La Santa Sede interviene di nuovo per condannare le ordinazioni di vescovi senza approvazione pontificia. L'ultimo episodio è del 29 giugno e ha riguardato padre Paolo Lei Shiyin, diventato vescovo di Leshan, nella zona sud-occidentale del paese. Il 4 luglio la Sala Stampa vaticana ha reso nota una dichiarazione in cui si afferma che il neo-ordinato «è privo dell’autorità di governare la comunità cattolica diocesana», che la Santa Sede «non lo riconosce» come vescovo di Leshan; che è incorso nella scomunica. Anche ai vescovi consacranti (sette, tutti in comunione col papa), si ricorda che si sono esposti alla possibilità di scomunica.

Danneggiata l'unità della Chiesa
La dichiarazione, dai toni molto duri e fermi, ribadisce appunto che «un’ordinazione episcopale senza mandato pontificio si oppone direttamente al ruolo spirituale del Sommo Pontefice e danneggia l’unità della Chiesa». E precisa, per non lasciare dubbi: «l’ordinazione di Leshan è stata un atto unilaterale, che semina divisione e, purtroppo, produce lacerazioni e tensioni nella comunità cattolica in Cina».
L’ordinazione di Leshan è l'ultima, in ordine di tempo, dopo che la Santa Sede aveva diffuso una dichiarazione riguardo alle scomuniche in cui incorrono coloro che partecipano – come candidati o come ordinanti – a una ordinazione illecita. La particolare durezza della dichiarazione del 4 luglio si spiega col fatto che in questo caso lo stesso candidato, padre Lei, «era stato informato da tempo che non poteva essere accettato dalla Santa Sede come candidato episcopale, a causa di motivi comprovati e molto gravi». Secondo voci raccolte dall'agenzia specializzata Asianews, diretta da padre Bernardo Cervellera, del Pime, il neo-vescovo avrebbe dei figli e inoltre sarebbe molto legato all’Associazione patriottica, oltre a far parte della Conferenza consultiva politica del popolo cinese, un organismo di consiglio al parlamento cinese.
Da quanto si sa, poi, l'Associazione patriottica – il braccio del governo nella politica di ingerenza verso la Chiesa cattolica – e le autorità di Pechino starebbero pianificando molte ordinazioni illecite creando uno scisma di fatto nella chiesa cinese e rendendo vano lo sforzo compiuto da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI per dialogare con le autorità e cercare la riconciliazione tra la Chiesa ufficiale e quella sotterranea. La dichiarazione ricorda che l’ordinazione di Leshan «ha amareggiato profondamente il Santo Padre, che desidera far giungere agli amati fedeli in Cina una parola di incoraggiamento e di speranza, invitandoli a pregare e ad essere uniti». «La sopravvivenza e lo sviluppo della Chiesa – si aggiunge – possono avvenire soltanto nell’unione a colui al quale, per primo, è affidata la Chiesa stessa, e non senza il suo consenso, come invece è avvenuto a Leshan. Se si vuole che la Chiesa in Cina sia cattolica, si devono rispettare la dottrina e la disciplina della Chiesa».


Sacerdoti e vescovi sotto pressione

Questi i fatti. C'è da aggiungere che la dichiarazione, pur nella sua durezza, fa riferimento al Codice di Diritto Canonico (canone 1382 per la “usurpazione” degli uffici ecclesiastici) e alla Dichiarazione del 6 giugno del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi. Qui si trova un accenno di apertura, rispetto alla specifica situazione cinese. La nota infatti fa ben presente che la consacrazione episcopale è «un rito in cui è solita la partecipazione di più ministri» e pertanto i “co-consacranti”, coloro cioè che «impongono le mani e recitano la preghiera consacratoria nell’ordinazione», «risultano coautori del reato e quindi ugualmente sottoposti alla sanzione penale. Tale interpretazione risulta anche confermata dalla tradizione della Chiesa e dalla sua recente prassi». Soprattutto però la “Dichiarazione” fa notare che possono darsi circostanze “attenuanti”. E cita il paragrafo 3 del canone 1324 che fa riferimento a chi procede a una consacrazione illegittima perché costretto o in pericolo di vita qualora si rifiutasse. Essendo tuttavia un reato grave, spetta solo alla Santa Sede comminare la sanzione e solo alla Santa Sede ci si può rivolgere per una revoca in caso di sincero pentimento.
Sembra allora che nelle ultime ordinazioni episcopali illecite, i co-consacranti siano stati costretti con la forza a partecipare e dunque per loro la scomunica automatica potrebbe venire ritirata. A conferma della delicatezza della situazione è arrivato, in queste settimane, un intervento di mons. Savio Hon, salesiano, segretario della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli. «Più avvengono ordinazioni illegittime, più appare che la Chiesa in Cina – o alcune parti – sembra voler costruire una Chiesa tutta diversa, una comunità che non ha nulla anche fare con il Santo Padre», nota mons. Hon. E aggiunge che certamente sacerdoti e vescovi «sono sotto pressione» da parte dell'Associazione Patriottica e del govenro. Tuttavia «questa pressione mi sembra meno forte di quella che altri nostri fratelli hanno subito negli scorsi decenni: oggi non si rischiano i lavori forzati, la prigione, la morte. Il governo di oggi non fa queste cose.

