
si può percepire l’amore per l’uomo». Bisogna dare e aiutare l’altro, ma
soprattutto bisogna darsi, bisogna dare amore. Solo così il dono non umilia, ma
dà dignità alla persona, a quella che dà e a quella che riceve.
La gioia di comunicare gioia e speranza: di fronte a tanti profeti di sventura,
Gesù – la sua persona e il suo messaggio – è lieto annuncio ai poveri. Egli
rende presente il Regno che è una festa, una fonte di gioia e di speranza. Egli
“è in mezzo a noi la speranza della gloria”, dirà san Paolo. Anche il
volontariato è in se stesso un motivo di speranza. Lo è per la sua generosità,
per la sua accoglienza, per la promozione della sviluppo integrale, per la sua
gratuità… Se ad esso aggiungiamo la fede in Cristo e nel suo messaggio, abbiamo
più motivi di qualsiasi altro per vivere la gioia di comunicare ai poveri delle
ragioni per vivere e sperare.
Sfide del volontariato vissuto come vocazione
Sentire e vivere il volontariato come vocazione pone anche alcune sfide al
nostro servizio caritativo e sociale. Ne indico alcune che considero più
attuali.
Vivere aperti alla realtà e ai nuovi volti della povertà: un volontario è una
persona che tiene gli occhi bene aperti sulla realtà ed è capace non solo di
osservarla ma anche di analizzarla nelle sue cause e conseguenze, dal momento
che la realtà non è statica ma mutevole, dinamica. Non possiamo inoltre vivere
tornando agli schemi del passato se vogliamo dare risposte che vadano incontro
ai bisogni degli uomini e a ciò che veramente chiede la società. È occasione per
scoprire i nuovi volti della povertà: la routine ammazza e questa è una delle
minacce a cui non è esente l’impegno caritativo e sociale.
Sapere che il luogo che calpestiamo è sacro: quando il Signore chiamò Mosè gli
disse: “Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo
santo!" (Es 3,5).
E sacro è il luogo che calpestiamo noi, perché il centro di tutto il nostro
servizio è la persona umana in tutta la sua dignità e integrità. Noi non
lavoriamo con problemi, ma con persone. I poveri non sono dei numeri, ma delle
persone. Tutta l’opera sociale, che meriti di essere definita umana e
umanitaria, è fondata nel riconoscimento del valore della persona e della sua
dignità inviolabile e inalienabile. Lo dice molto bene Benedetto XVI: «Il primo
capitale da salvaguardare e apprezzare è l’uomo, la persona nella sua integrità:
“infatti l’uomo è l’autore, il centro e il fine di tutta l’attività economica
sociale” (GS 63)».
Nutrire la mistica che dà significato all’esercizio della carità: il rischio
dell’attivismo ci minaccia e abbiamo bisogno di rinnovare e nutrire di continuo
la nostra esperienza di ciò che è il suo nucleo. Non si può amare se uno non si
sente amato; di qui l’importanza della preghiera e della Eucaristia. La carità
nella verità «è una forza che ha la sua origine da Dio, Amore eterno e Verità
assoluta», dice Caritas in veritate. Oggi, più che mai, quando siamo pressati da
tante richieste che ci superano, corriamo il pericolo di smarrirci nel molto da
fare perdendo l’orizzonte e il significato di ciò che facciamo. Abbiamo bisogno
di coltivare e alimentare ogni giorno di più la spiritualità.
Formarci a sapere fare e accompagnare: moltiplicare il pane e curare richiede di
assumere la sfida della formazione. Abbiamo bisogno di formazione tecnica,
professionale per offrire ai poveri i migliori servizi, ma abbiamo bisogno anche
di “formazione del cuore”, di configurazione a Cristo per poter essere segni del
suo amore. Abbiamo bisogno di tecnica e di mistica per costruire su un
fondamento solido tutto il complesso del nostro servizio caritativo e sociale.
Perciò, ogni Caritas deve avere, per piccolo che sia, un piano di formazione che
aiuti ad abbracciare ciò che siamo e far sì che la nostra azione risponda
all’identità e missione dell’istituzione in cui lavoriamo.
Assumere la dimensione politica e trasformatrice della carità: Un’altra esigenza
morale della carità è la ricerca del bene comune. Con le parole di Benedetto XVI,
«desiderare il bene comune e sforzarsi per realizzarlo è un’esigenza di
giustizia e di carità. Lavorare per il bene comune è, da una parte, prendersi
cura e, dall’altra, servirsi di questo insieme di istituzioni che strutturano
dal punto di vista giuridico, civile e culturale la vita sociale che in tal modo
si configura come polis, come città (…). Ogni cristiano è chiamato a questa
carità, secondo la sua vocazione e le sue possibilità di incidere nella polis.
Questa è la via istituzionale – anche politica, possiamo dire – della carità».
Rendere universale la carità: la carità dilata il cuore, ci fa uscire da noi
stessi, infrange barriere e rende il cuore universale…
Approfondire la dimensione evangelizzatrice della carità: da ultimo un’altra
sfida che non possiamo ignorare e che dobbiamo approfondire. È quella della
dimensione evangelizzatrice della carità. Caritas è Chiesa e la missione della
Chiesa è di evangelizzare. Tutto in essa, la parola, la celebrazione, la
testimonianza, il pane condiviso, la carità vissuta, fino alla vita intima di
preghiera non ha altro significato se non di evangelizzare e annunciare la buona
notizia dell’amore salvatore del nostro Dio…
L’importante è, come dice Benedetto XVI, che sappiamo «quando è tempo di parlare
di Dio e quando è opportuno tacere di lui, lasciando che parli solo l’amore».