L’Unione Superiori Generali nell’assemblea del novembre scorso (Testimoni 1/2011) ha analizzato la vita consacrata in Europa e ha rilevato una situazione preoccupante, ma non disperata, perché sono sempre possibili nuovi progetti e campi di missione. Si tratta di saperli individuare e capire, rivitalizzando e attualizzando il carisma dell’origine nel clima culturale contemporaneo. Inoltre ha messo in risalto un dato: molti degli istituti di vita religiosa apostolica sono stati fondati sulla scia della rivoluzione francese, in una società e per una società nella quale tutto era disgregato dal punto di vista spirituale e morale. Ed ha aggiunto: quegli istituti possono – con la loro esperienza storica – avere sicuramente qualcosa da insegnare anche nelle difficoltà odierne. Occorre che i religiosi – ha continuato – chiariscano gli obiettivi di fondo della loro presenza nel mondo di oggi

Un confronto: allora e oggi

L’invito dei superiori generali è di considerare come allora gli istituti religiosi hanno affrontato le necessità apostoliche e come vi hanno risposto e di chiedersi come oggi questi istituti possono rispondere – in fedeltà rinnovata al carisma d’origine – alle sfide dell’evangelizzazione, in un clima spirituale e culturale molto simile (almeno in Europa, ma che si va estendendo in tutto il mondo) a quello di allora: sono due epoche unite nella definizione di “svolte epocali”.

Chiesa e società

Allora: con l’Illuminismo e dopo la Rivoluzione Francese, nell’Ottocento la Chiesa non è più accettata dalla società come guida e ispiratrice del vivere politico, sociale, morale. Le “idee guida” del vivere sono altrove: liberalismo, socialismo, positivismo, comunismo. È l’epoca dell’inizio della “secolarizzazione” e la gente risente ampiamente del clima di scristianizzazione portato dalle nuove idee, anche se ancora segue una certa religiosità, molte volte comunque ridotta a culto esteriore. La “cultura” è in mano a un’elite che ha il potere di influenzare l’intera vita sociale e politica in modo “laico” e spesso “laicista”, allontanandola dalle sue radici cristiane.
Oggi: il morale e spirituale e diffusissimo distacco dal cristianesimo in Europa è sotto gli occhi di tutti. La società civile è ormai “altra” da quella di una volta ispirata ai valori del vangelo. La Chiesa riconosce chiaramente “l’autonomia” dei valori terreni nella costruzione del tessuto sociale ed economico, ma spesso tale autonomia ha portato di fatto la società ad emarginare la Chiesa in molti campi del vivere civile, anche in quelli che è in gioco la vita, la dignità e la responsabilità della persona umana.
Le due epoche pongono – quindi – il problema essenziale: riportare i valori del vangelo nella vita sociale, culturale, politica.

Religiosità


Allora: La Rivoluzione francese ha causato lo sfascio di molte strutture della Chiesa, con pesanti conseguenze sull’evangelizzazione: il clero è stato perseguitato, molti sacerdoti uccisi o impediti nel loro ministero e questo si è ripercosso sulla vita religiosa del popolo, privato della Parola e già radicato in una religiosità piuttosto tradizionale. Di qui un clima di indifferenza nella gente, alimentato dal “vuoto” di annunciatori e dall’aperta ostilità della cultura dominante.
Oggi: la nostra epoca riproduce – esasperandoli – molti aspetti di allora e la Chiesa ne è pienamente consapevole. E registra due fenomeni apparentemente contradditori: da una parte vi è l’allontanamento di un numero sempre più consistente di persone dalla religione tradizionale, come fede vissuta e come adesione all’insegnamento della Chiesa (in Europa i “praticanti convinti” sono ormai una minoranza) e dall’altra si assiste a una “rinascita religiosa” che spesso però si rivela “ambigua, superficiale”, condita di una buona dose di superstizione, “magismo”, venata di occultismo, oppure di “intimismo” individualistico.

Vita morale

Allora: la religiosità, mancante di solide radici e convinzioni, non poteva non influenzare la condotta morale del popolo cristiano, in quanto essa è la logica conseguenza di quanto si crede. Così, venuto meno il passato (ancorato alla tradizione cristiana che guidava molti aspetti della vita individuale e sociale) nell’Ottocento nascono e si sviluppano l’individualismo e il soggettivismo, che sfociarono poi nel relativismo religioso e morale. Non si accetta più un principio (fino ad allora era stato il vangelo) da cui attingere valori morali riconosciuti validi per tutti e in tal modo si pongono le basi del soggettivismo, che non contempla nessuna norma esterna, perché lesiva della libertà dell’uomo: in questa ottica esiste soltanto “l’io individuale” e ogni morale è valida perché rapportata all’individuo che la crea.
Oggi: queste “conquiste” del pensiero sono ormai diventate “dogmi” intoccabili, “verità” acquisite e difese dalla cultura dominante e seguite da tantissimi che pure si professano “credenti e cristiani”. La “cultura radicale” (vittoriosa nelle sue espressioni pratiche ed esistenziali) riconosce soltanto “l’autorità del proprio io” (libertarismo) che detta il canone della felicità, da raggiungere con i mezzi che ognuno crede adatti al proprio scopo, e il diritto di decidere sugli ambiti della propria vita. La “morale cristiano-cattolica” è relegata al silenzio, perché “esterna” all’uomo e oppressiva della sua libertà. Il nostro tempo è guidato dall’individualismo etico, che penetra anche nel campo politico-sociale (percorso troppe volte dall’arrivismo, dal carrierismo, dagli interessi privati e corporativi, ritenuti “giusti”) e dal relativismo anche religioso, per il quale il pluralismo non solo di fatto, (come esistenza di culture e credenze diverse, che la Chiesa ammette e accetta) ma anche di diritto è lecito: si sostiene la pluralità delle verità, l’uguaglianza di tutte le credenze. A questo si accompagna lo scetticismo sulla capacità della ragione umana di raggiungere la verità e l’indifferentismo, per il quale non vale la pena di ricercare la verità e di seguire una dottrina religiosa.