Vescovi che resistono altri che sono deboli

Certo, se i vescovi e i preti non si sottomettono, saranno certo puniti in vari modi. Ad esempio, si possono perdere le sovvenzioni dello stato per la diocesi; si creano ostacoli al lavoro pastorale quotidiano; vi sono penalizzazioni nella carriera (es.: non li si promuove nell’assemblea consultiva del governo); o non ricevono permessi per andare all’estero o di girare all’interno della Cina; o si costringono a subire corsi di rieducazione. Ne abbiamo un esempio: Li Lianghui, il vescovo che si è rifiutato di partecipare all’Assemblea dei rappresentanti cattolici lo scorso dicembre, adesso sta subendo sessioni di rieducazione. Ma proprio questo esempio mostra che è possibile rifiutare di sottomettersi
Un’altra cosa che può pesare è l’isolamento forzato dagli altri vescovi o dai sacerdoti, o dai fedeli. Davanti a queste punizioni, vi sono vescovi che resistono e altri che sono deboli. Il governo sa scegliere i suoi candidati fra quelli che sono più fragili e più disposti al compromesso. Certo vi siano anche opportunisti che accettano il compromesso e lo rivestono di alte motivazioni: lo facciamo per il bene della Chiesa; abbiamo bisogno delle sovvenzioni dello Stato; è urgente l’evangelizzazione, ecc… Ma questo è un bene falso: quando la Chiesa è staccata dalla pietra, da Pietro, automaticamente diventa debole.
In ogni caso, tutte queste punizioni a cui si può andare incontro, non sono sufficienti per non resistere. Se poi uno si sottomette, di fatto compie un atto pubblico, che crea scandalo ed è una contro-testimonianza verso i fedeli, e indebolisce la storia eroica di tanti vescovi che hanno resistito. Al presente vi sono diversi candidati all’episcopato che resistono e che non vogliono essere ordinati senza tutte le garanzie canoniche e il mandato del papa».
Su che cosa si debba fare, mons. Hon è esplicito: «nella situazione in Cina, vale la pena consigliare a vescovi e sacerdoti che se essi si sentono deboli o incapaci di resistere alle pressioni, domandino di essere esonerati dal servizio pastorale, avere il coraggio di sospendere il ministero».
Dalle notizie che si hanno il motivo di questo cambiamento nella politica verso la Chiesa cattolica in particolare e il mondo cristiano in generale, dopo precedenti segnali di ottimismo, sembra sia dovuto alla grande quantità di conversioni. Alcune fonti, legate alla Chiesa, parlano di una media di diecimila nuovi cristiani ogni giorno, molti dei quali vanno nel mondo protestante. Altre statistiche osservano che i cristiani sarebbero oramai una cifra vicina ai 200 milioni. Una crescita che preoccupa il governo e da qui le contromisure: finiti i tempi dello scontro ideologico e della persecuzione cruenta, si è ripresa l'idea di costituire una Chiesa parallela, fedele alle autorità e da queste ispirata, con la convinzione di riuscire a piegare la Santa Sede con il passare del tempo. Una strategia che appare problematica. In proposito mons. Hon nota infatti che «praticare per lungo tempo il metodo della auto-elezione e della auto-ordinazione (senza il mandato papale) prima o poi distrugge la Chiesa e prima o poi nemmeno i fedeli andranno da quei vescovi separati dalla Santa Sede».

Necessario il mandato del papa


Inoltre si può porre una seconda importante distinzione sul piano teologico e pastorale. Si diventa vescovi attraverso l'ordinazione ma si diventa pastori di una popolazione parte del popolo di Dio per il mandato del papa. «Ciò significa – nota mons. Hon – che un vescovo illegittimo ha sì carpito l’ordinazione ed è quindi vescovo, ma non ha alcun diritto di guidare i fedeli perché non ha il mandato papale».
Negli ultimi casi, da un anno a questa parte, le ordinazioni sono valide (anche se illecite), ma il nuovo ordinato non ha alcun potere di guida sui fedeli, i quali a loro volta non hanno il dovere di ubbidire. E si tratta di aspetti che i fedeli cinesi ben conoscono e che sono destinati a provocare nuove contraddizioni interne, facendo intervenire, tra governo e Santa Sede, la variabile dei fedeli. Per questo occorrerà seguire da vicino gli sviluppi dei prossimi mesi.
Tra le strategie da guardare, una in particolare riguarda le cosiddette chiese-ponte: quella di Taiwan, di Hong Kong, Macao e Singapore. Attraverso visite, rapporti, aiuti economici, invio di insegnanti e personale religioso, possono intervenire nella vita delle comunità cinesi, soprattutto nei periodi in cui sono maggiormente soffocate dal controllo o dagli arresti. Proprio a proposito di arresti, mons. Hon ha sempre recentemente lamentato come il governo cinese si rifiuti di rispondere alle richieste di informazioni provenienti dalla Santa Sede in merito alla detenzione di diversi vescovi. Cautela, quanto poi alla possibilità di avviare il processo di canonizzazione del cardinale Ignazio Gong-Pinmei, vescovo di Shangai e di tanti altri vescovi e sacerdoti processati, detenuti e torturati nel periodo più duro della repressione. Certamente si tratta di mettere d'accordo le comunità clandestine, fedeli alla Santa Sede e quelle legate all'Associazione Patriottica. Come anche di iniziare le diverse cause di beatificazione a livello diocesano, secondo i criteri prescritti dalla procedura in atto. Ma solo ipotizzare che si possa farlo, nonostante tutto, ci fa capire come la situazione cinese si trovi in questo momento in una fase di evoluzione.