Etica e società


Allora: l’Ottocento è il secolo dello sviluppo della borghesia, che presenta ben precise caratteristiche etico-sociali e una ben definita mentalità. La finalità essenziale è l’accumulazione della ricchezza, l’espansione illimitata, la produttività. Il risvolto etico-sociale è la ricerca del profitto ad ogni costo e il denaro e la ricchezza sono imposti dal capitalismo come assoluti. È l’epoca dell’affermazione –in molti casi spietata – dell’individualismo, dell’aggressività industriale e commerciale, della visibilità più marcata delle disuguaglianze sociali. Il valore supremo: produrre per fare ricchezza e creare benessere, ma per pochi (in definitiva).
Oggi: le condizioni della gente sono indubbiamente migliorate da allora e numerose sono le conquiste sociali a beneficio di tutti. Ma si aggrava – per le dimensioni planetarie assunte – la “cultura” dell’Ottocento e costituisce la “mentalità moderna”: il profitto, la ricchezza, il successo, l’affermazione di sé sono per moltissimi i “valori” della vita e l’individualismo è la “via” per arrivare a questi traguardi, senza scrupoli e senza condivisione con gli altri. La “ricchezza” diventa la sola vera vetrina nella quale specchiarsi e vedersi specchiati; la “cultura dell’apparenza”, dell’ “avere” sull’ “essere”, dell’ egoismo è innalzata a regola di vita.

L’invito dei Superiori Generali appare opportuno e necessario: dice di andare alle radici della nascita di tante congregazioni, avvenuta in un preciso momento storico come risposta dello Spirito a precise domande della società e della Chiesa e di interrogarci per vedere come possiamo rispondere nel nostro momento storico alle richieste della società e della Chiesa. E questo «investigando di nuovo» il carisma delle origini per cogliere la sua attualità e capacità di rispondere a tali istanze.

Un’eredità da sviluppare

L’invito dei superiori generali è di tenere presente oggi i fattori stimolanti e i dinamismi carismatici che le congregazioni hanno espresso per rispondere alle domande dell’evangelizzazione nel loro tempo. Possono servire da modello per i loro eredi, chiamati a «chiarire gli obiettivi di fondo della loro presenza» nel mondo contemporaneo. E aggiungevano che la «vita religiosa, fedele alle sue origini» dovrebbe «riscoprire l’urgenza dell’evangelizzazione», con la sua presenza «là dove si prospettano le necessità più urgenti».
Ovviamente non vi è assoluta uguaglianza (la storia ha trasformato tante cose) tra le nostre due epoche, ma la direzione generale e i traguardi appaiono identici; anche i mezzi concreti saranno diversi, ma le novità, diciamo “tecniche e tecnologiche”, dovranno essere al servizio delle questioni e delle soluzioni individuate.
E allora: come si sono mossi in quel tempo, nel clima di scristianizzazione, le congregazioni?

Le due epoche pongono il medesimo problema: riportare nella vita morale, sociale, culturale, politica i valori del vangelo, non certo per “fagocitare” la società nelle “spire” della Chiesa, ma per dare un contributo alla formazione di una cultura individuale e collettiva che sappia mettere in primo piano le reali necessità della persona umana.
I fondatori di allora sentirono profondamente questa missione, guardando la società del loro tempo, più che ferita dalla Rivoluzione, e crearono le congregazioni per annunciare la Parola di Dio in vari settori della società e della cultura del tempo, ritenendo la Parola idonea per cambiare concezioni intellettuali e condotta morale. E – come “esplicitazione sociale” della Parola – diedero origine a opere assistenziali e formative, considerate come necessari complementi alla predicazione e esse stesse “parole” rivelatrici della Parola.
Oggi si richiede, come ai tempi di allora, un’evangelizzazione capillare, capace di penetrare “corazze” di indifferenza, di superficialità, di tradizionalismo, forte e testimoniante per essere accolta in un ambiente storico-culturale che ha perso il gusto del Vangelo e che lo relega nella vita privata. Si richiede – come allora – un annuncio illuminato (con persone preparate alla lettura dei “segni dei tempi” e a “creare nuovi segni dei tempi”) adatto per ricreare il rapporto tra la fede e i vari settori della vita collettiva (familiare, sociale, politica), per riportare l’ispirazione cristiana nelle molteplici e complesse dimensioni dell’esistenza.
I fondatori avevano compreso l’urgenza e la necessità della formazione delle coscienze, in primo luogo quelle delle persone e delle istituzioni centrali per la società. Ed ecco l’attenzione al mondo giovanile (attraverso la scuola e altri ambiti loro propri), alla famiglia (luogo di convergenza di tanti fattori vitali), alla catechesi (per una formazione cristiana non superficiale), alla predicazione (per l’annuncio attualizzante della Parola di Dio). Tutti settori che hanno lasciato in eredità ai loro religiosi, da svolgere secondo le modalità e gli strumenti che il tempo storico richiede. Per essere sempre dentro i problemi della cultura contemporanea.

Credo che questa eredità si debba “spendere” sulle stesse coordinate, perché la “frattura culturale” è la stessa e le soluzioni le medesime: le opere devono essere “cantieri” di meditazione della Parola di Dio, di catechesi, di formazione umana e spirituale per giovani, adulti, famiglie, di predicazione nutrita dalla Parola.